[stextbox id=”custom” big=”true”]Un nuovo autore su Camminando Scalzi.it
Giovanni Paci è un consulente e ricercatore indipendente che opera nel campo della programmazione e dell’analisi delle politiche e dei servizi sociali. Ha 45 anni. È editor del blog pratichesociali dove vengono raccolti contributi sui temi della giustizia sociale, dei diritti umani, delle migrazioni e della ricerca sociale. È possibile seguirlo anche su Twitter.
Nel suo primo articolo ci racconta del suo viaggio in oriente… [/stextbox]
L’immagine di Calcutta è stata rovinata dalla letteratura e dalla storia recente. Il primo sito turistico nelle principali guide occidentali è la “Casa dei Morenti” di Madre Teresa che, in realtà, lì è chiamata “casa per anziani” ed è chiusa per restauro. Chi l’ha visitata negli anni passati non ha potuto non provare un certo disagio nell’attraversare le due stanze in cui uomini e donne stavano esposti come fossero quadri o elementi architettonici di raro interesse. Il turista spesso cerca le atmosfere della “città della gioia”, vuole immergersi per qualche giorno nello sporco e nel caos di questa metropoli di quasi venti milioni di abitanti, per poi godere del ritorno nelle strade pulite e ordinate di casa propria, ringraziando per essere nato nella parte “giusta” del mondo.

In realtà Calcutta è una città molto bella, una metropoli piena di contraddizioni, come tutte le metropoli, innaffiata però di odori e rumori incredibilmente amplificati. Non è solo la città degli slums e degli uomini “cavallo” che richiamano i clienti con il campanello in mano. Vi puoi trovare di tutto, sia per mangiare che per dormire. Puoi prendere il tè nei baracchini nelle tazzine di terracotta usa e getta o mangiare una buona pizza come a casa propria. Puoi dormire in un albergo alla “occidentale” o in quel vecchio hotel per pensionati nostalgici che è il Fair Lown o, meglio, in piccole guest house dignitose e pulite oppure, infine, ritrovarti in una bettola piena di scarafaggi.
La forza della città è la mobilità. La metropolitana che ha solo una direzione è puntuale e ti permette di raggiungere le zone principali. I rikshaw a motore collegano a bassissimo costo e in modo efficiente le principali vie di comunicazione. Se vuoi puoi provare l’ebbrezza dei bus presi al volo, dove però spesso dovrai stare in piedi e, in alcune zone, c’è pure la tramvia. Per andare nei villaggi fuori città poi c’è il treno dove è possibile sperimentare una piccola società in miniatura. Ci sono infatti due modi di conoscere questo paese: o un viaggio di mesi lungo il subcontinente o un viaggio in treno di tre ore tra la città e i villaggi vicini. Venditori che salgono a ogni stazione con qualsiasi tipo di mercanzia; mendicanti di basso strato sociale che si accontentano di pochi centesimi e rispettati eunuchi che pretendono non meno di 10 rupie con fare altezzoso; bambini che puliscono i vagoni strisciando per terra e altri che improvvisano uno spettacolo circense per racimolare il pasto della giornata, prima di stendersi a dormire nei vagoni, sui sedili rimasti vuoti. Il treno è l’India in miniatura: dentro quel caos c’è una logica che è possibile intuire se non ci lasciamo andare a giudizi affrettati e proviamo a entrare nell’esperienza senza limitarci a osservarla dall’esterno.
Ma la cosa che più colpisce di Calcutta è l’incredibile socialità. Anche nelle zone più degradate si percepisce la presenza concreta di reti di protezione e solidarietà che coinvolgono anche lo straniero che non ha mai l’impressione di sentirsi minacciato. Anzi, proprio nelle zone più povere puoi assistere a piccoli gesti di solidarietà e condivisione che, soprattutto se hai la fortuna di viaggiare con persone del luogo, non possono non farti riflettere. Certo, troverai il tassista che cercherà di strapparti un prezzo esoso ma troverai anche quello che ti restituisce i soldi quando hai capito male il costo. Troverai la persona che ti tira fuori da situazioni critiche, come ad esempio perderti nel deposito treni della stazione di Howrah, e quella che ascolta le tue richieste nel tuo inglese incomprensibile (loro parlano l’indish, un inglese indianizzato accompagnato da una mimica che certo non aiuta!).
È vero, c’è ancora tanta povertà a Calcutta. Ma povertà non è sempre sinonimo di disperazione. Qui prevale l’arte di arrangiarsi, la voglia di arrivare a sera, la creatività e la ricerca di nuovi e sempre diversi espedienti. Insomma Calcutta non è un fatto letterario, è una città moderna che cresce veloce, piena di disuguaglianze e contraddizioni, in parte radicata nel passato e in parte proiettata nel futuro. Ha una grande Università in cui hanno studiato tre premi Nobel e una marea di gente che dorme per la strada. È però la città che non ti aspetti, da visitare senza pregiudizi o aspettative, assaporandola fino in fondo.
Giovanni Paci
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