Sia fatta la luce…

Da sempre l’avanzamento del progresso tecnologico segue il corrispettivo avanzamento nella comprensione dell’universo che ci circonda. Un esempio lampante riguardo questo ambito è rappresentato dalle differenti tecnologie per l’illuminazione che si sono susseguite nel tempo. La luce è sempre stato un simbolo dell’avanzamento tecnologico, a partire dalla scoperta del fuoco arrivando ai giorni nostri. La luce permette all’uomo di vedere di notte e di riscaldarsi, supplendo alle carenze in fatto di vista e protezione dalle intemperie dei nostri corpi. In tempi più recenti, lo sviluppo dei sistemi per la produzione di energia elettrica ha permesso di far affidamento su una riserva di energia meccanica e luminosa praticamente continua, il che ha avuto delle conseguenze anche sul piano sociale, oltre che su quello economico. Ultimamente ha preso importanza l’ambito del risparmio energetico, all’interno del quale si gioca l’importante partita dell’efficienza di utilizzo in vista del surriscaldamento globale, oramai un dato di fatto. Se da un lato è infatti importante produrre più energia in modo più pulito, è altrettanto importante utilizzare al meglio quella che già c’è, limitando gli sprechi e sforzandosi di adottare sistemi che magari sono economicamente più costosi, ma energeticamente molto avanzati. Ma iniziamo per gradi…

Lampade a incandescenza (elettromagnetismo)

La comune lampada a incandescenza è stata inventata nel 1854 da Goebbel, ma è stato Edison a perfezionarla e a produrne un modello sufficientemente durevole, nel 1878. Il principio alla base del funzionamento di una lampada a incandescenza è l’effetto Joule: una corrente che passa all’interno di un conduttore, tende ad essere riconvertita in calore per effetto della resistenza elettrica. Se la potenza dissipata è sufficientemente alta, il conduttore in questione diventa incandescente, e produce luce. Le moderne lampadine a incandescenza utilizzano un filamento di tungsteno, il metallo con il maggiore punto di fusione, che riscaldandosi oltre i 2700 °K produce una luce molto calda, tendenzialmente spostata verso il rosso/giallo. L’efficienza di questo tipo di lampadine è molto bassa, attestandosi attorno ad un misero 5%. Il 95% di quel che la lampadina assorbe viene riemesso sotto forma di calore, come ben sa chiunque abbia cercato di bigiare l’interrogazione di storia e filosofia cercando di spacciare per veritiera una temperatura corporea di oltre 45 gradi. Il bulbo stesso della lampadina è riempito con un gas inerte (generalmente argon) a bassa pressione, per evitare che il tungsteno inizi a bruciare e per diminuire il rischio di implosione. Il costo di produzione di queste lampadine è molto basso, ma la loro vita media ed efficienza sono le peggiori in assoluto. A iniziare dal 2009 l’UE ha deciso di iniziare con il bando delle lampadine da 100W, vietandone la vendita e la produzione. A seguire negli anni successivi, fino al 2012, verrano progressivamente bandite tutte le lampadine, garantendo un notevole risparmio energetico, stimato in circa 40 terwatt/ora, approssimativamente il consumo di 11 milioni di case.

Lampade a fluorescenza (teoria dell’atomo quantizzato)

In una lampada a scarica l’emanazione della luce avviene per mezzo di un plasma, ottenuto facendo passare una corrente elettrica all’interno di un tubo riempito di un gas opportuno. La corrente elettrica fornisce energia agli atomi di gas presenti all’interno del tubo, che si ionizzano emettendo uno dei propri elettroni più esterni. Successivamente gli elettroni, ricombinandosi con gli atomi, provocano la riemissione dell’energia precedentemente assorbita dall’atomo sotto forma di onda elettromagnetica. Il colore della luce emessa dipende dal tipo di gas utilizzato all’interno del tubo a scarica. Ogni atomo infatti presenta livelli energetici precisi entro cui può assorbire ed emettere luce, e a differenti energie dei fotoni emessi corrispondono differenti colorazioni. Le più comuni lampade a fluorescenza sfruttano come gas dei vapori di mercurio, che hanno il vantaggio di generare una luce bianca se combinati con un rivestimento fluorescente all’interno del tubo. Questo tipo di lampade presentano numerosi vantaggi rispetto alle normali lampadine. Ad un efficienza del 75% superiore, si aggiunge una durevolezza molto maggiore, in virtù del fatto che con l’assenza del filamento viene a mancare l’elemento più delicato e principale causa di guasti all’interno delle lampadine.

Diodi ad emissione di luce (teoria dei semiconduttori)

I recenti sviluppi tecnologici nel campo dei semiconduttori hanno determinato la nascita di numerosissimi dispositivi elettronici atti ai più disparati scopi. La continua miniaturizzazione delle componenti ha inoltre permesso di costruire tali dispositivi con delle dimensioni impensabili fino a poco tempo fa. Non fanno eccezione i diodi ad emissione di luce (per gli amici “LED”), che possiamo trovare a dimensioni decisamente più minute rispetto ai comuni tubi a scarica o lampade a incandescenza. Come suggerisce il nome, un LED non è altro che un diodo (ovvero un dispositivo in grado di lasciar passare la corrente in un unica direzione), composto due sottili strati di materiale semiconduttore. Questi due strati vengono drogati tramite opportuni elementi, per ottenere eccesso di carica in uno, e difetto nell’altro. Si crea quindi una giunzione p-n: le cariche in eccesso nello strato n non possono ricombinarsi con le corrispondenti “lacune”dello strato p in quanto tra i due materiali è presente una barriera di potenziale. Non appena viene applicata una tensione, la barriera di potenziale si abbassa e gli elettroni possono “tornare al loro posto”, ricombinandosi con le lacune emettendo un fotone di luce. La scelta dei droganti determina il colore della luce emessa, mentre il substrato determina in generale l’efficienza di conversione elettricità-luce, e quindi l’intensità della luce emessa. Oramai i LED sono estremamente diffusi in tutti i dispositivi che richiedono miniaturizzazione (si pensi alla retroilluminazione dei cellulari, o i loro piccolissimi flash), e iniziano anche a fare capolino nei televisori LCD come metodo di retroilluminazione. I vantaggi che i led presentano a confronto con i metodi più antichi di illuminazione sono palesi. Si stima che un LED ad alta intensità possa funzionare ininterrottamente per circa 50.000 ore senza particolari problemi. Emettono per ogni watt che consumano il triplo di luce rispetto alle lampade a incandescenza, quasi eguagliando le migliori lampade a scarica. Se considerate poi che l’efficienza di conversione tra potenza elettrica immessa e potenza luminosa emessa non è nemmeno lontanamente paragonabile con il misero 5% delle lampade a incandescenza, capite che il risparmio in termini di consumo e manutenzione si fa davvero notevole. Ma i LED non sono migliori solo dal punto di vista economico: sono totalmente insensibili agli urti, all’umidità, agli sbalzi forti di temperatura ed emettono una luce pulita, senza componenti infrarosse o ultraviolette. Insomma per tutta una serie di applicazioni dal vasto mercato (tralasciando ovviamente settori di nicchia che richiedono attrezzature speciali, tipo la fotografia professionale) i led sembrano proprio rappresentare dell’illuminotecnica.

Infine vorrei stuzzicarvi con un po’ di fantascienza: in un futuro prossimo potremo assitere all’immissione nel mercato anche degli schermi OLED, in cui i pixel RGB sono proprio dei piccolissimi LED organici nei tre colori fondamentali. Fino ad oggi relegati in piccoli schermi nei modelli più costosi di cellulari e lettori multimediali, questi display, oltre ad essere sottilissimi, presentano anche la possibilità di essere piegati, per cui tra un po’ aspettiamoci di vedere i primi business man giapponesi uscire dalla metropolitana srotolando il loro laptop-papiro.

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