[stextbox id=”custom” big=”true”]Torna a scrivere per Camminando Scalzi Giuseppe Pirò, ventottenne laureato in Ingegneria delle Telecomunicazione già autore di un interessante articolo riguardante la tecnologia. Giuseppe (qui il link al suo profilo twitter) è autore della pagina facebook Prospettive Telematiche nella quale condivide le news tecnologiche provenienti dal web. Buona lettura![/stextbox]
Non si parlerà qui ancora una volta della necessità di trovare il miracoloso compromesso tra Web e Copyright. Non spenderemo ulteriori parole per evidenziare il fatto che siamo di fronte alla singolarità del diritto d’autore, cioè il momento storico in cui si abbandonerà il vecchio modello di protezione dei contenuti per passare ad un nuovo concetto che abbia senso nel mondo di Internet. Questo cambiamento, che sta faticando ad arrivare ma che in moltissimi attendono, rappresenterà la trasformazione della regolamentazione e dello sfruttamento delle opere protette in una direzione per cui i produttori, i distributori e gli utilizzatori dei contenuti sul web nutriranno un mercato economico, senza però essere intrappolati nella vecchia concezione fondata sull’impedimento della duplicazione e della condivisione delle opere. Tale concezione infatti è un modello che necessariamente perde di significato quando l’opera è costituita da bit e risiede in rete, cioè nel luogo dell’immaterialità per eccellenza, dove l’informazione non è altro che una serie di numeri, ricopiati continuamente alla velocità della luce in supporti come hard disk e schede di memoria ram sparsi spesso in tutto il mondo, al punto che non è né facile né realmente significativo individuarne l’esatta posizione per vietarne la duplicazione.
Nondimeno, questo articolo non vuole promuovere la cultura dell’illegalità: né quando è intesa come l’atto di appropriarsi dei prodotti della genuina creatività degli autori senza pagare, né tantomeno quando è intesa come l’atto di superare i biechi monopoli dei contenuti attuati dai loro distributori. Cercheremo qui invece di valutare unicamente gli innegabili vantaggi culturali che l’attività di scaricare illegalmente dalla rete, nel bene o nel male, procura.
Da sempre, nella storia dei contenuti duplicabili, si è osservato il fenomeno per il quale il livellamento economico per il loro accesso dovuto alla pirateria ha permesso, sia a chi non disponeva della capacità finanziaria per l’acquisto, sia ai giovani che volevano estendere la sperimentazione di argomenti del tutto nuovi (per esempio alcuni nascenti generi musicali), di poter ottenere tali contenuti senza grossi investimenti; è similmente palese che la maggior parte delle persone non acquisterebbe indefinitamente prodotti di cui non abbia certezza di ricavarne soddisfazione. Ciò ha provocato un evidente arricchimento del patrimonio di conoscenze individuali, per non parlare del fatto che ha altresì sancito spesso l’effettivo apprezzamento del prodotto, il quale, spogliato del valore economico del supporto fisico, esigeva valore contenutistico per poter rimanere in vita e non essere ignorato.
Oggi però, con l’avvento di Internet, il fenomeno si è evoluto dando vita a uno scenario che non può più essere classificato con il vecchio nome. È sufficiente ripercorrere ad esempio la storia dei maggiori supporti musicali per rendersene conto: il vinile ha permesso per la prima volta l’ascolto domestico della musica, la musicassetta ne ha permesso la duplicazione privata, il cd ne ha permesso la copia indistinguibile dall’originale, l’mp3 ne ha permesso la distribuzione planetaria a tempo e costo zero. Oggi gli impatti sociali della pirateria sembrano aver toccato quindi aspetti più profondi della semplice duplicazione. Ora si parla di condivisione. L’informazione digitale ha prodotto il totale annullamento dei costi di distribuzione ed è quindi paragonabile ad uno scambio di battute tra amici: non costa ripeterle e tutti le vogliono sentire.
Ma ciò non significa esclusivamente svago, è anche conoscenza. Distogliamo un attimo lo sguardo dal contesto musicale e pensiamo a tutto ciò che attualmente è informazione. È qui che sorge davvero la questione: qual è per noi il valore di usufruire gratuitamente delle informazioni? La risposta è che, come uomini, viviamo di informazioni; non ci accontentiamo mai di quelle che abbiamo. Se non hanno costo infatti, siamo generalmente portati a volerne di più, perché sappiamo che più ne abbiamo e più siamo coscienti, istruiti e in grado di difenderci.
Il divario formativo tra generazioni, in termini di capacità di accedere all’informazione, è evidente. E forse mai nella storia dell’uomo lo è stato tanto quanto per quelle generazioni a cavallo della diffusione del personal computer.
Oggi, i giovani che hanno un accesso estremamente economico ai contenuti della rete hanno un vantaggio culturale innegabile sugli altri. Se economico infatti vuol dire accaparrarsi tanto, gratis vuol dire accaparrarsi tutto. Ebbene, la pirateria vuol dire accaparrarsi tutto.
Usiamo la parola “pirateria” nonostante storicamente sia stata utilizzata per la sua connotazione negativa. Non diamo qui giudizi di valore sulla sua legittimità. Consideriamo soltanto che chi scarica tutta l’informazione che vuole è favorito. Paradossalmente anche chi fa una rapina è favorito poi dall’avere una grossa somma di denaro, ma nel caso della pirateria stiamo parlando di conoscenza, che viene scaricata, utilizzata e ridistribuita. Ci si potrebbe scandalizzare del fatto che tali considerazioni implichino la violazione della legge. Lecito.
Certamente ci si potrebbe scandalizzare, se non fosse però che gran parte del tessuto sociale italiano (limitiamoci a parlare del nostro paese, ma credo che valga per tutti) ha competenze che derivano in parte dall’aver non pagato qualcosa. Facciamo degli esempi.
Le ultime generazioni di ingegneri, architetti, medici, designer, giornalisti, ecc. hanno contribuito certamente alla loro formazione specialistica universitaria con lo scambio illegale di informazioni non liberamente distribuibili. In primis con l’utilizzo di software non originale. Gran parte degli attuali laureati ha raggiunto le proprie competenze professionali violando la legge. E le università hanno beneficiato largamente di queste competenze acquisite fuori dai percorsi formativi accademici; molti dei corsi infatti prevedono che gli studenti possiedano già certune nozioni informatiche; la possibilità per gli allievi poi, di imparare sul proprio pc di casa ad utilizzare i costosissimi software dei corsi accademici, ha permesso alle università di risparmiare sulle licenze software, ridurre le postazioni pc dei laboratori e probabilmente molte ore di lezione teorica aggiuntive. Oppure pensate che questi esclusivi software siano sempre forniti agli studenti dalle università?
Prendiamo la società in generale, non solo gli studenti; pensiamo a Microsoft Windows, il sistema operativo che ha spiegato al mondo intero come si utilizza un PC; oppure Microsoft Office, che ha insegnato a generazioni intere a scrivere e impaginare un testo. Questi sono i software a pagamento più piratati della storia, dato il prezzo elevato. Ma quanto è stato utile piratarli? Quanta gente si è informatizzata grazie alla copia che gli veniva passata sottobanco? Mai nessun corso di Informatica avrebbe insegnato a milioni di persone ciò che ha permesso la pirateria. E quali sono le opportunità che ha generato? Pensiamo altresì a Photoshop, il più famoso programma di grafica di sempre. È così famoso proprio perché tanta gente ne ha potuto provare le ottime qualità senza spendere le svariate centinaia di euro della licenza. Quanti creativi designer ha prodotto la pirateria di Photoshop? Quanti talenti del marketing e della web-grafica sono emersi dopo aver provato da ragazzini una copia illegale del programma?
Si può obiettare che le alternative gratuite esistono e sono sempre esistite (un esempio è Linux), spesso qualitativamente superiori. Questo è vero, ma solo per il software. Se si parla però di prodotti per l’intrattenimento non è così. Per questi prodotti unici nel loro genere, la pirateria non offre soltanto l’enorme opportunità di avere l’intera discografia e filmografia mondiali, ma spesso anche l’unico modo per poter usufruire di determinati contenuti. A questo proposito l’esempio delle serie televisive americane è lampante. La maggior parte di queste straordinarie produzioni viene trasmessa al di fuori degli Stati Uniti anche uno o due anni dopo la prima uscita; ciò principalmente a causa degli accordi commerciali tra le emittenti televisive che vogliono evidentemente impacchettarle in format adatti alla Tv. In Italia giungono quindi solo dopo molto tempo e non in lingua originale. Lo scambio degli episodi di queste serie tramite filesharing supera tali limitazioni. Ma non si banalizzi questa azione: tali produzioni si portano dietro un largo interesse nel dibattito e nutre vastissimi gruppi di appassionati da tutto il mondo che si ritrovano sul web per accompagnarne l’uscita degli episodi. La web-community è un fattore importante di dialogo e condivisione di idee, e travalica l’appartenenza a uno stato, a un credo religioso o a una comunità linguistica. Lasciare indietro l’Italia nella fruizione di queste produzioni significa di fatto escludere tanti italiani dalla vita di community in rete, quest’ultima imperniata per sua natura sulla contemporaneità dei fatti.
Abbiamo visto il passato, il presente e ora gettiamo uno sguardo al futuro, perché il prossimo protagonista della condivisione illegale a livello globale è forse il caso più emblematico del rapporto tra pirateria e conoscenza: l’eBook. Il libro in formato digitale inevitabilmente sarà presto tra i contenuti più piratati; la sua introduzione nasce dalle spinte dell’editoria in cerca di nuove frontiere e dello sviluppo dei dispositivi elettronici per la lettura confortevole dei testi, come gli ebook-reader e i tablet. I due ostacoli principali che finora hanno limitato la copia dei libri, cioè l’uso degradante della fotocopiatrice e l’affaticante lettura a monitor, sono stati superati. Il formato condiviso per i libri digitali ePub probabilmente risalterà a breve agli onori della cronaca, proprio come quando il suo cugino mp3 iniziò a sdoganare la musica in rete. Pensiamo alle opportunità, la possibilità di avere milioni di testi in tasca, nei quali è possibile trovare le informazioni in pochi secondi.
Ci si deve chiedere allora che occasioni di conoscenza, di collegamenti mentali, di innovazioni concettuali e di dialogo traggano origine dall’utilizzo di materiale protetto. Quanto vale per noi tutto questo? È davvero vantaggioso combattere ciò che svincola la conoscenza dalle briglie economiche? O meglio: è vantaggioso demandare la lotta alla pirateria solo a chi detiene degli interessi e omette l’aspetto culturale del fenomeno? I produttori di contenuti che non hanno ancora strutturato un nuovo modello di business tenendo conto di Internet, ostacoleranno rigidamente la pratica della copia illegale. Manterranno questa posizione di intransigenza e di denigrazione perché gli permetterà di mantenere, finché possono, introiti economici. Per il momento, finché non si scopre l’agognata soluzione al problema, sarebbe conveniente che lo Stato intervenisse per difendere l’accesso dei propri cittadini ai contenuti, estendendo l’opportunità a tutti di usufruirne e potersi potenziare, permettendo all’Italia di essere culturalmente concorrenziale nei confronti delle altre nazioni.
La pirateria è un meccanismo che regge la competitività del paese, anche se non lo si ammette. La soluzione tampone per questo periodo di transizione allora, rischia di rimanere davvero quella di lasciare le cose così come sono, cioè consentendo sottobanco la fruizione dei contenuti a molti lasciando che paghino in pochi. Non è bella, ma si è rivelata per adesso l’unico modo per non creare una frattura insanabile nella società di Internet, esito verosimile se dovessero passare proposte di legge anti-copia come quelle che ogni tanto vengono fuori indebitamente dalla bocca di qualche politico non avvezzo a comprendere il cambiamento storico in atto. Se saranno imposte forti limitazioni al download illegale, potrebbe realizzarsi un digital divide temporale tra le attuali generazioni e quelle future. Ci si deve augurare che sempre più materiale sia disponibile in rete e che sempre più persone possano usufruirne. La possibilità dell’uso personale di contenuti protetti andrebbe preservata, perché ha valore sociale. È un investimento nel progresso digitale della nazione, che in Italia tende tristemente a mancare.
[stextbox id=”info” caption=”Vuoi collaborare con Camminando Scalzi.it ?” bcolor=”4682b4″ bgcolor=”9fdaf8″ cbgcolor=”2f587a”]Collaborare con la blogzine è facile. Inviateci i vostri articoli seguendo le istruzioni che trovate qui. Siamo interessati alle vostre idee, alle vostre opinioni, alla vostra visione del mondo. Sentitevi liberi di scrivere di qualsiasi tematica vogliate: attualità, cronaca, sport, articoli ironici, spettacolo, musica… Vi aspettiamo numerosi.[/stextbox]