La Terra brucia

È un muro di fuoco, ma il fuoco non si vede.  Si vede il fumo. Un muro grigio e compatto che arriva fino al cielo, e lo trasforma in fumo. Il muro si muove, avanza lentamente, come un rullo compressore. Il fumo appare dal suolo e sale, è la terra stessa che brucia. Una terra fatta di carbone,  anzi di torba: alberi palustri che per dieci, ventimila anni hanno lasciato cadere foglie e rami sotto il pelo dell’acqua, dove si sono accumulati, sottraendo carbonio all’atmosfera e nascondendolo sotto le proprie radici. Ora la foresta è stata abbattuta, la palude prosciugata.
Non è l’inferno, è lo sviluppo che avanza, la nuova Indonesia: le piantagioni di acacia e di palma per la produzione di carta e di combustibile. La torba è un suolo sterile, non è buona per le piantagioni, ma  una volta seccata, è come una distesa di carbonella: basta un cerino e il gioco è fatto, la cenere è un ottimo fertilizzante.
Il fumo dall’Indonesia copre il cielo della Malesia e di Singapore, ma prima passa per i polmoni della popolazione del posto costretta a vivere in quella camera a gas globale. E la gente si ammala, i bambini muoiono. E il carbonio, fino a 300 tonnellate per ogni ettaro, se ne torna in atmosfera a scaldare lì’intero pianeta. Le emissioni provocate dalla distruzione delle foreste torbiere, fanno di un paese scarsamente industrializzato come l’Indonesia il terzo emettitore di carbonio, dopo Stati Uniti e Cina.
La vita dei contadini, la sopravvivenza delle specie, e il futuro dello stesso pianeta sono sacrificabili. Serve nuova terra per produrre merci da immettere sul mercato estero.
La distruzione delle foreste è pianificata dall’alto. A guidare le operazioni, il conglomerato cartario sino-indoensiano Asia Pulp & Paper (APP), un gigante capace di produrre tre milioni di tonnellate di cellulosa ogni anno. Ancora nel 2006, la APP si riforniva per il 70 per cento da foreste naturali e solo per un 30 per cento da piantagioni. Nel frattempo le piantagioni si sono espanse, ma sempre ai danni delle foreste naturali: fino al 2003 l’impresa ha ottenuto 121.000 ettari di piantagioni, nel 2004 ne ha aggiunti altri 65.000 ettari, nel 2005 ancora 81.000 e nel 2006 ulteriori 108.000 ettari. In molti casi si tratta di aree di grande valore ambientale.
Questa impresa ha distrutto da sola un milione di ettari di foresta, un’area grande come tre volte la Val d’Aosta. Dodici anni di deforestazione in Riau stanno portando l’elefante e la tigre di Sumatra all’estinzione. La tigre di Sumatra, l’ultima delle tigri insulari, non supera ormai i 500 esemplari in natura. La APP ha recentemente ottenuto dal governo indonesiano il permesso per abbattere tutti gli alberi su 200.000 ettari nell’area del Parco Nazionale di Bukit Tigapuluh, nella provincia di Jambi. Questo parco è essenziale per la tigre di Sumatra e l’orango. Le operazioni dovrebbero iniziare nel 2010, e includeranno l’unica area in cui era stato reintrodotto con successo l’orango.
La continua espansione sui mercati internazionali, dovuta al basso costo della materia prima prodotta con metodologie devastanti, fa sì che la APP abbia un continuo bisogno di espandere le proprie piantagioni, distruggendo quel che resta delle foreste di Sumatra, e affacciandosi a quelle del Borneo e della Nuova Guinea.
Le foreste asciutte nel frattempo si sono esaurite e oramai il 75 per cento delle nuove piantagioni della APP nelle provincie di Riau e Jambi, si trova in torbiere palustri, ricchissime di carbonio (fino a 300 tonnellate per ettaro).
Stesso paese, stesso scenario. Ma è un altro muro di fuoco quello che si leva dal villaggio di Suluk Bongkal, in una remota area di Sumatra. Questa volta è fuoco vivo, le fiamme si alzano in lingue giallastre sui tetti delle 400 capanne. Un fuoco secco, da cui si leva un sottile cono di fumo nero e acre di benzina e  gomma bruciata. Il villaggio è stato sgombrato dall’irruzione una composita truppa d’assalto: agenti di polizia, security privata e bande criminali. Da un elicottero della polizia piove carburante sui tetti delle case. Basta un cerino, come sempre.
Mentre il fuoco divora le poche cose dei contadini, la polizia arresta 70 abitanti nel fuggi fuggi generale. Alla fine due bambini saranno trovati morti, uno, di due mesi ucciso dalle fiamme, l’altro, di due anni, annegato in una pozza mentre fuggiva nella foresta. Gli arrestati saranno poi trattenuti per mesi senza processo.
Cosa ci fa questo scenario da guerra civile nell’isola di Sumatra? È il conflitto per il controllo della foresta: i colossi industriali della carta e dell’olio di palma hanno urgente bisogno di nuovi terreni da mettere a piantagione, il governo rilascia loro nuove concessioni senza curarsi dei diritti di indigeni e comunità locali e quando questi non accettano di abbandonare le proprie case, si passa alle maniere spicce.
L’impresa PT Arara Abadi aveva ottenuto la concessione alcuni anni prima, ma assieme ad altre imprese del gruppo APP – Sinar Mas era finita nel mirino di investigazioni sul taglio illegale, che avevano portato al sequestro di un milione di metri cubi di legname. Secondo gli investigatori le concessioni erano state rilasciate in modo irregolare.
Gli abitanti del villaggio di Suluk Bongkal avevano forse festeggiato, ma contro la polizia di Riau è intervenuto l’allora ministro delle foreste Malam Kaban, e dopo mesi di braccio di ferro istituzionale, il capo della polizia di Riau era stato rimosso. Nel giro di pochi giorni, ecco la polizia locale schierata assieme alle guardie private della Arara Abadi nel distruggere il villaggio.
Suluk Bongkal non l’eccezione. Simili conflitti sono diffusi trai Jambi e Riau. Le violazioni dei diritti umani si estendono anche ai giornalisti: nel luglio 2009 la security aziendale a di una impresa del gruppo APP, la PT Lontar Papirup Pulp and Papers, ha sequestrato due reporter della televisione France 24, che riprendevano camion di tronchi.
La APP sostiene di svolgere un ruolo cruciale per il benessere delle comunità delle aree in cui opera, lasciando intendere che il sacrificio delle foreste sia necessario allo sviluppo di un paese povero. Una tesi su cui si può discutere, ma quel che è certo è che l’espansione della APP è una disgrazia per le comunità indonesiane: foreste in questo paese danno da vivere a 30 milioni di persone, tra cui 300 gruppi indigeni. La loro distruzione lascia questa gente senza casa, senza fonti di sussistenza, senza il loro ambiente e la loro cultura. La loro vita, sostenuta dalla foresta per migliaia di anni, si trasforma in una povertà senza radici né mezzi di sussistenza dignitosi. In realtà i profitti dell’industria del legno e della carta non contribuiscono certo allo sviluppo. Secondo un rapporto pubblicato da Human Rights Watch redatto sulla base dei dati forniti dalla Commissione per lo Sradicamento della Corruzione (KPK) voluta dallo stesso Presidente della Repubblica, il settore forestale indonesiano avrebbe sottratto circa 2 miliardi di dollari, tra tasse evase, sussidi “aggiustati” e prelievo di tronchi senza le necessarie autorizzazioni. La stessa cifra, secondo i calcoli della Banca Mondiale, sarebbe sufficiente ad assicurare l’assistenza sanitaria a 100 milioni di indigenti per almeno due anni.
Intanto le ruspe avanzano, e i mercati si riempiono di nuovi prodotti, gli strateghi commerciali pianificano aggressive politiche di penetrazione dei mercati. Editori e tipografie italiane ricevono la visita di venditori con una piacevole sorpresa: carte di buona qualità a prezzi imbattibili e con generosi tempi di pagamento. Sotto le cravatte dei venditori si nasconde l’inferno dell’Indonesia: se la APP riuscirà ad espandersi sul mercato italiano e europeo, questo si tradurrà un nuove foreste convertire in piantagioni. Non è una mera previsione: il governo indonesiano ha allocato 29 milioni di ettari alla produzione di legno, e altri 10 milioni di ettari alla conversione in piantagioni. Si tratta di una superficie più grande dell’Italia.
Assieme al Rainforest Action Network, una associazione ambientalista statunitense, l’associazione ambientalista Terra! ha scoperto che uno dei principali fornitori di packaging delle griffe, PAK 2000, era una controllata della APP, e ne veicolava le fibre nel mondo della moda, sotto forma di shopper e packaging. Il primo risultato della campagna di Terra! è stata la rottura dei contratti con PAK2000 da parte di imprese come Tiffany, Gucci, Balenciaga, e Versace, riconvertendo i propri acquisti a prodotti certificati Forest Stewardship Council (FSC). Per evitare di perdere tutti i propri clienti, alla fine PAK 2000 si è impegnata a chiudere i contratti di fornitura dalla APP o altre imprese coinvolte nella deforestazione, e usare solo fibre certificate FSC. Per dare credibilità a questa mossa, PAK 2000 ha dovuto liberarsi del controllo azionario della APP.
Nel frattempo, numerose altre imprese, come Staples, Fuji Xerox, , H&M, Office Depot, Corporate Express, Idisa Papel, Metro, Woolworths, Robert Horne e Ricoh hanno interrotto gli acquisti dalla APP, considerata società a rischio.
Sparita dalle griffe, la carta incriminata continua a essere consumata in Italia, primo importatore europeo di carta e cellulosa indonesiana. Fonti di Terra! hanno messo in luce un’aggressiva campagna di espansione nel mercato italiano da parte della APP, che nel frattempo ha aperto uffici in Italia, Spagna, Regno Unito e Germania. L’Italia è divenuta oramai il primo importatore europeo di prodotti cartari dall’Indonesia, superando le 77.000 tonnellate. Nel 2009, editori, tipografie e rivenditori di carta hanno acquistato oltre 40.000 tonnellate di carta soltanto dalle tre cartiere indonesiane del gruppo APP: Tjiwi Kimia, Pindo Deli e Indah Kiat. Il 10 maggio 2010, nel cuore di Roma, a Piazza Venezia, è comparso uno striscione pubblicitario delle Cartiere Paolo Pigna: “Per deforestare abbiamo carta bianca: le cartiere Pigna contribuiscono ogni giorno alla distruzione delle foreste secolari”. La beffa è ispirata al rapporto Le Tigri di Carta, pubblicato da Terra!, secondo cui  le Cartiere Paolo Pigna acquistano carta e prodotti lavorati dal colosso cartario asiatico APP. In questo modo, sostiene Terra!, anche le cartiere italiane alimentano la distruzione delle foreste pluviali dell’Indonesia. La continua espansione del mercato, sostenuta dal basso prezzo della materia prima, non fa che accelerare la distruzione delle foreste. È un circolo vizioso: le foreste indonesiane vengono abbattute per produrre carta a costi contenuti. Le cartiere Pigna negano e hanno annunciato denunce e richieste di danni. Ma chi pagherà i danni ai contadini di Suluk Bongkal?
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