Crowdfunding per l'informazione: ci salverà il mecenatismo?

[stextbox id=”custom” big=”true”]Torna a scrivere per Camminando Scalzi Paolo Ratto, autore di un interessante blog che ha come tematiche centrali internet e teconologia. E’ la terza volta che Paolo scrive su questa blogzine: qui il link a tutti i suoi articoli. Buona lettura  a tutti![/stextbox]

In un momento davvero difficile per il mondo del giornalismo, si stanno facendo strada diversi modelli di business per garantire prosperità, indipendenza e libertà delle informazioni. Il “crowdfunding” sembra proprio uno dei più interessanti.
È crisi, inutile negarlo. Siamo di fronte ad un momento davvero problematico per la categoria dei giornalisti. Sia i giornali tradizionali, sia i siti web si domandano come monetizzare il proprio lavoro. Negli ultimi tempi molteplici sono le dispute sui nuovi modelli di business da utilizzare per rimediare a questa scomoda situazione, e salvaguardare libertà e indipendenza d’informazione. Il problema centrale è che la gente, attraverso l’utilizzo del Web, si è abituata ad usufruire delle notizie (e non solo…) gratuitamente.  Il passo successivo, favorito dall’esplosione del Web 2.0 e dall’evoluzione delle reti sociali è stato la trasformazione dell’utente da lettore a produttore d’informazione. Ciò ha dato vita al giornalismo partecipativo, di cui abbiamo imparato a riconoscere i pregi (libertà e indipendenza d’informazione?) ed anche i difetti (qualità delle notizie?).

Rupert Murdoch

Murdoch ci prova col “paywall”. Era diverso tempo che il magnate dell’informazione sosteneva la necessità di impostare un nuovo modello di business per le sue testate giornalistiche on-line. Ora arriva l’ufficialità: a partire da giugno, le notizie in rete del quotidiano londinese “Times” saranno consultabili solo a pagamento. I navigatori che vorranno leggere le news dovranno pagare una sterlina al giorno, o due per l’intera settimana. L’introduzione del cosiddetto “paywall” costituisce una novità nel panorama mondiale. L’impressione è che il Times possa essere il primo di una lunga serie di giornali a “testare” questo modello commerciale. Il “New York Times”, per esempio, ha annunciato che, dal 2011, la consultazione del sito avverrà secondo un modello simile. Gli utenti avranno a disposizione le notizie gratuite, ma gli approfondimenti a pagamento. Resta da capire se la volontà dei lettori sarà quella di conformarsi al pagamento o preferiranno rivolgere altrove la voglia d’informarsi.

Un’alternativa: il crowdfunding.  Per wikipediana definizione, il crowdfunding è “un processo collaborativo di un gruppo di persone che utilizzano il proprio denaro in comune per supportare gli sforzi di persone ed organizzazioni. Il termine trae la propria origine dal crowdsourcing, processo di sviluppo collettivo di un prodotto, usualmente software. Il crowdfunding si può riferire a processi di qualsiasi genere, dall’aiuto in occasione di tragedie umanitarie, al supporto all’arte,al giornalismo partecipativo fino all’imprenditoria innovativa. La Rete è solitamente la piattaforma che permette l’incontro e la collaborazione dei soggetti coinvolti in un progetto di crowdfunding”.

Spot.us

In poche parole è la massa che paga per ottenere dell’informazione specifica riguardo ad un argomento desiderato. Siamo di fronte a una nuova forma di mecenatismo popolare. Il primo ad avere questa idea è stato il 26enne americano David Cohn, che ha creato Spot.Us.  Si tratta di un sito che si propone come luogo d’incontro tra giornalisti freelance e lettori. I giornalisti propongono dei soggetti d’inchiesta a pagamento e se (e quando) gli utenti raggiungono la somma necessaria, la ricerca viene effettuata ed in seguito pubblicata gratuitamente sul sito. A quanto pare il sistema funziona e per una quarantina di soggetti diversi sono stati raccolti più di 40000 dollari. L’idea centrale (per niente scontata!) è dare al pubblico quello che il pubblico vuole.
È importante sottolineare che la quasi totalità di questi progetti fa capo ad associazioni no profit.  Ciò rappresenta davvero una novità per un mondo, come quello dell’informazione, che in molti paesi sopravvive soprattutto grazie a sovvenzioni statali. L’indipendenza economica dalla “politica” dovrebbe garantire un maggiore tasso di libertà d’informazione.

Il “mecenatismo” italiano. E in Italia? Dal 2005 esiste Produzioni dal Basso, una piattaforma indipendente. Come descritto sul sito, “lo scopo di questa piattaforma è quello di offrire uno spazio a tutti coloro che vogliono proporre il proprio progetto attraverso il sistema delle produzioni dal basso. Per sistema delle produzioni dal basso si intende il metodo di raccolta fondi e finanziamenti attraverso una sottoscrizione popolare per la realizzazione di un progetto. In questo modo chi propone un progetto può quindi farsi una idea dell’interesse potenziale che può attirare la sua proposta e può coprire le spese per la produzione“.
Pochi giorni fa è stata presentata una piattaforma con analoghi scopi: Youcapital. L’ obiettivo principale (e non da poco…) per Youcapital è “diventare un punto di riferimento in Italia per tutte le iniziative dal basso, che partono cioè senza un editore alle spalle, fondate sull’iniziativa e la progettualità e sui meccanismi della solidarietà sociale”.

Le possibilità del crowdfunding sembrano essere davvero ampie, anche al di fuori del giornalismo (chiedete ad Obama, abilissimo a costruire una campagna elettorale grazie a questo strumento!). In Italia si sta percependo il mecenatismo popolare come una reale opportunità di sviluppo di tutto il settore dell’informazione. Resta comunque da vedere la reazione degli utenti, giudici finali nello stabilire la differenza tra una bella speranza ed un grande successo.

E voi siete pronti ad aprire il portafoglio per far scrivere il vostro giornalista preferito?

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8 pensieri su “Crowdfunding per l'informazione: ci salverà il mecenatismo?

    • Ciao Carlo… per quanto riguarda il meccanismo, sono d’accordo sia molto interessante. Negli USA sembra proprio (secondo le mie fonti) che si stiano raccogliendo dei frutti importanti. Siti (associazioni…) come SPotUs sono diventati d’esempio per situazioni analoghe un pò in tutto il mondo. In Italia non ho trovato dei dati significativi, ma mi sembra che il modello che definirei “micromecenatismo” possa avere un buon successo. Se non altro mi premeva sottolineare che ci sono alternative al “paywall”, che a mio avviso potrebbe avere dei grossi problemi a “sfondare”. Può essere che l’opzione “freemium” (informazione di base gratuita, approfondimenti a pagamento) possa essere un buon compromesso, anche se potrebbe portare ad uno spostamento verso il basso della qualità dell’informazione. Staremo a vedere…

      • Oggi ho letto una notizia importante per quanto riguarda il crowdfounding.
        “Per la prima volta due fonti di Internet potranno fregiarsi del premio Pulitzer, ambita onorificenza della Columbia University. A vincere, un’inchiesta di ProPublica e una vignetta di un sito legato al San Francisco Chronicle”

        Propublica è proprio una fondazione no-profit che risponde ai canoni del crowdfunding, descritti nell’articolo. Ciò dimostra che a livello qualitativo l’alternativa è di assoluto rilievo…

      • ne abbiamo parlato ieri!

        io ho scoperto Kiva, un sito che permette di finanziare imprenditori in zone disagiate con un prestito di 25 dollari. Sembra interessante… chissà se funziona… i video che ne parlano dicono di si.

      • Vero! Mi ero un attimo distratto! 😉

        Comunque anche io conosco Kiva, e funziona davvero (viste le testimoniaze..) però è un pò al di fuori del mondo dell’informazione. Comunque fa parte di tutta questa serie di nuove iniziative che stanno “spopolando” ultimamente.

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