La casa eco-sostenibile?Esiste da più di mille anni.

Appare nel panorama come una sorta di U.F.O. appena atterrato. È semplice e funzionale, resistente e leggera, esteticamente gradevole ed accogliente. Ma non è l’ultima trovata dell’ingegneria abitativa: è la yurta o, come viene chiamata in lingua originale, “ger”.
La yurta è l’abitazione tradizionale delle popolazioni nomadi della Mongolia, considerata la sua patria, ma il suo utilizzo in diverse varianti interessa un territorio molto più esteso che va dalla Repubblica di Tuva all’Uzbekistan, dal Tajikistan alla regione del Turkestan. Questa dimora nomade si compone di materiali naturali, assemblati in un modo ingegnoso.

In primo luogo abbiamo il legno. Questo viene utilizzato in listelli che, intrecciati fra loro a formare un reticolato, costituiscono il perimetro circolare della tenda. Due travi al centro sorreggono in alto un cerchio, o “corona”, posto a circa 3 metri di altezza, da cui si dipartono, come la raggiera di un grande ombrello, aste lunghe e flessibili. L’intera struttura si regge quindi su questo scheletro leggero ed elastico, il cui diametro può variare dai quattro ai dieci metri. La costruzione si mantiene solida grazie al gioco di forze opposte creato dai diversi pesi e dalle distinte pressioni. Il vento non riesce a scardinarla, essendo la yurta flessibile nella struttura; solo in caso di fortissimi venti essa viene fissata al suolo. Il pavimento naturale è ricoperto da spessi tappeti di lana o feltro, che isolano dal gelido terreno invernale.

Ma il materiale caratteristico della yurta è il feltro, prodotto dai nomadi stessi e steso su tutta la superficie della tenda. Esso funge da protezione e soprattutto da perfetto isolante termico. Anche quando fuori la temperatura raggiunge i – 40°C, all’interno si mantiene un buon tepore, mentre d’estate l’aria calda sale attraverso il foro superiore, lasciando l’ambiente fresco.
Al centro della tenda si trova il fornello-stufa, i cui vapori fuoriescono dall’apertura in alto. Il carburante principale è di minimo impatto ambientale: sterco animale o rami secchi.

La yurta è per queste popolazioni più di una casa: è una rappresentazione simbolica dell’ordine dell’universo. Le cose sono disposte secondo un criterio scrupoloso, che unisce praticità e significato: a nord si trova l’altare, a sud la porta, a ovest il luogo degli ospiti e degli uomini, a est quello delle donne. C’è il luogo per gli anziani, per i bambini, per i malati. Anche i mobili, dipinti con colori vivaci, hanno la loro posizione predefinita, così come i letti. Non c’è spazio per il superfluo. Solo ciò che è essenziale deve essere conservato, perché il viaggio di spostamento sia leggero e privo di lacci sia materiali che mentali.

La yurta infatti è una dimora nomade e quindi non conosce la permanenza. Al momento opportuno, al cambiare della stagione, i suoi elementi vengono smontati rapidamente; tutto viene poi caricato su carri trainati da animali e trasferito nel nuovo territorio.
La yurta è una casa eco-sostenibile non solo perché rispetta l’ambiente, ma anche perché rispetta l’uomo. Avendo la possibilità di entrarvi, è molto facile venire colti da un pensiero improvviso: vivere in case di forma cubica è assolutamente innaturale!
In una casa circolare ci si sente subito accolti, come se si tornasse in un grande ventre materno. All’improvviso tutti i presenti, da estranei che erano, diventano quasi dei parenti. Ci si sente abbracciati, si prova un senso di unità. La yurta è uno spazio “umano”, e azzera le nostre sovrastrutture mentali per riportarci ad una condizione di naturale condivisione. Oltretutto è un luogo dove il “primordiale” e il “futuristico” sono così estremi da diventare una cosa sola.

Non so se sarà mai possibile per noi occidentali concepire un’abitazione come la yurta, ma quanto meno si può sperare di trovare in essa un’ispirazione, o ancora meglio il simbolo di un concetto dell’abitare. L’umanità presto si troverà di fronte ad una scelta. E allora può darsi che troverà nelle culture “circolari”, quelle che non hanno mai deviato da loro stesse, una fonte di apprendimento.
Che nel futuro ci sia per noi una re-interpretazione della yurta? Non si possono porre limiti all’immaginazione.

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