C’è una Tienanmen a un passo da qui e in pochi se ne sono accorti. Tutti presi dal Sexygate, dalle intercettazioni e dal bunga bunga, dalle raccomandazioni, dai festini e da quello che succede nella casa più spiata d’Italia (non quella del Grande Fratello, quella di Arcore), il riordino dell’assetto mediorientale è passato, o comunque sta passando, in secondo piano.
Il connubio Italia-Egitto si è sintetizzato nei kebab, nei resort di Sharm el Sheik e nelle giovani adolescenti tirate fuori dalle questure perché nipoti di Mubarak. Già, proprio lui che, in questi giorni, è assediato dal suo stesso popolo, che gli urla a gran voce di dimettersi. L’ennesimo regime sotto scacco, che segue da vicino le rivolte Algerine e Albanesi. Cosa attendersi ora? E perché ora? La prossima nazione sarà la Libia. Il vecchio Gheddafi, con i suoi cavalli e le sue cavalle con le mostrine, farà posto presto o tardi al figlio, molto più occidentalizzato, al passo con i tempi e più simpatico agli Stati Uniti. Il vecchio troverà sicuramente posto in una dependance di Arcore. Il perché, a mio avviso, è da ricercarsi nel cambio di rotta che stanno prendendo gli Stati Uniti nei confronti di Israele; il partner storico, dopo le disfatte in Iraq e Afghanistan e la difficoltà nelle trattative in Palestina, inizia a essere indigesto, soprattutto alla compagine democratica che, a differenza di quella repubblicana, ha pochi interessi in ballo con le major delle armi&similia. L’America guarda oltre, guarda alle economie cinesi e indiane, cercando di ridisegnare dei confini dentro le quali stringerle: a oriente tra filippine, giappone e siam, a occidente in questo nuovo “medioriente” capitanato da un Egitto in piena rivoluzione.
La prova l’abbiamo avuta pochi giorni fa, quando l’Egitto ha dovuto chiedere l’autorizzazione a Israele per far avanzare i carrarmati nella pianura del Sinai, zona demilitarizzata, autorizzazione concessa e che ha fatto infuriare Hillary. Mentre in America chiedono elezioni e che Mubarak si dimetta per il bene del (suo) paese, Frattini cambia idea come una banderuola cambia direzione in un giorno di vento. Poche ore prima assicura appoggio a Mubarak, poche ore dopo chiede le sue dimissioni, evidentemente informato di aver detto una cazzata. L’esercito è stretto tra due fuochi. Da una parte Mubarak che chiede la soppressione delle rivolte, dall’altro un popolo che chiede ciò che è giusto: giustizia e democrazia. Il Cairo è nel caos. Piazza Tahir è la nuova Tienanmen e il popolo egiziano è la dimostrazione chiara, lampante, splendida, che il popolo conta ancora qualcosa.
Noi, invece, mangiamo popcorn e seguiamo il nostro personale sexygate.
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E’ vero… gli Egiziani ci stanno dando una grande dimostrazione di coraggio e partecipazione attiva. Donne comprese! http://www.facebook.com/album.php?aid=268523&id=586357675&fbid=493689677675&ref=mf
secondo me invece (e lo dico amaramente, voglio precisare) quel che sta succedendo in Egitto è l’ennesimo esempio di come le sorti del mondo vengano mosse ancora dal grande vecchio burattinaio statunitense, che ha deciso di liberarsi del vecchio dittatore, ma solo per sostituirlo con uno ancora più docile e, sempre e comunque, filostatunitense. L’accordo con cui Washington fornisce a Il Cairo 1.3 miliardi di dollari all’anno nel settore militare per consentire all’Egitto di acquistare armi ed equipaggiamento militare USA è la massima conferma che l’esercito egiziano è al soldo degli Stati Uniti d’America. L’unica spiegazione, quindi, all’appoggio che l’esercito sta dando alla “rivoluzione” è proprio questa: la rivolta non è poi così genuina come i mass media ce la vogliono raccontare, ma fa parte di un piano di ridefinizione geopolitica molto più ampia….e il popolo egiziano (che giustamente rivendica un cambio di regime e una svolta democratica) fa da pedina nello scacchiere, manovrata ancora una volta dal grande Leviatano. Purtroppo però la guerra civile è già scoppiata.