Cari lettori di Camminando Scalzi, i tempi sono maturi affinché noi si esplori assieme una delle entità più fanta-evocative che l’universo ci mette a disposizione. Se avete visto almeno una qualsiasi puntata di Star Trek sapete a cosa mi riferisco; per tutti gli altri, continuate a leggere se siete curiosi…
Tutto cominciò…
… Nel 1928 quando un allora ventiseienne Paul Dirac, giocando un po’ con l’equazione d’onda di Shroedinger (uno degli “esseri matematici” che stanno alla base della meccanica quantistica, e che descrive la propagazione delle particelle come delle onde) si rese conto che il risultato di suddetta equazione non cambiava se si invertiva simultaneamente sia il segno del termine di energia, sia quello temporale. Meno per meno fa più, come tutti sappiamo, di conseguenza Dirac postulò che, in termini meramente matematici, un elettrone (energia positiva) che si muove in avanti nel tempo (quindi positivo) equivaleva a quello che poi sarebbe diventato l’antielettrone (energia negativa) che si muove indietro nel tempo. Se la cosa vi lascia basiti, non preoccupatevi. Qua Ritorno al Futuro non c’entra, l’equivalenza regge puramente a livello matematico, e questo non significa che le antiparticelle si muovano tra il presente e il passato. La fisica si sforza di modellizzare a livello matematico la realtà per cercare di descriverla e prevederne l’evoluzione temporale, per cui se due modelli matematici differenti portano ai medesimi risultati, sono entrambi assolutamente validi.
Qualche tempo dopo, nel 1932, Carl Anderson scoprì proprio l’antielettrone, che con un immenso sforzo di immaginazione venne chiamato positrone, in quanto del tutto identico al suo cugino abituato ad orbitare attorno ai nuclei atomici, ma dotato di carica elettrica positiva. Il modello standard predice che ogni particella è dotata di un’anti-compagna, non importa quale sia il valore della sua carica elettrica, ed effettivamente fino a ora questa ipotesi è sempre stata confermata. La materia conosciuta, in tutto l’universo da noi osservabile, è composta da atomi, il cui nucleo è a sua volta composto da protoni e neutroni, attorno cui orbitano gli elettroni. Ora provate a immaginare un nucleo atomico composto da antiprotoni e antineutroni, attorno a cui ruotano antielettroni: in pratica, antimateria.
PIU’ CHE ESSERE DISINTEGRATO… ANNICHILITO?
Bene o male tutta la materia osservabile dalla Terra è composta unicamente da materia ordinaria, e questo trend sembra sia praticamente una costante (per fortuna) all’interno di tutto l’universo sino a ora osservato. Se infatti si fa interagire una particella con la propria antagonista, si assiste ad un fenomeno chiamato annichilazione: le due particelle vengono INTERAMENTE convertite in energia sotto forma di due raggi gamma (fotoni ad altissima frequenza). Se ci fossero regioni dell’universo in cui domina la presenza di antimateria, dovremmo essere in grado di vedere i continui raggi gamma prodotti ai bordi della stessa dall’interazione con la materia ordinaria che la circonda. È opinione diffusa che questo enorme disequilibrio tra antimateria e materia ordinaria (si stima un rapporto di 1/1079) debba essersi originato in un qualche momento immediatamente dopo il big bang.
Le antiparticelle vengono prodotte in natura tramite reazioni estremamente energetiche, come le collisioni dei raggi cosmici con l’atmosfera, o in alcuni decadimenti radioattivi. Esse sono del tutto identiche alle loro compagne, con i medesimi valori di massa, tempo di vita se esse decadono (la cosidetta emivita, in inglese half life; vi ricorda per caso un certo Gordon Freeman? ndR) e così via. L’unica differenza risiede nella carica elettrica, che è uguale e opposta. Artificialmente è possibile produrre antimateria negli acceleratori di particelle come LHC al CERN (ne abbiamo già parlato, ricordate? ndR). Nell’acceleratore europeo e al Fermilab di Chicago sono stati prodotti atomi di antiidrogeno e antielio, sebbene in numero estremamente ridotto e con tempi di vita estremamente brevi.
APPLICAZIONI PRATICHE: POSITRON EMISSION TOMOGRAPHY.
L’unica applicazione che ha trovato fino a ora l’antimateria è in campo medico, e prende il nome di tomografia a emissione di positroni (PET). In pratica si introduce all’interno del corpo un isotopo tracciante, che abbia un’emivita nell’ordine delle ore o giorni al massimo, per evitare che i pazienti inizino a brillare di luce propria o si trasformino in supereroi una volta terminata la procedura. Il decadimento dell’isotopo produce un positrone, che a sua volta si annichilerà immediatamente con un elettrone nelle vicinanze, generando due impulsi gamma che vengono quindi rilevati dalla macchina. È importante notare che la macchina rigetta tutti i singoli fotoni, tenendo conto solo delle coppie effettive (e quindi dei gamma che vengono rilevati a pochi nanosecondi di distanza). Grazie a questa tecnica è possibile quindi stabilire il punto del corpo da cui provengono i lampi gamma, ottenendo così l’immagine complessiva delle attività metaboliche. L’isotopo viene infatti legato a una molecola generalmente zuccherina, che entra quindi a far parte dei processi biochimici del nostro organismo. La PET quindi, invece di fornire un’immagine di tipo morfologico (come la TAC o le radiografie), è in grado di generare vere e proprie mappe dei processi funzionali all’interno del corpo.
POSSIBILI APPLICAZIONI FUTURE: ANTIMATTER ROCKET.
Nelle collisioni materia – antimateria la teoria ci dice che l’intera massa delle particelle viene convertita in energia, sotto forma dei due fotoni gamma. Facendo i dovuti calcoli, si ottiene che l’energia per unità di massa che viene rilasciata in queste reazioni è 10 miliardi di volte maggiore rispetto a una normale esplosione di tritolo, 10.000 volte maggiore rispetto all’energia derivante dalla fissione nucleare e 100 volte maggiore rispetto alla migliore reazione di fusione nucleare possibile. Anche supponendo un’efficienza nell’uso dell’energia del 50% – assolutamente realistica – si tratta semplicemente della migliore fonte di energia di sempre. Un ipotetico space shuttle alimentato ad antimateria, utilizzerebbe per il decollo circa 50g di combustibile, contro le 750 tonnellate di idrogeno e ossigeno che consuma attualmente. Capite bene che l’antimateria sembra essere il carburante candidato ideale per i futuri viaggi interplanetari e interstellari, in quanto permetterebbe di stivare un’immensa quantità di energia in uno spazio e con un peso estremamente contenuti. Purtroppo l’antimateria è sì il miglior carburante concepibile, ma è anche in assoluto la sostanza più costosa da produrre: una recente stima pone il costo di un grammo di positroni attorno ai 25 miliardi di dollari. Questo perché la sua produzione è legata all’utilizzo di grossi acceleratori di particelle, come quello del CERN: macchine enormi, costose da costruire e mantenere, concepite per un utilizzo sperimentale e quindi senza tenere conto dei loro consumi energetici. Sebbene la quantità di antimateria prodotta di anno in anno è cresciuta con una progressione geometrica dal 1955 ad oggi, non siamo nemmeno lontanamente vicini a poterla produrre a livello commerciale. Anche perché una volta prodotta, non sapremmo dove metterla: stoccare l’antimateria con della materia ordinaria è chiaramente impossibile, a meno di non voler generare dei piccoli brillamenti solari ogni qualvolta si cercasse di ricaricare la propria cella a positroni personale. Metodi di confinamento, basati sull’utilizzo di campi magnetici ed elettrici, sono già stati sperimentati, ma rimangono appannaggio di quelle stesse strutture che producono con tanta fatica e con costi esorbitanti le nostre antiparticelle. Eppure, prima o poi, qualcuno potrà ordinare “curvatura 5” al proprio timoniere senza correre il rischio di venire internato…