Chi abita in una grande città sa che bene come l’attività della stessa dipenda dalle modalità di trasporto di cui usufruiscono i suoi cittadini. L’automobile è, per lo meno in Italia, il mezzo più usato dai privati, e di conseguenza il motore a combustione interna (tendenzialmente a benzina o diesel) è al tempo stesso fonte della vitalità della città, e responsabile di una parte significativa dell’inquinamento nell’aria che respiriamo. All’orizzonte inziano a comparire le prime auto elettriche, che dovrebbero garantire maggiori efficienze ed emissioni pari a zero. Ma è davvero tutto oro quel che luccica? Cerchiamo di scoprirlo….
IL MOTORE A COMBUSTIONE INTERNA
Il motore a combustione interna moderno venne dettagliato per la prima volta nel 1853 da padre Eugenio Barsanti e da Felice Matteucci. Da allora i progressi nel campo della meccanica di questa macchina sono stati enormi, ed effettivamente i moderni motori a scoppio sono dei piccoli capolavori di meccanica di precisione e ingegno, sebbene si tenda sempre a evidenziarne gli aspetti più sfavorevoli. Il motore che troviamo all’interno della nostra macchina rientra perfettamente nella categoria delle macchine termiche: sostanzialmente è un dispositivo che converte il calore in lavoro meccanico. Il principio che stà alla base del suo funzionamento è la legge dei gas perfetti, la ben nota PV = nRT. Questa legge stabilisce che, all’interno di un sistema termodinamico, il prodotto della pressione (P) per il volume dello stesso (V) è proporzionale alla temperatura (T). Di conseguenza, la variazione di uno di questi fattori influenzerà gli altri due, che tenderanno ad agiiustarsi di conseguenza. All’atto pratico, quando all’interno del pistone la miscela aria-carburante si incendia, assistiamo ad un aumento della temperatura. Questo porta ad un aumento della pressione (abbastanza intuibile, se immaginate il gas che esplode come un insieme di tante particelle che iniziano a sbattere più forte le une contro le altre), che provoca una spinta sulla testa del pistone, e quindi ad un aumento del volume del sistema. VoilaT, avete appena trasformato del calore (proveniente dalla rottura dei legami chimici del combustibile) in lavoro meccanico (il pistone che scende lungo la camera di scoppio). I residui dello scoppio vengono quindi espulsi per far spazio ad una nuova dose di miscela combustibile, pronti per riniziare il ciclo. A far da contorno al motore in sé ci sono tutta una serie di meccanismi il cui scopo quello di garantire la sincronia delle varie fasi del funzionamento, onde evitare ameni episodi come battiti in testa, ingolfamenti, esplosioni, eruzioni cutanee e pruriti vari causati da stress. Il movimento viene trasformato da alternativo dei pistoni in rotatorio del volano tramite l’albero a gomito, per poi essere trasferito alle ruote grazie alla trasmissione. A questo punto potete innestare la prima, percorrere i 50 metri che vi separano dal prossimo semaforo rosso, e fermarvi in coda aspettando il verde. Nel frattempo noterete la quantità di gas, polveri, vapori e schifezze varie che esce dai tubi di scarico di quelli che vi stanno davanti per finire diretti nei vostri polmoni. Avete presente quella puzza di benzina che sentite quando state fermi in mezzo al traffico? Bene, uno dei problemi legati all’efficienza bassa del motore a scoppio deriva dal fatto che la combustione del carburante non è mai completa, e di fatto ad ogni ciclo il motore butta via un po’ della benzina che gli iniettori inseriscono nella camera senza bruciarla. Un moderno motore a scoppio appena uscito da un buon rodaggio garantisce al massimo un’efficienza del 30 / 35 %, a fronte di un massimo teorico attorno al 65%. Il resto dell’energia va dispersa come calore, nell’usura delle parti, nella trasmissione del moto tra le varie componenti, nei giochi che per forza di cose sono presenti in quelle stesse parti, alla batteria etc. Quello che è importante notare è che per quanto bene possiate costruire una macchina termica, essa non avrà MAI un efficienza unitaria. Questo significa che con la natura, oltre a non poter vincere, non si può nemmeno pareggiare: il secondo principio della termodinamica stabilisce che per quanto bene voi possiate fare le cose, non potrete mai bilanciare l’energia che spendete con una quantità uguale di lavoro ricavato, e finirete sempre per rimetterci qualcosa.
Aggiungete che la teoria è sempre basata su considerazioni fatte a partire da situazioni ideali, in cui la vostra macchina non presenta attriti, è indeformabile, indistruttibile, e le trasformazioni termiche che fate sono perfette, e avrete ben chiaro dove va a finire quel 70% di energia che manca alle vostre ruote. E’ chiaro che il limite di efficienza massima reale si stà avvicinando sempre più, e che per migliorare le cose serve cambiare radicalmente i principi di funzionamenteo alla base del nostro motore. Il che ci porta direttamente a……
IL MOTORE ELETTRICO
Ricordo ancora con nostalgia i bei tempi delle mini 4WD, quei modellini giapponesi di automobiline futuristiche e improbabili dune buggy, in grado di raggiungere velocità pazzesche. Ricordo anche le giornate passate a “truccare” il motorino elettrico che le spingeva a velocità davvero notevoli per dei semplici giochini. Bastava un cacciavite per aprirne il fondo, una forbice per tagliare via buona parte degli avvolgimenti in rame del rotore, e un saldatore per riattaccare il tutto. All’epoca avevo 10 anni, e sebbene non comprendessi ancora come effettivamente funzionasse la cosa, la macchinina dopo il trattamento filava via che era un piacere….contro un muro. Il motore elettrico è un dispositivo talmente semplice che anche un bambino può mettervi mano. Certo le cose si complicano all’aumentare delle dimensioni, della potenza e dell’uso che se ne vuole fare, ma il concetto di base rimane valido. La meccanica di un dispositivo di questo tipo consiste in sole due componenti. Il rotore, che è la parte del motore che effettivamente ruota, è composto da un asse di rotazione a cui sono applicate due o più bobine di rame; lo statore è invece il guscio che racchiude il motore, e la sua parete interna ospita i due poli di un magnete, in maniera tale che il rotore risulti “affogato” all’interno di un campo magnetico. Un conduttore percorso da corrente infatti emette un campo magnetico, emesso dalle cariche in moto all’interno di esso. La direzione di questo campo magnetico, nel caso di una spira, risulta essere perpendicolare all’area della spira stessa, e tenderà ad allinearsi con un campo magnetico esterno (nel nostro motore, generato dai magneti dello statore). Non appena la spira risulterà allineata con il campo magnetico, basterà invertire il senso di percorrenza della corrente all’interno degli avvolgimenti, per invertire il campo magnetico da loro generato e far compiere un giro completo al rotore. A quel punto la corrente viene di nuovo invertita, e si ricomincia da capo. Nei motorini più semplici, la variazione dei poli del rotore si ottiene tramite due semplici semplici spazzole (positiva e negativa) che incidono su parte del rotore, suddivisa in sezioni, ognuna delle quali porta corrente ad una bobina. Non appena una delle bobine oltrepassa la spazzola positiva, diretta a quella negativa, viene sostituita da quella successiva e così via, fino a che non viene interrotto il contatto o finisce la carica delle batterie. In questa modo ciascuna bobina viene alimentata con la corretta polarità con la corretta fase (se ad esempio ci sono solo due bobine, l’inversione di corrente all’interno delle stesse avviene ogni 180° di rotazione del rotore, ogni 120° per tre bobine etc.) .
I vantaggi del motore elettrico sul motore a scoppio sono molti, legati sia all’efficienza (90% circa per un buon motore), che alla versatilità e alla durevolezza. In un motore a combustione interna si sviluppano fortissime pressioni e altissime temperature, che causano parecchio stress meccanico alle componenti, determinandone l’usura. Il motore elettrico, sebbene si scaldi anch’esso per effetto Joule, non presenta al suo interno le stesse condizioni “estreme”, e l’usura meccanica è semplicemente dovuta all’attrito tra le componenti. Il motore elettrico è inoltre instrinsecamente più efficiente: non è una macchina termica, c’è conversione diretta tra energia elettrica e cinetica, non richiede grosse quantità di lubrificanti (altamente inquinanti), non emette alcuna scoria ed è molto più silenzioso. La benzina, come ben saprete, è altamente infiammabile, mentre le batterie non possono esplodere. Mentre in un motore a scoppio la coppia motrice massima (che fornisce una stima della spinta che il motore riesce a imprimere ) non è immediatamente disponibile, tant’è che quando si parte da fermi o con i giri del motore relativamente bassi, ci si rende immediatamente conto di quando il motore “entra” in coppia, dallo strappo che sembra tirare in accelerazione, con un motore elettrico la gestione di questo aspetto risulta essere molto più semplice, dato che un motore elettrico è potenzialmente sempre a regime ottimale: per aumentare la spinta basta aumentare la corrente di alimentazione, cosicchè il motore lavora a coppia e potenza costanti. Diversamente, i motori a combustione interna hanno una propria curva caratteristica, seguendo la quale i regimi di coppia e potenza massime si hanno in zone molto limitate della velocità di rotazione, in genere verso i 2/3 della velocità massima per la coppia e 4/5 per la potenza. A prova di ciò, una macchina elettrica da 200 cavalli di potenza (e dal consumo equivalente in benzina di 75 km/litro) è riuscita a battere in accelerazione una Lamborghini Gallardo da 520 cavalli (più un asino, generalmente al volante), e 6km/litro se siete molto fortunati.
In una macchina elettrica si può sfruttare anche la frenata della stessa per recuperare parte dell’energia che altrimenti andrebbe dispersa in calore nei freni, similmente a quanto accade con il KERS in Formula 1, inserendo sull’asse di trasmissione un alternatore che entri in funzione non appena si prema il pedale del freno. Le prime auto elettriche erano pesantemente inficiate dalle scarissime prestazioni delle batterie, che perdevano rapidamente di efficienza e soprattutto garantivano autonomia al di sotto del centinaio di chilometri. Negli ultimi anni sono stati fatti passi da gigante per quanto riguarda la tecnologia inerente l’immagazzinamento dell’energia elettrica, soprattutto per effetto della grandissima diffusione di cui hanno iniziato a godere i dispositivi elettronici portatili, e sebbene le batterie siano ancora forse un po’ troppo pesanti, ingombranti e composte da sostanze potenzialmente molto inquinanti, la loro capacità di immagazinamento e la vita utile hanno fatto enormi passi in questi anni.
Per quanto riguarda l’impatto ambientale, non so voi ma io comunque preferisco avere un capannone con dentro 500 tonnellate di batterie scadute piuttosto che qualche milione di tonnellate di CO2, monossidi e polveri sottile varie nell’aria. Infine, anche se magari non risolverà il problema dell’intasamento urbano, un auto elettrica ferma ad un semaforo non inquina, per cui non è detto che ci muoveremo necessariamente più in fretta in città, ma per lo meno respireremo aria più pura.