La musica degli armonici… Viaggio nel mistero del suono

“[…] (un cantante) con la sua voce più bassa canta la melodia, e contemporaneamente la accompagna con un suono simile a quello del flauto; di purezza e dolcezza sorprendenti.”

L.P.Potapov, saggio sulla tribù siberiana dei Tuvan, 1931

“Armonici” o, per dirlo con gli addetti ai lavori, “armoniche musicali”. Il termine può spaventare, all’inizio. Ci stiamo forse inoltrando in noiose spiegazioni tecniche di teoria musicale? Assolutamente no.  Mia intenzione è semplicemente quella di porre l’attenzione su un fenomeno nascosto e misterioso riguardante il mondo del suono, al quale siamo più legati di quanto non possa sembrare in apparenza.

Immaginiamo di sederci di fronte ad un pianoforte e di suonare un DO. Il suono che abbiamo udito è il risultato del movimento, o vibrazione, di un’onda nello spazio. Ma attenzione: il nostro orecchio ci “illude” che quello che stiamo ascoltando sia un’unica onda di suono. In realtà, essa è scomponibile in onde più semplici (sinusoidali), di altezza diversa, ma che insieme alla fondamentale, cioè la sinusoidale che dà la nota, ci fanno udire il suono DO prodotto dal pianoforte.

È come se la nota fosse il risultato di una costellazione di suoni con al centro la fondamentale e, attorno come pianeti, le armoniche.

Ci possono essere, in teoria, un numero infinito di armoniche, anche se noi possiamo arrivare a sperimentarne al massimo 16, ma la cosa più sorprendente è che l’altezza delle armoniche non è casuale: ogni armonica ha un preciso rapporto matematico con la fondamentale, esprimibile in forma di frazione. Ad esempio, la seconda armonica è sempre di un’ottava più acuta della prima, e più armoniche abbiamo, più è piccolo l’”intervallo” fra loro.

Ebbene, l’uomo, sin dall’antichità, non si è fatto sfuggire questo affascinante mistero, e forse già ascoltando la pioggia o le onde del mare ha intuito che ogni suono doveva “nasconderne” altri, e che questi altri potevano essere, in qualche modo, portati alla luce, ed essere trasformati in suoni udibili.

Da qui, per esempio, il suono del didjeridoo. Strumento antichissimo, ricavato da un ramo di eucalipto, veniva e viene tuttora utilizzato per accompagnare le cerimonie e i canti, ma anche semplici momenti ricreativi. Provate ad ascoltarne un brano:

Vi accorgerete che il suono è creato da una nota fondamentale che rimane sempre uguale, mentre su si essa si muovono liberamente altre note. Quelle “altre note” sono le armoniche della fondamentale che vengono allo scoperto! Il tutto dà a questo strumento una qualità sonora unica, primordiale, capace di esprimere in forma sonora il mistero del “dream time”, il tempo del sogno degli aborigeni. Simile a quello del didjeridoo è il profondo suono del corno tibetano, il ra-dhong.

Altro strumento capace di produrre armonici sono le campane nepalesi o tibetane, nepali bowls. Si tratta di ciotole di bronzo di vario spessore e grandezza, le quali possono essere sia percosse con una mazzetta di legno, sia strofinate sul bordo con la stessa mazzetta. Ciò che si ottiene è il suono cristallino e limpido di un armonica, ossia  una semplice sinusoide, capace di creare un effetto calmante e leggermente ipnotico. Questo strumento richiama anche la musica suonata con i bicchieri di cristallo riempiti con diverse quantità d’acqua. Della stessa famiglia delle nepali bowls è il gong, usato in molte aree dell’oriente.

Lo scacciapensieri è uno strumento che ci ricorda la nostra Sicilia, ma in realtà la sua diffusione è riscontrabile in Scandinavia come in Siberia, dove prende il nome di khomus. Si tratta di uno strumento di metallo che va tenuto fermo tra i denti. Il respiro stimola la vibrazione atta a formare il suono, mentre un dito pizzica una linguetta metallica per scandire il ritmo. Il khomus può creare melodie molto varie, e l’effetto è davvero ipnotico, simile a quello del didjeridoo ma, se mi è consentita la terminologia, meno “terrestre” e più “celeste”, meno mentale e più istintivo.

Veniamo alla regina di tutti gli strumenti: la voce umana!

A tal proposito vi chiedo di fare un piccolo esperimento. Prendete un bel respiro e in una sola emissione di fiato pronunciate delle vocali, in questo ordine: A-E-I-E-A. Ripetete ora l’operazione cercando di percepire gli armonici. È molto probabile che ad un primo tentativo non vi sembrerà di sentire nulla, perché il vostro udito non è avvezzo a scovare tali sottigliezze. Basterà  un po’ di pratica, e comincerete a udire i suoni “satellite” di cui la vostra voce è composta.

Noi che siamo dei principianti del “canto armonico” dobbiamo però inchinarci alla maestria di quei popoli che da secoli hanno fatto di tale tecnica una vera e propria arte ormai conosciuta in tutto il mondo: stiamo parlando delle popolazioni di Tuva, della Mongolia e dei monaci tibetani.

La Repubblica di Tuva, al centro esatto dell’Asia, sembra la vera e propria patria del xomii. Per “xomii”, si intende un insieme di tecniche di canto armonico che va dalla produzione di armonici acuti (tecnica sygyt, lett. “fischio”) o gravi (tecnica kargiraa). Nella prima tecnica, la lingua va a formare due cavità, e in tal modo il suono verrà scomposto in bordone e armonico, e a quest’ultimo tocca il compito di formare la melodia. Non solo, ma la nota fondamentale viene ulteriormente silenziata attraverso la contrazione muscolare, in modo che l’armonico, acuto come un flauto, sia ancora più riconoscibile .

Il kargiraa, invece, è una tecnica abbastanza simile a quella del canto di alcune scuole monastiche tibetane, e risulta invece da un iper-rilassamento dell’apparato fonatorio, capace di produrre un suono grave che, secondo la tradizione, imita il lamento del cammello. Descrivere la differenza tra le varie tipologie di canto a livello tecnico non è lo scopo di questo articolo, ma per chi volesse approfondire, rimandiamo alla bibliografia.

La tecnica del kargiraa (vedi video a fondo articolo), come si è detto, è simile a quella usata in alcuni canti tibetani e probabilmente, come quella tuvo-mongola, ha origine dalle pratiche sciamaniche pre-buddiste. Nei monasteri questo tipo di canto è ritenuto sacro ed esoterico, e con tale voce profonda vengono cantati lunghi sutra. L’effetto corale è impressionante e suggestivo.

La cosa interessante da notare è che, all’interno dei monasteri, questo tipo di canto (molto difficile da riprodurre), non viene davvero “insegnato”. E’ una tecnica che si apprende attraverso una vera e propria osmosi tra maestro e discepolo. Quest’ultimo, a forza di ascoltare, finirà per produrre il canto in modo del tutto spontaneo.

Ma perché la musica degli armonici, ovunque nel mondo, è sempre collegata al sacro?

la cantante tuvina Sainkho Namchylak fa spesso uso del canto armonico nelle sue performance

La risposta a questa domanda non è delle più semplici, e forse ci vorrebbe un libro per avere una risposta soddisfacente. Ma possiamo comunque tentare di offrire un ragionamento. Come è ben noto, la musica è matematica, e le armoniche hanno un certo rapporto matematico fra di loro. Ma perché questo rapporto, che potremmo rappresentare come una sorta di frattale, è così e non altrimenti? Forse gli armonici, così come la sezione aurea nell’architettura e nell’arte, esprimono un rapporto matematico presente come struttura portante della natura. Negli armonici sarebbe dunque possibile riconoscere la danza segreta con la quale l’energia si dispiega. L’ascolto degli armonici produce spesso uno stato mentale ipnotico, simile a quello sperimentato nella meditazione. Provate voi stessi con un brano. Scoprirete che i processi mentali si rallenteranno, finché il cosiddetto “chiacchiericcio mentale”, ovvero ciò che ci separa dal “qui e ora” si placherà. Questo perché forse non solo la vostra mente, ma tutte le vostre cellule stanno riconoscendo un codice universale. Questa è solo una risposta personale, e non pretende di essere esaustiva. Essa vorrebbe invece stimolare nuove domande sull’argomento, invitando l’ascoltatore stesso a trovare le proprie risposte.

Termino indicandovi un meraviglioso brano cantato con la tecnica del kargiraa,  e vi lascio alla magia degli armonici…

Bibliografia:

Roberto Laneri, “la voce dell’arcobaleno” , edizioni Il Punto d’Incontro

Musicografia:

“Tibetan Buddhism, Tantras of Gyuto”, Explorer Series
Shu De, “Voices from the distant steppes”, RealWorld
Egschiglen, “Sounds of Mongolia”, Arc Music
Huun Huur Tu, “The orphan’s lament”, Shanachie

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