Analizzare e ascoltare la musica degli antichi non è solo un’operazione musicologica, né tantomeno un constatare banalmente l’evoluzione del linguaggio. La musica va intesa e studiata come atto di pura spiritualità, ossia per distinguere ciò che è arte da ciò che non lo è, in una sorta di “allenamento” per lo spirito. Ogni opera d’arte è figlia del suo tempo – diceva Kandinsky nel suo “Lo spirituale nell’arte”. Ogni epoca ha un suo periodo culturale e una sua sensibilità non più ripetibili. Ci è suggerita – e vi invito a farlo – quindi, una profonda riflessione su “ieri” per interpretare meglio possibile ciò che siamo oggi e ciò che potrà accadere “domani”.
Nella preistoria i suoni esistenti erano quelli della natura. Il vento, il mare, la pioggia, i temporali, il cinguettio degli uccelli. Suoni che ora si estinguono nelle città, sopraffatte da rumori ostili. L’uomo, prima ancora dei suoni, ha esplorato le possibilità del ritmo. Non possiamo dirlo con assoluta certezza, un po’ come il “dilemma” dell’uovo e la gallina. In ogni caso il giorno ha una sua durata, come le stagioni, come la vita; e il lavoro dell’uomo necessitava organizzazione, quindi di tempi precisi. Prima ancora del parlato, si potevano sbattere le mani o percuotere degli oggetti. Con le percussioni quindi si potevano scandire i tempi ad esempio della marcia, di una danza o di qualsiasi rito propiziatorio.
Il canto nacque come estroflessione melodica della voce parlata, come effetto fisiologico dei sentimenti: come un contadino che ara la terra, esprimente la sua serenità con il canto. Dalla preistoria e dall’antichità sono pervenuti i primi strumenti musicali, di varia natura, e per l’approfondimento di alcuni di questi vi rimando all’interessantissimo articolo di Eva Danese, “La musica degli armonici“.
I primi frammenti musicali storicamente ricostruibili provengono dall’antica Grecia, a partire dal V sec. a.C. . Molta musica veniva ancora tramandata oralmente e quella poca che è stata scritta si è persa nei secoli.
Si tratta di musica per inni o tragedie, prevalentemente in onore a divinità; ha caratteri molto rudimentali, senza particolari e complicate costruzioni formali, rapidamente usufruibile. Si usavano cellule melodiche predeterminate, e lo sviluppo di queste si basava sulla variazione improvvisata: non vi ricorda in parte la moderna pratica del jazz?
Non si può non venir colpiti dal fascino di una civiltà, risalente a più di duemila anni fa, porta tra occidente e oriente, crocevia di scambi culturali. La cultura greca è la madre della nostra cultura: dai documenti ritrovati, furono proprio i Greci per primi a studiare e catalogare le relazioni esistenti tra la musica e determinati stati d’animo; inoltre essi intuirono il ruolo che essa ha nella formazione e nel carattere dei giovani. Il fascino di questo frammento risiede proprio nel suo sapore primigenio, antico. Il tempo ne ha potenziato lo spirito e ne giustifica la rudimentalità. La melodia dell’aulos è vergine come l’infanzia, e preziosa come un diamante. Testimonia una serenità di spirito e una totale conciliazione con la natura. Tempi che sembrano così lontani da quelli di oggi, dominati dal capitalismo e dalla competizione sociale. Oggi ci siamo specializzati nell'”arte” della rudimentalità: i soldi e/o il sesso. La provocazione è un atto altrettanto efficace quanto vuoto, perché ogni significato interiore passa in secondo piano.
Gli anni dell’impero romano fino al medioevo furono anni di blackout culturale. Ci furono opere prevalentemente vocali, monodiche, che assolvevano funzioni liturgiche cristiane. Tra la miriade di canti esistenti tra i vari ordini in tutta Europa, il papa Gregorio Magno (V sec d.C.) fece provvedere a catalogare i canti da utilizzare, che presero appunto il nome di “canti gregoriani”. Successivamente, la grossa novità fu il passaggio dalla monodia alla polifonia: a un canto dato (cantus firmus) si accompagnarono una o più melodie, nota contro nota (punctum contra punctum). Assistiamo alla nascita del contrappunto, tecnica mano a mano sviluppata nei secoli e che raggiunse l’apogeo con J.S. Bach.
La produzione di musica, basandosi su canti dati del repertorio gregoriano, ebbe così modo di poter crescere. In quei tempi si componeva assai di rado per più di un’unica esecuzione; non ci si limitava alla conservazione e riproduzione infinita come accade perversamente oggi: la musica era consumata come il pane, quotidianamente.
Il primo e più importante centro di produzione musicale europea, concordamente riconosciuto da tutti gli storici, è la scuola di Notre – Dame, a Parigi, che operò tra il 1150 e il 1350, grazie all’opera fondatrice dei primi due maestri di cappella: Magister Leoninus e Magister Perotinus. L’opera del primo maestro prevedeva composizioni a due voci; il secondo estese a tre o quattro voci le sue opere. La prima opera della storia della musica con data e luoghi certi è il “Viderunt omnes” di Magister Perotinus: fu eseguita a Natale del 1198 nella cattedrale di Notre – Dame.
È musica celestiale, in linea alla sua funzione liturgica. Profetica, perché getta una pietra miliare: come intrecciare le voci sarà infatti materia di studio dei successivi compositori. E questi avranno tutti l’esigenza di raffinare la scrittura, per avvicinarsi sempre più alla perfezione dell’ordine celeste, come ad esempio Ockeghem prima e Palestrina poi. Il pensiero compositivo di Perotinus è pensiero puro, che manterrà la sua forza nell’eternità: è straordinario perché se è vero che esistono tantissime opere mirabili, fatte anche di idee interessanti, sono davvero poche quelle che hanno segnato il corso della storia dell’umanità.