Dal “na’vi” al “klingon”: le lingue immaginarie nel cinema

Kaltxì!

Per molti questa parola non avrà molto senso, ma alcuni appassionati la riconosceranno come un saluto. Si tratta della traduzione per “salve” in lingua na’vi, una lingua che fino a poco tempo fa non esisteva. È stata infatti creata dal linguista Paul Frommer, ingaggiato dal regista James Cameron per il film Avatar.
Aldilà del gradimento o meno per il film, non si può non rimanere affascinati dall’ascolto di una lingua che, pur non avendo più di qualche centinaia di termini, è una creazione artificiale e allo stesso tempo presenta elementi reali di lingue native americane, maori e africane. La curiosità ha spinto molte persone a volerne sapere di più, a voler “parlare na’vi”. Fatto sta che sul sito ufficiale (www.learnnavi.org) è possibile scaricare in PDF un ottimo documento contenente fonetica, grammatica, sintassi e fraseologia, per chiunque voglia avventurarsi nello studio di questa lingua.
Non è la prima volta che accade. Pochi anni fa attorno alle lingue elfiche de “Il Signore degli Anelli”, sul web è scoppiata una vera e propria mania: mailing list, forum, siti e discussioni sono stati dedicati all’argomento. In questi spazi web, ringraziarsi con un hannon le, risultava una cosa del tutto normale. Certo, la struttura che sta alla base delle lingue elfiche, frutto di anni di lavoro del filologo J.R.R.Tolkien, non è comparabile a quella della neo-nata lingua na’vi, ma il principio è lo stesso: creare una lingua per porre le basi di una cultura immaginaria. Perché la lingua, possiamo dirlo, è alla base di qualunque civiltà, reale o meno.
Un altro precedente è costituito dal klingon, la lingua dei “nemici” di Star Trek. Il klingon fu creato dallo studioso Marc Okrand e, a detta di coloro che hanno voluto tentarne lo studio, è una lingua un po’ complicata ma non priva di fascino, poiché, come ogni lingua che si rispetti, si compone anche di proverbi e motti. Lo stesso Marc Okrand è l’inventore dell’atlantiano, lingua utilizzata per il film “Atlantis” della Walt Disney.
Come non citare poi Guerre Stellari! Un droide parla sei milioni di lingue, e questo la dice lunga sulla varietà linguistica presente nel mondo creato da George Lucas. La lingua più parlata, è bene chiarirlo, è il galattico comune, che però è tradotto in inglese e quindi viene completamente “perso” nella traduzione! Ma abbiamo anche la lingua degli Ewok (ricordate il buffo popolo di piccoli esseri pelosi?). L’Ewok avrebbe come base il filippino e il tibetano, più un tocco di inglese e persino di svedese modificato. L’huttese, invece, di cui si ascoltano grandi stralci soprattutto nei prequel, è la lingua che nel film viene parlata a Tatooine, pianeta natale di Luke Skywalker e di suo padre, e che presenterebbe degli influssi di lingua quechua (la lingua delle popolazioni andine: Perù, Bolivia, Ecuador, ndR).
Un altro esempio di lingua immaginaria parlata sul grande schermo, meno famoso ma altrettanto affascinante,  è il go’auld. Il go’auld è, per intenderci, la lingua parlata dal malvagio Ra e dagli Abidosyani del film Stargate, di Roland Emmerich, e che in seguito è stata utilizzata anche nella omonima serie tv. Il go’auld dovrebbe, nell’ambito della storia, ricordare la lingua degli antichi egizi.

Lingue immaginarie, lingue artistiche. Linguaggi che abbondano ancor di più nel mondo della letteratura, specie quella fantasy e fantascientifica. Sono indice della grande forza evocativa delle parole: basta infatti creare particolari suoni e collegarli fra loro in un modo nuovo, e subito ci sembra di essere trascinati in un’altra realtà.
I linguaggi artistici sono pura estetica, stimolano l’immaginazione; solo ad un livello superficiale se ne può sancire l’inutilità. È vero, il na’vi, il klingon, o l’huttese non aiutano a trovare un lavoro, ma avvicinarsi ad esse allena la mente, la fantasia e la capacità di sognare. In un mondo dove le parole vengono consumate, banalizzate e bistrattate nella scatola televisiva, ritornare alla purezza del linguaggio non può che essere qualcosa di buono, qualcosa che ci rinnova e che veste di nuovo le parole della loro dignità e della loro bellezza.

A proposito… Eywa ngahu!

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