Màs que un clasico – Serie A Giornata 14

klaas-jan-huntelaarSi è conclusa un’altra domenica pallonara, abbastanza interessante se vogliamo, con la fuga dell’Inter che supera la Fiorentina ed il Milan che grazie a Huntelaar espugna il fortino di Catania e sorpassa una Juventus in difficoltà che va ko a Cagliari. Ma stavolta è d’uopo dare uno sguardo al di fuori dei nostri confini, più a ovest, verso la penisola iberica dove si è giocata una delle sfide più importanti, affascinanti e conosciute del mondo: Barcelona-Real Madrid. Due squadre rivali non solo in campo ma anche nelle idee. Le “merengue” rappresentano la corona, il centrismo spagnolo della capitale, mentre il Barcelona è una bandiera importante del separatismo autonomo che regna in Catalogna. “Mès que un club” (Più che un club) dicono i tifosi azulgrana e probabilmente è vero. Durante gli anni della dittatura di Franco si sono giocate sfide epiche ed il Real è sempre stato visto come l’oppressore, il simbolo della repressione dell’identità regionale (il presidente Joseph Sunyol fu assassinato proprio dai franchisti ed è diventato un emblema dell‘odio alla casa reale). Una vera e propria battaglia per l’identità, fra due squadre che dominano in Spagna ed in Europa, almeno adesso, visto che da qualche anno Puyol e compagni sono al top del top mondiale. Cinquanta campionati e dodici Coppe dei Campioni in due, duelli epici, giocatori straordinari che hanno vestito una o l’altra maglia. Ne è passato di tempo dal 17 febbraio del 1929, giorno del primo confronto vinto dal Real per due a uno con una doppietta di Luis Morera mentre Parera siglò il primo gol del Barcelona nella storia della sfida stellare.

Da allora il bilancio vede i “blancos” con un bilancio leggermente a favore, ma sono tante le lezioni che i catalani hanno rifilato ai rivali, come lo storico 2-6 molto recente. E cosa accade quando un giocatore cambia maglia passando agli odiati nemici?

Domandatelo a Luis Figofigo2index, che si vide lanciare di tutto addosso alla sua prima visita da madridista al “Camp Nou”, compresa una testa di maiale mozzata. Oppure a Samuel Eto’o, che celebrando il suo primo titolo col Barcelona non nascose il suo disprezzo per chi lo aveva bollato come “non adatto” e lo aveva scartato cantando “Madrid cabròn, saluta al campeòn”. Un tempo c’erano di Stefano, Gento, Cruyff, Kouman, Hugo Sanchez, Zubizarreta….oggi invece Ibra, Messi, Henry, Puyol, Marquez, Iniesta, Xavi da una parte (impressionante) e Cristiano Ronaldo, Kakà, Raul, Benzema, Xavi Alonso, Casillas dall’altra (altrettanto impressionante), ma la musica non cambia. Barcelona-Real Madrid continua ad essere un duello meraviglioso, ricco di connotati e di una storia che lo rende speciale. Già, la storia…che è ancora tutta da scrivere.

Udinese Livorno 2-0
Genoa Sampdoria 3-0
Atalanta Roma 1-2
Bari Siena 2-1
Cagliari Juventus 2-0
Chievo Palermo 1-0
Parma Napoli 1-1
Lazio Bologna 0-0
Inter Fiorentina 1-0
Catania Milan 0-2
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Auto elettriche? Sì, ma senza scappatoie!

TITOLO: Auto elettriche? Si, ma senza scappatoie!
di Daniel Monetti – campagna trasporti, Terra!
Oggi si parla tanto di auto elettriche, come la soluzione del futuro: l’auto elettrica può giocare un ruolo molto importante nel tagliare le emissioni di CO2 della Unione europea, ma l’attuale legislazione contiene scappatoie che possono portare ad un maggiore uso dei combustibili fossili.
A settembre il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso sostenne che i trasporti dovevano essere urgentemente decarbonizzati, alzando l’attenzione sul trasporto elettrico quale chiave di volta di questo processo. (1) Ma non è così, almeno in questa prima fase di transizione.
Secondo un rapporto pubblicato da Transport & Environment (2), gli obiettivi vincolanti della Unione europea in materia di emissioni di CO2 da auto approvati lo scorso Dicembre 2008, includono dei ‘supercrediti’ che permettono ai contruttori di auto di vendere 3,5 SUV superinquinanti per ogni veicolo elettrico venduto, permettendo loro di raggiungere ugualmente gli obiettivi fissati dalla UE. Questo perché le auto elettriche sono state fatte passare ad emissioni zero, nonostante il fatto che l’elettricità usata derivi da fonti fossili come il carbone. (3)
Il risultato di tutte queste scappatoie legislative sarà che i costruttori di automobili dovranno fare molti meno sforzi per ridurre le emissioni dalle auto convenzionali, immettendo nel mercato qualche modello di auto elettrica.  E l’effetto complessivo sarà emissioni di CO2 più alte e maggior uso del petrolio, contrariamente alle finalità stesse della legislazione europea.
Terra! sostiene che queste scappatoie legislative debbano essere chiuse, affinché l’industria automobilistica affronti seriamente le proprie responsabilità nel taglio delle emissioni di CO2 e rafforzi i propri investimenti in efficienza energetica. I sogni delle innovazioni tecnologiche delle propulsioni elettriche o a idrogeno sono una buona cosa, ma in questo momento distolgono l’attenzione dei legislatori dal problema reale di migliorare l’efficienza dai motori a scoppio tradizionali; o tutte le parti in causa si impegnano in questo primo passaggio obbligato, o tutti gli altri che seguiranno risulteranno una pura operazione di greenwashing.
Il ruolo dei legislatori europei è quello di tagliare le emissioni di CO2 e ridurre la dipendenza del mondo dal petrolio, non promuovere auto elettriche, soprattutto quando ancora non si hanno sistemi per capire da dove questa energia è stata prodotta, sistemi di misurazione dei consumi dalla rete o ancora, sistemi di monitoraggio per l’erogazione dell’energia elettrica che permettano di sviluppare nuove stazioni di servizio per la ricarica delle batterie);  l’Unione europea non deve farsi accecare dal mito dell’elettrico e guardare troppo al futuro, senza mantenere una vera pressione sugli standard di efficienza energetica al presente, perché altrimenti tutto il lavoro fatto fino ad oggi risulterà vano.
(2) Il rapporto “How to Avoid an Electric Shock – Electric Cars from Myth to Reality” è scaricabile da http://www.transportenvironment.org
(3) I supercrediti saranno messi al bando nel 2016, ma le auto elettriche rimarranno a zero emissioni.  I supercrediti sono stati presentati anche in una proposta dello scorso Ottobre sulle emissioni di CO2 dai furgoni e minibus.
[stextbox id=”custom” big=”true”]L’articolo di oggi è scritto da Daniel Monetti, ambientalista da sempre, con un passato in Greenpeace. Insieme ad altri ex-colleghi e amici di altre ONG nel 2008 ha fondato Terra!, un’associazione indipendente e apartitica che vuole difendere l’ambiente operando sul territorio e attraverso campagne internazionali. “Terra!” ha l’obiettivo di creare un nuovo attivismo ambientale, aperto e partecipato che possa crescere grazie alle competenze e alla creatività di tutte le persone che vogliono agire per la salvaguardia del pianeta. All’interno dell’associazione Daniel si occupa di mobilità sostenibile e di trasporti, seguendo una campagna europea coordinata da Friends of the Earth Europe, volta all’abbattimento delle emissioni di CO2 dai trasporti.[/stextbox]

Oggi si parla tanto di auto elettriche, come la soluzione del futuro: l’auto elettrica può giocare un ruolo molto importante nel tagliare le emissioni di CO2 della Unione europea, ma l’attuale legislazione contiene scappatoie che possono portare ad un maggiore uso dei combustibili fossili.
Auto-elettriche-3A settembre il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso sostenne che i trasporti dovevano essere urgentemente decarbonizzati, alzando l’attenzione sul trasporto elettrico quale chiave di volta di questo processo. (1) Ma non è così, almeno in questa prima fase di transizione.
Secondo un rapporto pubblicato da Transport & Environment (2), gli obiettivi vincolanti della Unione europea in materia di emissioni di CO2 da auto approvati lo scorso Dicembre 2008, includono dei ‘supercrediti’ che permettono ai costruttori di auto di vendere 3,5 SUV superinquinanti per ogni veicolo elettrico venduto, permettendo loro di raggiungere ugualmente gli obiettivi fissati dalla UE. Questo perché le auto elettriche sono state fatte passare ad emissioni zero, nonostante il fatto che l’elettricità usata derivi da fonti fossili come il carbone. (3)
Il risultato di tutte queste scappatoie legislative sarà che i costruttori di automobili dovranno fare molti meno sforzi per ridurre le emissioni delle auto convenzionali, immettendo nel mercato qualche modello di auto elettrica.  E l’effetto complessivo sarà emissioni di CO2 più alte e maggior uso del petrolio, contrariamente alle finalità stesse della legislazione europea.
“Terra!” sostiene che queste scappatoie legislative debbano essere chiuse, affinché l’industria automobilistica affronti seriamente le proprie responsabilità nel taglio delle emissioni di CO2 e rafforzi i propri investimenti in efficienza energetica. I sogni delle innovazioni tecnologiche delle propulsioni elettriche o a idrogeno sono una buona cosa, ma in questo momento distolgono l’attenzione dei legislatori dal problema reale di migliorare l’efficienza dei motori a scoppio tradizionali; o tutte le parti in causa si impegnano in questo primo passaggio obbligato, o tutti gli altri che seguiranno risulteranno una pura operazione di greenwashing.Auto elettriche 2
Il ruolo dei legislatori europei è quello di tagliare le emissioni di CO2 e ridurre la dipendenza del mondo dal petrolio, non promuovere auto elettriche, soprattutto quando ancora non si hanno sistemi per capire da dove questa energia è stata prodotta, sistemi di misurazione dei consumi dalla rete o ancora, sistemi di monitoraggio per l’erogazione dell’energia elettrica che permettano di sviluppare nuove stazioni di servizio per la ricarica delle batterie.  L’Unione europea non deve farsi accecare dal mito dell’elettrico e guardare troppo al futuro, senza mantenere una vera pressione sugli standard di efficienza energetica al presente, perché altrimenti tutto il lavoro fatto fino ad oggi risulterà vano.
(2) Il rapporto “How to Avoid an Electric Shock – Electric Cars from Myth to Reality” è scaricabile da www.transportenvironment.org
(3) I supercrediti saranno messi al bando nel 2016, ma le auto elettriche rimarranno a zero emissioni.  I supercrediti sono stati presentati anche in una proposta dello scorso Ottobre sulle emissioni di CO2 dai furgoni e minibus.
[stextbox id=”info” caption=”Vuoi collaborare con Camminando Scalzi.it ?” bcolor=”4682b4″ bgcolor=”9fdaf8″ cbgcolor=”2f587a”]Collaborare con la blogzine è facile. Inviateci i vostri articoli seguendo le istruzioni che trovate qui. Siamo interessati alle vostre idee, alle vostre opinioni, alla vostra visione del mondo. Sentitevi liberi di scrivere di qualsiasi tematica vogliate. Vi aspettiamo numerosi.[/stextbox]

Seguite l'Onda di Camminando Scalzi!

Ogni giorno proponiamo qualcosa di nuovo ai nostri lettori. Oggi vi presentiamo una feature molto interessante, e siamo tra i primi siti a proporla (è infatti ancora in fase di testing).

Da oggi infatti, cliccando sulla voce “Wave(testing)” sul nostro sito, troverete una pagina in cui è integrata la Wave ufficiale di Camminando Scalzi. Il “testing” lo abbiamo lasciato perché è comunque una funzionalità nuovissima, quindi qualche problemino può ancora esserci (ma abbiamo pensato anche a spiegarvi come risolverli in ogni caso, nel primo blip della Wave). Ecco dove trovare il link:

wavetest

La Wave è di tipo pubblico, quindi chiunque abbia un account di Wave potrà seguirci e interagire con noi, direttamente dal nostro sito! (ovviamente saremo anche nel client normale di Google)

La domanda sorge però spontanea: e per chi non ha ancora un account Google Wave?

Camminando Scalzi ha pensato a tutto, e infatti da oggi regaliamo ben 10 inviti Wave ai primi dieci che commentano (e che non ce l’hanno già ovviamente) questo post. Quindi affrettatevi, l’onda vi aspetta!!!

P.S. Ancora non sapete cos’è Wave? Correte a leggere la nostra anteprima.

L'identità su internet

da Supereroi Mascherati a protagonisti del Grande Fratello.

[stextbox id=”custom” big=”true”]Questo articolo è stato pubblicato sul numero di Novembre della bellissima rivista online Blogmagazine. Vi invitiamo a raggiungere il sito e a leggere tutti gli articoli di questo mese, tra i quali trovate anche quello che state per leggere qui di seguito.[/stextbox]

ICQEra da poco trascorsa la prima metà degli anni novanta. La gente cominciava ad affacciarsi su internet, barcamenandosi tra una linea dial-up e l’altra, accompagnati dal cacofonico suono del modem che brontolava il numero telefonico a ogni login, annotando magari su un quaderno il tempo trascorso online, per evitare sorprese in bolletta.

Era un mondo tutto nuovo, da scoprire, ancora non consapevole di se stesso. I primi mezzi di comunicazione di massa online, superata una prima fase composta da email e newsgroup, erano principalmente due: i canali IRC e i primissimi Instant Messenger. Ci sentivamo tutti un po’ hacker, novelli Neo (e pensare che Matrix sarebbe uscito solo qualche anno dopo!), tizi a metà strada tra i Lone Gunman di X-files e Matthew Broderick in War Games, in realtà tutti un po’ spaventati da questa nuova forma di comunicazione senza controllo.
SpidermanIn questa prima fase, che noi usassimo ICQ o MSN (liste di contatti ristrettissime ovviamente… ricordo che l’indirizzo msn si dava solo a persone fidatissime!) o mIRC, l’imperativo era uno soltanto: nascondere la propria identità. Ed ecco che nascevano i nickname, i soprannomi, gli alias che ci avrebbero identificati online. Di giorno potevamo essere un Paolo Rossi qualunque, di notte, passata l’ora dello “scatto alla risposta”, assumevamo la nostra identità segreta online. Alcuni di noi erano dei veri e propri miti sui chan di discussione su IRC (ricordo diatribe infinite per avere la moderazione di un dato chan, status per pochi vip), si trattava di un’era totalmente romantica. Ci si poteva fingere chiunque. Poco importava che dall’altro lato della chat ci fosse un camionista di cinquant’anni… Lola25 per noi era la bellissima ragazza che si era descritta come tale. Ci credevamo perché volevamo così, perché eravamo protagonisti di un enorme gioco di ruolo di massa, senza regole scritte, ma rispettate da tutti. Era un po’ come essere dei supereroi, o forse è meglio dire antieroi. Si smettevano i nostri panni di studenti, lavoratori, quant’altro e si indossava la nostra maschera sotto forma di nick. Ogni nick poi aveva la sua storia, e si trovava spesso sui Forum di discussione un thread dedicato esclusivamente al significato e alla storia di ogni nickname. L’unicità era fondamentale, e andava di pari passo con il totale anonimato.

L’avvento di C6 portò l’instant messaging e la comunicazione sociale su internet alle masse. Chattare non era più una roba da soli nerd, ma cominciava a diventare il modo per conoscere gente, per comunicare, per flirtare. Internet cominciò ad essere l’estensione naturale della Smemoranda dell’adolescente di turno. Inutile dire che la prima generazione, più nerd, non vedeva molto di buon occhio questa innovazione. Tutto questo spostò lentamente il concetto di comunicazione attraverso internet verso qualcosa che fosse più massificato, qualcosa che fosse utilizzabile da tutti. La lista dei contatti di Msn cominciava ad allungarsi, ICQ passava di moda, i Forum spopolavano. Erano i primi anni ’00. Nasceva un nuovo fenomeno sociale di massa, quello dei Blog. Weblog, siti precostituiti in cui ognuno poteva scrivere i propri pensieri, anche con una conoscenza minima del codice html. I blog di allora erano totalmente diversi da oggi: era un fiorire di diari personali, di sfoghi, di considerazioni. Era cominciata l’era dell’esibizionismo su internet.
Era un periodo in cui nascevano delle vere e proprie Blogstar, personaggi della blogosfera che erano preceduti dalla loro popolarità, alcuni giunti persino a scrivere dei libri. Nascondersi stava diventando ormai fuori moda, i nick stavano cominciando a sparire a favore di persone vere, che avevano delle facce vere, magari delle foto personali, e non più avatar che li rappresentassero. Gli elfi e i cantanti rock lasciavano spazio alle facce della gente comune, il supereroe toglieva la sua maschera e si svelava per quello che era in realtà. Il “romanticismo” era finito.

Grande FratelloCi si avvicina così al giorno d’oggi, l’epoca dell’esplosione del social network. Da noi in Italia il primo boom l’ha avuto Badoo, ricettacolo dei peggiori elementi alla ricerca di una conquista facile, sintesi internettiana della discoteca nella vita reale. Snobbato dalla classe nerd, è stato il primo Social network a far parlare di sé dalle nostre parti. Nel frattempo la lista dei contatti msn è diventata spropositata, ci sono contatti che nemmeno conosciamo più, e riguardare quello screenshot di dodici anni fa, con quattro – QUATTRO – contatti totali fa quasi scendere una lacrima di commozione.

logo_facebookIl nickname perde tutto il suo valore, gli account di Gmail e di Google in generale premono per una totale “esibizione” della propria identità, fino all’arrivo di Facebook, che come uno tsunami inarrestabile spazza via tutti gli ultimi dieci anni di antieroismo virtuale. E’ finita l’era del “segreto”. Siamo entrati nell’era del Grande Fratello. Ma non un Grande Fratello Orwelliano, imposto dall’alto, gioco a cui siamo costretti. Piuttosto un Grande Fratello in salsa Endemol, dove noi tutti, nostro malgrado, ci siamo iscritti volontariamente e volontariamente facciamo a gara a scrivere di tutti i nostri più intimi fattacci. Pensateci, fate un salto su facebook e guardate un po’ quante informazioni dei vostri amici avete sott’occhio: potete sapere dov’era una data sera, con chi era, se è fidanzato o meno, se legge e cosa, che film ha visto al cinema, qual è il suo gruppo preferito. Tutto esibito, fotografato, taggato e impacchettato volontariamente. Un immenso supermercato di informazioni che costano un semplicissimo “Richiedi amicizia”, e null’altro. Internet non spaventa più come un tempo, e se nella vita reale proprio non siamo riusciti a guadagnarci il nostro quarto d’ora di celebrità tanto agognato, cerchiamo nel fluire della vita telematica uno scampolo di notorietà di cui tanto abbiamo bisogno.
A pensarci bene, che lo facessimo –nei primi tempi- nascondendoci dietro un nick e fingendoci altri da noi, o lo facciamo oggi mostrando tutte le volte che andiamo in bagno, rimane ancora un fattore in comune: la continua e costante fuga dalla vita reale.

Classics 01 – Johann Sebastian Bach

[stextbox id=”custom” float=”false” width=”350″ color=”000000″ ccolor=”000000″ bcolor=”d36f02″ bgcolor=”FAD875″ cbgcolor=”fab837″ image=”http://www.camminandoscalzi.it/50px”%5D

” CLASSICS ” : La musica classica è su Camminando Scalzi.it

Questa è la prima puntata di una serie di ascolti guidati che vi invitiamo a fare sulla musica classica. Verranno affrontati i più grandi autori della storia della musica, scegliendo le migliori interpretazioni da youtube affinché siano coerenti con l’estetica dei compositori. Il percorso sarà in ordine cronologico, questo per far sì che possiate seguire l’evoluzione storica della musica nei secoli. Cominciamo con un mostro “sacro” della classica: J.S. Bach. Buona lettura ma soprattutto buon ascolto.[/stextbox]

icon solJohann Sebastian Bach (Eisenach, 21 marzo 1689 – Lipsia, 28 luglio 1750) è considerato unanimemente uno dei più grandi compositori di musica nella storia dell’umanità. Fu anche organista, clavicembalista, violinista e maestro di coro.  La sua vita fu tutta incentrata sulla musica e sulla sua produzione: sono state elencate circa 1000 (!) opere, tra genere sacro e profano, nel catalogo Bach-Werke-Verzeichnis (BWV). Fu di fede protestante, amava le opere del creato, la vita: oltre a creare musica, procreò ventuno figli, da due mogli (la prima morì improvvisamente), anche se molti di loro non sopravvissero per malattia.

Bach non conseguì particolare successo all’epoca principalmente per la difficoltà di diffusione dei suoi lavori, ostici dal punto di vista tecnico. Come capita spesso ai grandi geni, non ebbe la gloria che si meritava in vita e fu anche dimenticato per diverso tempo post mortem. Fu Felix Mendelssohn a riportarlo in auge con l’esecuzione della Passione secondo Matteo nel 1829 a Berlino. Proprio con quest’opera cominciamo il nostro ascolto guidato: è un’opera sacra, trasposizione musicale della Passione di Gesù descritta nei capitoli ventisei e ventisette del Vangelo secondo Matteo. L’organico è vasto: doppio coro più uno di soprani in ripieno (solitamente voci bianche), doppia orchestra (nel video due flauti, tre oboi, fagotto, organo, orchestra d’archi, il tutto per il doppio).  Una tale massa strumentale crea un volume sonoro notevole; inoltre noterete che essa è disposta in due ali creando un effetto stereofonico.  Il video scelto è l’introduzione all’intera opera; vi raccomando di selezionare “High Quality” in Youtube e di impostare un volume d’ascolto adeguatamente alto. Cercate di cogliere l’eccezionale senso drammatico-mistico di quest’episodio, carattere poi di tutta l’opera.

Non immaginate quanto mi senta piccolo dopo l’ascolto di questo brano! E’ sicuramente un’esperienza d’ascolto estasiante. Eppure fino a non molto tempo fa ho detestato Bach. Vero. Da pianista ho dovuto affrontare le difficoltà tecniche dei Preludi e Fughe del “Clavicembalo ben temperato” nel mio percorso di studi accademici, studiando obbligatoriamente quarantotto pezzi. In quel periodo non ho avuto modo di approfondire perché c’era la priorità, l’esigenza di non potersi fermare, tale era la mole di studio da dover affrontare quotidianamente.  Sono stato fortunato ad aver avuto successivamente il tempo necessario per poterlo riscoprire e ristudiarlo; ora sono qui a tesserne le lodi. Vi propongo l’ultimo preludio e la relativa fuga che ho letto, in separata sede di studi, tratta dal secondo libro del “Clavicembalo ben temperato”.  Noterete nel preludio la ridondante cellula ritmica. C’è un motivo apparente per questa scelta così pregnante? Sembra un mistero. E’ un enigma, vi è un segno dell’ineluttabilità del tempo, del nostro destino. Tutto scorre ma non ci si può opporre.  Per quanto riguarda la fuga questa è una composizione polifonica, a quattro voci: per sua stessa definizione noterete il Tema che passa e si “rincorre” tra le varie voci. Vi sentirete costantemente incalzati dalla musica. Il tutto costruito con un perfetto “geometrismo musicale”.

Le regole di composizione sono oggettive, scolpite dalla forma: non vi è spazio per l’ego. Non v’è traccia di scrittura in prima persona. La tessitura delle voci non lascia spazio ad un carattere “umano”, la musica trascende la dimensione del suo “io”.  Da qui credo che Bach non avesse occhio “umano” nel guardarsi intorno, ma che fosse sempre in una realtà trascesa, una visione in terza persona. La sua armonia in vita si riflette nel suo creato musicale. Non pretende di imporre la sua personalità a chi lo ascolta,  la sua forza sta nella non opinabilità dell’oggettività del creato, quella cui solitamente ogni uomo tende ma con il proprio “io”. Diffidiamo da chi ci propina la musica come arte vista con il proprio ego o deformata dai modelli di mercato! Sono quelli più poveri nei contenuti e quei compositori di tale paventata arte si coprono di ridicolo.

Adesso ascolterete un capolavoro della  letteratura violoncellistica, il preludio della suite in sol maggiore, eseguito dal grande Yo Yo Ma.

Una quiete perpetua. Un sentimento di gioia e di conforto nella natura. Su quest’onda di sensazioni ascoltiamo la celeberrima Aria sulla quarta corda, dalla suite per orchestra n.3.

Penso che a questo punto avrete capito di cosa stiamo parlando. La forza dell’opera di Bach risiede nel materiale sonoro stesso. Provate ad ascoltare la stessa opera trascritta per uno strumento solista: la musica “funziona” ugualmente. Questa caratteristica è prerogativa solo dei grandi compositori.
Vi invito ad ascoltare gli ultimi due brani scelti.  Il primo è tratto dalla seconda suite per orchestra, che comprende la celeberrima “Badinerie”, una forma di danza di carattere gioioso e leggero.  Qui vi è il Bach di corte.

L’ultimo brano è la “Toccata e Fuga” scritta per organo, capolavoro poi mutuato dalla letteratura pianistica con la trascrizione di Busoni. E’ sicuramente il brano più celebre scritto per organo –chi di voi non conosce l’incipit?- e credo che sia anche il più conosciuto di Bach, quello per cui è conosciuto anche dai non appassionati del genere.

Balotelli e l'ipocrisia razzista

Ci risiamo.
Anche ieri a Bordeaux si è sentito il coro: “Se saltelli muore Balotelli”, intonato nel settore dei tifosi della Juventus.
Dopo questo scorretto jingle, Buffon e Secco sono andati sotto la
curva a cercare di persuadere i 300 dal cantare, inutilmente.
Ci ha provato allora
lo speaker dello stadio ricordando che a Bordeaux il razzismo non è accettato (in quali città francesi quindi è accettato?).
Dopo essere stati rimproverati, i 300 tifosi si sono calmati, hanno ripreso fiato e hanno intonato:”Un negro non può essere
italiano”.
Lì scommetto che Secco ha pensato “Cazzo era meglio il primo coro”.
Punto 1 – Il primo coro non è razzista, è un coro
da stadio, vecchio quanto il “Devi Morire” intonato quando un
avversario rimane a terra infortunato.
Non ho mai sentito allo
stadio “Coraggio riprenditi”, o “Avversario facci un gol”.
Non è il rugby.
Punto 2 – Il secondo coro è razzista, ovvio. Ma finchè ci sono
Ministri della Repubblica Italiana che inneggiano all’inesistente
“Padania”, perchè stupirsi? Quelle persone sono state elette dal
popolo. Li rappresentano. Perchè stupirsi?
Prima di tutto, puniscano tutti i rappresentanti dei cittadini che si macchiano di razzismo, dai parlamentari -http://www.corriere.it/Primo_Piano/Politica/2006/01_Gennaio/15/calderoli.shtml –  ai comunali – http://www.camminandoscalzi.it/wordpress/il-white-christmas-di-brescia.html – . Solo così si può urlare allo scandalo dei cori razzisti negli stadi senza ipocrisia.
Questo deprecabile razzismo da stadio sta rovinando l’immagine di milioni di razzisti per bene. (Altan)

Ci risiamo.

balotelliAnche ieri a Bordeaux si è sentito il coro: “Se saltelli muore Balotelli”, intonato nel settore dei tifosi della Juventus.

Dopo questo scorretto jingle, Buffon e Secco sono andati sotto la curva a cercare di persuadere i 300 dal cantare. Inutilmente.

Ci ha provato allora lo speaker dello stadio ricordando che a Bordeaux il razzismo non è accettato (in quali città francesi quindi è lo è? ).

Dopo essere stati rimproverati, i 300 tifosi si sono calmati, hanno ripreso fiato e hanno intonato: “Un negro non può essere italiano”.

Lì scommetto che Secco ha pensato “Cazzo era meglio il primo coro “.

Punto 1 – Il primo coro non è razzista, è un coro da stadio, vecchio quanto il “devi morire” intonato quando un avversario rimane a terra infortunato.  Non ho mai sentito allo stadio un “coraggio riprenditi”, o “avversario facci un gol”.

Andiamo, non è il rugby.

Punto 2 – Il secondo coro è razzista, ovvio.

Moneta Lega CLP 003Espressione di una mancanza di cultura e civiltà che in Italia è dominante. Viviamo in una provincia che spera nella botta di culo.  O per dirla alla Diogene: Preferisco avere una goccia di fortuna che una botte di saggezza”.

Quello che penso sempre in questi casi è che finchè ci sono Ministri della Repubblica Italiana che inneggiano all’inesistente “Padania“, perchè stupirsi? Quelle persone sono state elette dal popolo. Li rappresentano. Perchè stupirsi?

Perchè non puniscono  tutti i rappresentanti dei cittadini che si macchiano di razzismo? Dai parlamentari http://www.corriere.it/Primo_Piano/Politica/2006/01_Gennaio/15/calderoli.shtml –  ai comunali – http://www.camminandoscalzi.it/wordpress/il-white-christmas-di-brescia.html – .

Se lo facessero, allora si potrà urlare allo scandalo dei cori razzisti negli stadi senza ipocrisia.

Questo deprecabile razzismo da stadio sta rovinando l’immagine di milioni di razzisti per bene. (Altan)

Tar Sands: sabbie bituminose in Congo

[stextbox id=”custom” float=”false” width=”350″ color=”000000″ ccolor=”000000″ bcolor=”d36f02″ bgcolor=”FAD875″ cbgcolor=”fab837″ image=”http://www.camminandoscalzi.it/50px”%5D

Ritorniamo a parlare di ambiente!

L’autore dell’articolo di oggi è Luca Manes, giornalista pubblicista e responsabile della comunicazione della CRBM (Campagna per la Riforma della Banca Mondiale).
La Campagna lavora per una democratizzazione e una profonda riforma ambientale e sociale delle istituzioni finanziarie internazionali che rimangono i principali responsabili dell’iniquo processo di globalizzazione che viviamo.
Per maggiori informazioni vi invitiamo a visitare il loro sito.
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Un rapporto redatto dalla  Fondazione Heinrich Boell –al quale ha dato il suo contributo la Campagna per la Riforma della Banca Mondiale- svela i controversi interessi dell’Eni nella Repubblica del Congo, soffermandosi in particolare sulla delicata questione dello sfruttamento delle sabbie bituminose.

Presente nel Paese dalla fine degli anni Sessanta, attualmente in Congo l’Eni sta pianificando un investimento multimiliardario su diversi fronti. Nel maggio del 2008, la compagnia del cane a sei zampe ha siglato un accordo “ombrello” – non reso pubblico per la clausola di confidenzialità – con l’esecutivo del Congo per un investimento di 3 miliardi di dollari nel periodo 2008-2012. L’ intesa, oltre a riguardare l’esplorazione delle sabbie bituminose, copre anche la produzione di olio di palma per alimentazione e biocombustibili e la costruzione di un impianto a gas da 350/400 megawatt.

Le sabbie bituminose e i biocombustibili sono due aree di investimento che suscitano molte perplessità. Numerose sono le organizzazioni della società civile internazionale e della comunità scientifica che mettono in dubbio l’efficacia delle due risorse, soprattutto a causa dei loro devastanti impatti sociali e ambientali e per le elevate emissioni di gas serra ad essi riconducibili. La produzione di un barile di sabbie bituminose rilascia nell’atmosfera dalle tre alle cinque volte più gas nocivi della quantità derivata dall’estrazione di petrolio convenzionale, oltre a causare livelli di inquinamento delle acque e della terra molto ingenti. L’unico Paese al mondo dove è attualmente in atto lo sfruttamento del tar sands è il Canada, nella regione dell’Alberta, dove il deterioramento ambientale è ormai in una fase critica. L’area interessata dalla attività dell’Eni in Congo si estende per 1.790 chilometri quadrati e dovrebbe portare alla produzione di 2,5 miliardi di barili di greggio, con altri 500 milioni possibili.

congo

La minaccia che lo sviluppo delle sabbie bituminose in Congo possa causare danni ambientali e sociali irrimediabili è seria e concreta: il rapporto pone l’accento sul fatto che la maggior parte del territorio incluso nella licenza è coperto da foresta tropicale primaria, mentre il rimanente è popolato da comunità locali di produttori agricoli su piccola scala. Inoltre, la seconda città del Paese, Pointe Noire, si trova a soli 70 chilometri dal luogo dove l’Eni sta attualmente effettuando le prime esplorazioni. Sebbene l’Eni abbia dichiarato che cercherà di “minimizzare gli impatti ambientali e di studiare le tecniche più appropriate di conservazione e recupero”, al momento sembra difficile pensare a una maniera sostenibile di sfruttamento delle sabbie bituminose. Le stesse comunità locali congolesi sono preoccupate per la mancanza di consultazioni, non solo per in merito alle sabbie bituminose, ma anche per lo sfruttamento petrolifero. Nel giacimento di M’Boundi, gestito proprio dall’Eni, la compagnia continua la pratica  del gas flaring, che consiste nel bruciare a cielo aperto gas naturale collegato all’estrazione del greggio, fonte di piogge acide e considerato una delle cause principali dell’effetto serra. I piani dell’Eni di trasformare questo gas in energia elettrica potrebbero essere i benvenuti, ma solo se i cittadini congolesi – per il 70% senza accesso all’energia – potranno beneficiarne, e se gli stessi saranno messi a conoscenza nel dettaglio delle politiche ambientali e sui diritti umani della multinazionale petrolifera.

Tar Sands
Tar Sands

Nonostante sia il quinto esportatore africano di petrolio, il Congo è uno dei Paesi più poveri del pianeta. Lì come in molti altri Paesi del Sud l’oro nero non ha portato benessere, eppure incide per il 90 per cento sugli introiti derivanti dall’export, per un totale che nel 2008 si è attestato intorno ai 4,4 miliardi di dollari. Il 70 per cento dei tre milioni di abitanti della Repubblica del Congo vive sotto la soglia della povertà. Si stima che solo un quarto della popolazione abbia accesso all’energia elettrica. Come se non bastasse, il Paese non ha adeguate normative ambientali né la capacità di metterle in atto. Nelle elezioni dello scorso luglio è stato confermato Presidente con circa il 78 per cento dei voti Denis Sassou Nguesso, ritornato in carica nel 1997 con un colpo di stato e che a parte qualche breve interruzione governa da quasi trent’anni. In realtà la tornata elettorale è stata pesantemente boicottata da tutti i partiti di opposizione, che lamentano la profonda mancanza di democrazia nel Paese. Come se non bastasse, nel 2007 la Ong Global Witness ha pubblicato sul suo sito web le prove che il figlio del presidente della Repubblica, capo della divisione marketing della compagnia petrolifera nazionale, aveva pagato dei beni di lusso impiegando dei conti offshore sui quali venivano trasferiti i proventi della vendita del petrolio.

La partita delle sabbie bituminose rischia di complicare ancora di più un contesto già molto complesso.

Camminando Scalzi 3.0!

Siamo orgogliosi di presentarvi una veste grafica completamente rinnovata per il nostro sito!

Dopo un lungo lavoro di adattamento e personalizzazione, siamo pronti a proporvi un’evoluzione che speriamo vi piaccia.

Della grafica si è occupato il nostro RgB (al secolo Andrès Roberto Miraglia), mentre della parte tecnica il nostro Jacen (al secolo Luca Iorio). E’ stato un lavoro duro, ma l’abbiamo fatto soprattutto per venire incontro a voi lettori, per proporvi un prodotto sempre nuovo e al passo con i tempi.

La nuova home page adesso vi permetterà di tenere sott’occhio tutti gli ultimi articoli in uscita nel nostro sito, in modo da non perdervi nessun contenuto pubblicato da noi. Inoltre, grazie al nuovo slideshow degli articoli, metteremo in evidenza gli argomenti più caldi e interessanti della settimana, selezionati per voi dalla nostra sempre attentissima redazione.
Inserire un commento ad un articolo adesso è molto più intuitivo e semplice (speriamo così di invitarvi tutti a partecipare molto più assiduamente anche con le vostre opinioni… I vostri pareri ci interessano tantissimo, non lo dimenticate!), ed ogni articolo vi offre una praticissima barra sulla destra per controllare i post correlati o navigare all’interno del sito.

Ci auguriamo che queste novità siano di vostro gradimento, e vi annunciamo sin da ora che è soltanto l’inizio, il nuovo tema verrà man mano raffinato e sistemato, abbiamo in mente grandi cose, e le porteremo tutte in porto. E’ una promessa.

Chiudo ringraziando soprattutto voi lettori, che siete tantissimi ogni giorno, che affollate la nostra pagina Facebook (oggi abbiamo superato i 200 fan! Grazie, grazie di cuore) e ci seguite assiduamente, che oggi siete qui con noi a festeggiare il secondo mese di vita -due mesi e siamo già arrivati così lontano, non ce l’aspettavamo!- della nostra blogzine.

Come sempre, liberi. Come ci si sente Camminando Scalzi

Il "White Christmas" di Brescia

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Una nuova collaboratrice su Camminando Scalzi.it

Si unisce a noi Erika Farris, autrice del blog “Isterika“. Erika nella vita è un’aspirante giornalista e oggi ci propone il suo primo articolo di attualità.
Buona lettura!

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Un bianco Natale senza immigrati – titola un articolo di Repubblica.it del 18 novembre – Per le feste il comune caccia i clandestini”.
A Coccaglio, in provincia di Brescia, il sindaco leghista e la sua amministrazione comunale hanno deciso di “Far piazza pulita”, giacché il “Natale non è la festa dell’accoglienza ma della tradizione cristiana”. Anche Monica la pensa come loro. Lei è mamma di due ragazzi e lamenta: “I miei figli hanno solo amici extracomunitari. Uno ha 14 anni, l’altro 12. Vanno in giro sempre con due romeni e due africani. A Coccaglio sono tantissimi. Io però non voglio che escano con questi. È razzismo questo?”.

immigrazioneRazzismo? Ma figuriamoci… Disprezzare qualcuno solo perché è romeno o africano sta alla base del processo d’integrazione, così come il “White Christmas” a caccia di neri, per debellare il pericoloso morbo di clandestinità tanto diffuso tra i cittadini di colore.
Ma cosa si intende con la parola clandestino? Come spiega Giuseppe Faso in Lessico del razzismo democratico, «si può essere senza “permesso di soggiorno” perché lo si aveva, e non si è riusciti a rinnovarlo; o perché si è entrati in Italia con un visto turistico, che poi è scaduto; oppure perché si è entrati in Italia di soppiatto. I primi due sono “irregolari”, quest’ultimo è “clandestino”. Cosa cambia? I primi due hanno dato “contezza di sé” presso un ufficio di polizia, il terzo no».
Ma il recente “Decreto Sicurezza” sancisce l’illegalità di questo status, dove irregolare è sinonimo di clandestino. Dove avere un documento scaduto equivale ad essere un criminale perseguibile dalla legge…

integrazioneGeoffrey è californiano, studia in Italia da circa 5 anni e il suo permesso di soggiorno va annualmente rinnovato, con un preavviso di 60 giorni. “Nessuno mi ha mai controllato, – afferma – ma mi è capitato più di una volta di avere il permesso scaduto, in attesa di un rinnovo che spesso arrivava a pochi giorni dalla scadenza. La burocrazia italiana è terribilmente lenta ed inefficiente”.

Fatjona è albanese e vive a Firenze da quasi 6 anni, dove lavora per pagarsi gli studi. “Ogni anno è la stessa storia – spiega. – Due mesi prima della scadenza del permesso presenti la domanda per rinnovarlo, ma non puoi mai sapere quando arriverà. In Italia è molto facile diventare clandestini”.

Maria è nata in Toscana 21 anni fa, ma è figlia di immigrati cinesi e neppure la sua condizione è troppo facile. “Non sono un’immigrata perché sono nata qui, – afferma – eppure mi definiscono migrante di seconda generazione. Mi sento come una persona senza radici: i miei tratti somatici mi caratterizzano come cinese, ma la lingua e la cultura che conosco mi rendono italiana, sebbene sino ai 18 anni io non avessi neppure il diritto di chiedere la cittadinanza”.

Persino il noto giornalista Gad Lerner, intervistato da Fabio Fazio durante la puntata di Che tempo che fa del 21 novembre, ha affermato di essere stato “clandestino” in più di un’occasione prima di ottenere la cittadinanza italiana, e sempre per disguidi burocratici.

Criminali senza crimine e clandestini senza clandestinità, in un Paese incoerente, opportunista e con una memoria troppo corta per ricordare il proprio passato…

Google Chrome OS, lʼos si trasferisce in nuvola

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Un gradito ritorno


Torna a scrivere per Camminando Scalzi Mauro Fava autore del blog informatico “Linux e dintorni“. Mauro, dopo averci presentato Google Wave, è qui per raccontare le sue prime impressioni sul sistema operativo open source Google Chrome OS.

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Il nuovo OS di Google promette di portare tutto quello di cui avete bisogno online. Ma siamo veramente pronti?

google_logoLa scorsa settimana, dopo giorni e giorni di indiscrezioni più o meno veritiere, Google ha finalmente presentato i primi risultati del suo progetto “Chrome OS” annunciato circa quattro mesi fa. Le aspettative erano molte ed in parte, per chi si aspettava un sistema operativo rivoluzionario, non sono state deluse. Iniziamo con il dire che il motore che spinge Chrome fin dalle sue fondamenta è Linux, il famoso kernel open source che equipaggia tutte le distribuzioni che possiamo reperire come OpenSUSE, Fedora, Ubuntu, Debian ed altre meno famose ma non per questo di minore importanza. Questa scelta comporta necessariamente una felice scelta di licenza, integrando il kernel Linux il progetto deve essere rilasciato sotto una delle tante licenze Open Source disponibili, la stessa Google a poche ore di distanza dalla presentazione del progetto ha provveduto al rilascio dei sorgenti completi del progetto. Stiamo parlando di una nuova concezione di quello che chiamiamo sistema operativo.  Iniziamo con il dire che se il cuore è Linux, tutto il resto è stato creato partendo da una Debian per poi arrivare, con le dovute modifiche e con lʼaiuto del team di Canonical, a quello che possiamo definire come un risultato che lascia molto disorientati.

Il sistema è dedicato a quella fascia di pc che viene definita netbook; tra i suoi rappresentanti possiamo annoverare modelli dei più famosi produttori i quali propongono sistemi solitamente equipaggiati con processore Atom e schermi di ridotte dimensioni. Fin da subito però ci scontriamo con la prima pesante limitazione ovvero lʼincapacità del sistema di essere installato allʼinterno di quei netbook equipaggiati con tradizionali Hdd meccanici sata o pata: il team di Google ha escluso questa possibilità direttamente a livello kernel, il che lascia spazio solo a sistemi con dischi a stato solido. Se da un lato questa scelta può avvantaggiare la velocità di trasferimento dei dati, dallʼaltra è possibile subito constatare come la scelta riduca fin da subito il mercato a pochi modelli in vendita visto che il mercato si è spostato sulle periferiche di memorizzazione di massa standard con un taglio medio di 160 Gb.
La strategia fa pensare fin da subito a soluzioni hardware appositamente sviluppate e commercializzate dalle aziende con la collaborazione di Google da dividere per mercato, nazione e prezzo come più aggrada i produttori. Il sistema è in grado di effettuare il boot in soli 7 secondi, certamente un risultato sorprendente ma che fa pagare un pesante tributo.

Immagine1Come è possibile vedere dallʼimmagine a destra un classico OS, come in questo caso Win, ha innumerevoli servizi da avviare mentre Chrome OS, vista la sua ridotta architettura, riesce a spuntare record impensabili con altri OS, siano essi Unix like o Windows. Lʼestrema ottimizzazione del kernel fa da padrona in questo caso ma il dubbio che tutto sia ridotto ai minimi termini è molto forte. Allo stato attuale, anche se non ne ho la certezza, posso affermare con ragionevole margine dʼerrore che il collegamento di periferiche usb diverse da dispositivi di memorizzazione di massa potrebbe essere veramente difficile.

Certamente va considerata la natura stessa del progetto, Chrome OS è nato evidentemente per permettere lʼutilizzo di tutte le applicazioni web Google in mobilità. I vostri file saranno online, i vostri software saranno online e tutto sarà fatto sfruttando il cloud computing. La stessa tab del sistema operativo che serve per richiamare il software disponibile non fa altro che mostrare sulla stessa pagine tutti i software online offerti dalla grande G: troviamo Reader, Docs, Mail e tutto quel cosmo che ruota intorno al nome più famoso del web.

Il sistema è totalmente immune da virus, il kernel Linux non da certo modo di preoccuparsi sotto questo punto di vista ma da un OS Linux ci sia aspetterebbe un accesso ad una console di sistema che allo stato attuale non è invece raggiungibile. Una volta effettuato il login nel sistema, usando il vostro account gmail, vi troverete allʼinterno di un ecosistema che personalmente mi ha dato lʼimpressione di essere come imprigionato in quello che potremmo definire il “Google World”.

Lʼinterfaccia è minimale e tutto, ma proprio tutto, è eseguito ed effettuato attraverso il browser Chrome, che si comporta da browser o da editor di testi a seconda di quello che desideriate fare in quel determinato instante.  Allo stato attuale sembra impossibile esplorare il disco di sistema se non inserendo una chiavetta usb che dà subito accesso ad una sorta di visualizzatore del file system, in grado di esplorare le cartelle di sistema. Tutto si riduce ai minimi termini: poche icone, poche impostazioni modificabili ed in generale poco di tutto… Amo i sistemi minimali ma qui forse si esagera.

chromeLʼinterfaccia realizzata completamente in GTL+ è quella del browser Chrome e se per caso vi trovate nella condizione di avere chiuso tutte le tab del browser non vi preoccupate: esso ripartirà in men che non si dica, a testimonianza che quello è il solo software che mette in contatto voi ed il vostro hardware. Volendo scendere più in profondità possiamo solo visualizzare la tab dei processi aperti che, neanche a dirlo, ha tanti processi aperti per quante tab di google Chrome sono in funzione. Tutta questa semplificazione introdotta nellʼinterfaccia rende anche difficile superare il primo apprendimento: dopo qualche ora di sperimentazione si ha ancora difficoltà nel capire la disposizione di strumenti ed interfaccia che, fondamentalmente, non esistono.

Vi starete certamente chiedendo come sia possibile lavorare in assenza di connettività… La risposta in realtà è molto semplice: è impossibile.

Senza una adeguata linea internet, sia essa wifi o di altro genere, il sistema è totalmente inerte, tanto da non riuscire ad effettuare il login sulla macchina stessa. Non voglio essere troppo frettoloso nel rilasciare giudizi ma per ora non vedo grande spazio per questo nuovo OS che, pur se innovativo e dalla concezione estremamente interessante, non ha margini di mercato presso il normale utente abituato ad un modello dʼuso del pc consolidato da anni.

Le limitazioni maggiori per la diffusione di Chrome OS potrebbero proprio trovarsi allʼinterno della stessa infrastruttura informatica di un paese. Prendendo ad esempio il caso del nostro paese, è evidente come un OS che per funzionare ha la necessità di essere online sia di difficile utilizzo a causa delle profonde limitazione al quale le utenze del nostro territorio debbono sottostare. Si potrebbe optare per una connessione di tipo mobile ma con le tariffe attuali e con le loro limitazioni sarebbe come pagare un abbonamento di qualche decina di euro mensili per usare il proprio PC.

Da non dimenticare che la versione che è stata analizzata è solo una compilazione dei sorgenti che la stessa azienda ha rilasciato poche ore dopo la presentazione dellʼOS; magari le cose sono già nettamente migliorate e già pronte per un debutto in grande stile, che dovrebbe avvenire nella prima metà del 2010.

Siamo quindi sicuri che la soluzione a tutti i nostri problemi di OS passi per il cloud computing?

A mio avviso è ancora prematuro affrontare un progetto del genere ma si sa che le grandi idee sono quelle che ad un primo momento sembrano essere le peggiori. Google ci ha abituato alle grandi rivoluzioni scaturite in seno ai propri uffici, magari riuscirà a sorprenderci anche questa volta.

Vi propongo un filmato del sistema operante allʼinterno di una macchina virtuale realizzata su piattaforma MacOSX Snow Leopard.