La "grande occasione" sudafricana dei Mondiali di calcio

“Era il 15 maggio 2004 quando la Fédération Internationale de Football Association (FIFA) annunciò l’assegnazione dell’organizzazione dei mondiali 2010 al Sudafrica”, scrive il ricercatore Antonio Pezzano dell’Università Orientale di Napoli sul numero di aprile della rivista Babel: il trimestrale della Ong fiorentina COSPE.

Era appena stata annunciata la “grande occasione” dell’intero continente africano e della sua estrema punta sud… Già Nelson Mandela aveva parlato di “nazionalismo sportivo”, considerando lo sport come un possibile collante per stimolare l’unità del Sudafrica. Lo stesso principio che guidò i Mondiali di Rugby del 1995, che hanno peraltro ispirato la recente pellicola cinematografica di Clint Eastwood: “Invictus”. Successivamente lo stesso Thabo Mbeki vide nei Mondiali un’occasione storica per mostrare al mondo intero il nuovo volto del Sudafrica democratico, sfruttandone l’impatto sull’economia e lo sviluppo del Paese. “Ma l’idea che una grande manifestazione come la Coppa del Mondo possa contribuire al rilancio della crescita economica – sostiene Pezzano – è sminuita dal ruolo che, in un’economia globale, hanno i grandi potentati internazionali nel gestire il business dei grandi eventi sportivi che, seppure si svolgono ormai su diversi palcoscenici internazionali, lasciano ben poco spazio ai profitti locali”.

Pubblicità, diritti televisivi e licenze per la vendita dei prodotti del Mondiale sono infatti direttamente gestiti dalla FIFA, e i più grossi appalti legati alla realizzazione delle opere sono stati assegnati a ristrettissime élite. I 500 mila posti di lavoro creati dalla preparazione dell’evento spariranno non appena la squadra finalista alzerà la Coppa del Mondo in segno di vittoria. Due terzi dei 3,2 miliardi di Euro dati dal governo come contributo ai preparativi del mondiale sono stati spesi per gli stadi e le infrastrutture, che in molti casi rimarranno cattedrali nel deserto. Una cifra simile è stata destinata alle infrastrutture di trasporto, ma poche avranno realmente un’utilità quando la manifestazione sarà conclusa. Il resto del budget è andato soprattutto per la sicurezza (più di 200 milioni di Euro), per rendere più efficaci le misure di controllo dell’immigrazione (circa 60 milioni di Euro) e per televisioni e telecomunicazioni (circa 30 milioni di Euro). Poco più di 20 milioni di Euro sono poi andati alle infrastrutture sportive in comunità svantaggiate e altrettanti a comunicazione, cultura, arte.

Spese sostenute da un Paese in cui un terzo della popolazione vive ancora sotto la soglia della povertà e oltre il 10% dell’intera popolazione è affetta da HIV/AIDS, con circa due milioni di orfani causati dalla malattia. Uno Stato in cui il tasso di disoccupazione “allargata” è intorno al 40% e in cui un terzo della popolazione è occupata in attività informali, come il commercio ambulante di cibo e bevande, gadget per tifosi e souvenir per turisti, che saranno peraltro vietate durante il periodo dei Mondiali nelle vicinanze degli stadi, a vantaggio delle aziende autorizzate dalla FIFA e dal Comitato organizzatore, come la McDonald’s. In una nazione che, assieme al Brasile, si classifica come uno dei Paesi con maggiore diseguaglianza sociale, dove il 10% delle famiglie più ricche ricevono ben più della metà del reddito disponibile.

“Forse l’immagine più viva di questo Sudafrica – prosegue Antonio Pezzano – sono proprio le masse di poveri che entrano in rotta di collisione con i preparativi del mondiale. Quei poveri che vivono negli insediamenti informali o popolano le strade dei centri urbani, nel tentativo di sbarcare il lunario, che in vista dei Mondiali sono stati deportati a decine di chilometri di distanza dai luoghi che ospiteranno lo spettacolo della Coppa del Mondo, in periferie povere e segnate dalla criminalità e dall’assenza di servizi sociali. Un’immagine che riporta alla mente gli anni più bui del regime dell’apartheid in cui si “ripulivano” le zone centrali riservate ai bianchi deportando forzatamente i residenti di interi quartieri in periferie isolate e prive di servizi”.

Una grande occasione, quindi. Resta solo da stabilire per chi…

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