“Un arma elegante, per tempi più civilizzati”. Moltissimi tra voi riconosceranno in questa citazione la descrizione che Obi-Wan Kenobi dà della spada laser, l’arma distintiva di ogni Jedi che si rispetti. Da sempre la fantascienza ha infatti nelle armi energetiche uno dei suoi maggiori cliché. Cannoni laser, blasters, disgregatori, hanno tutti in comune il fatto di espellere energia sotto forma di luce estremamente intensa, piuttosto che con un proiettile fisico. Oggi il laser (che ha appena compiuto 50 anni… Auguri!) trova innumerevoli applicazioni nei più svariati campi, in nessuno dei quali viene – per fortuna, aggiungo io – utilizzato come arma (anche se ci sono sperimentazioni in questa direzione da parte dei soliti americanoni) . Oggi voglio approfittare di questo compleanno per raccontarvi un po’ come funziona il dispositivo che ha permesso l’avvento di CD, DVD e Bluray vari, oltre a essere oramai uno degli strumenti fondamentali nella ricerca fisica, chimica e biologica.
ALTRO CHE PERDENTE
Laser è un acronimo che sta per Light Amplification by Stimulated Emission of Radiaton, ovvero “amplificazione della luce tramite emissione stimolata di radiazione”. In origine doveva chiamarsi Loser (perdente in inglese), con oscillation al posto di amplification, ma potete ben immaginare come un simile acronimo rischiasse di azzoppare in partenza l’apparecchio. Tecnicamente si tratta di una sorgente di onde elettromagnetiche coerenti altamente direzionali e monocromatiche. Il significato di questi termini sarà chiaro a breve, per adesso sappiate che tutto nasce da una teoria enunciata da Einstein (il caro vecchio Albert avrebbe dovuto prenderne 10 di premi Nobel, talmente tanti sono i suoi contributi alla fisica moderna) riguardo i fenomeni che regolano l’assorbimento e l’emissione dell’energia da parte degli atomi, e che pone la base riguardo la natura quantizzata dei livelli energetici. Senza scendere troppo nel tecnico, gli elettroni che ruotano attorno ai nuclei atomici lo possono fare solo seguendo traiettorie ben definite, tanto più ampie (e quindi lontane dal nucleo) quanto è maggiore l’energia dell’elettrone che la percorre. I livelli quantici sono separati tra loro da quantità ben precise di energia, uguali per ogni atomo dello stesso tipo che si trovi nelle medesime condizioni. Insomma se prendete, ad esempio, un atomo di idrogeno e volete che il suo unico elettrone faccia il salto quantico (quantum leap) al primo livello partendo dallo stato di ground (il livello di minima energia), dovrete sempre fornirgli lo stesso quantitativo di energia. Questo significa anche che ogni volta che l’elettrone decaderà allo stato di ground (cosa che farà spontaneamente dopo un tempo nell’ordine dei nanosecondi), riemetterà quella stessa energia sottoforma di un fotone di luce.
Questo processo è chiamato emissione spontanea, e avviene con tempistiche del tutto casuali, così come del tutto casuale è la direzione in cui viene emesso il fotone. Esiste però anche il processo stimolato, che si ottiene facendo incidere sull’atomo eccitato un fotone la cui energia è uguale a quella di eccitazione. L’onda elettromagnetica risultante dall’emissione stimolata avrà la medesima fase (ovvero, alle creste e alle valli dell’onda stimolante corrispondono perfettamente creste e valli dell’onda stimolata) e direzione dell’elettrone incidente. Ora, immaginate di avere una certa quantità di materiale eccitato energeticamente e di inviarvi contro un fotone alla giusta frequenza: quel che otterrete è un fascio di onde elettromagnetiche tutte in fase (coerenza spaziale e temporale), tutte della stessa frequenza (monocromaticità) e altamente focalizzate (alta direzionalità). Se poi ponete questo “materiale attivo” all’interno di quella che viene definita cavità di oscillazione o risonanza ottica (de facto, tra due specchi altamente riflettenti posti a una distanza opportuna da permettere l’instaurarsi di un regime di onda stazionaria, similmente a quanto accade a una corda fissa ai due capi che oscilla) e continuate a “pompare energia” all’interno del vostro materiale attivo, otterrete che a ogni passaggio del fasci all’interno di esso la sua energia accrescerà (ed ecco l’amplificazione), fintantoché non deciderete di aprire la cavità lasciando uscire il vostro fascio laser.
IL RAGAZZO È BRAVO MA NON SI APPLICA… O SÌ ?
La luce che emerge da un laser ha delle proprietà del tutto peculiari, che gli permettono un vasto range di applicazioni. Le caratteristiche di monocromaticità, coerenza e focalizzazione permettono di ottenere intensità luminose superiori a qualsiasi cosa esista sul globo terracqueo, superando alla grande anche la luce proveniente dallo stesso sole. Vi basti pensare che bastano 10 mW di potenza per procurare temporaneo accecamento, e con 60 mW potete anche salutare la vostra retina. I laser in generale possono lavorare con un fascio continuo (in cui l’emissione della luce rimane più o meno costante durante il periodo di accensione del dispositivo) o impulsato (in cui l’energia emessa viene concentrata in brevissimi impulsi altamente energetici), e si possono raggiungere potenze davvero elevate. A titolo d’esempio, vi basti sapere che io stesso per la mia tesina triennale ho lavorato con un laser impulsato da 10 Terawatt (10^12 o mille miliardi di watt), che è più della potenza totale mondiale generata da centrali. Potenze nell’ordine dei 100 Petawatt (che è un unità di misura che non ha a che fare con l’aerofagia, ma equivale a 10^15 Watts) sono state raggiunte nei grandi centri per la ricerca riguardo la fusione nucleare a confinamento inerziale, sempre con laser a impulsi ultrabrevi (ricordo che la potenza è la quantità di energia emessa o assorbita diviso per il tempo impiegato… Per cui diminuendo il tempo di emissione la potenza aumenta enormemente, anche se in realtà si stanno emettendo pochi joule di energia).
Certamente la ricerca può fare grande uso delle caratteristiche di monocromaticità dei fasci laser (ad esempio per eccitare biomolecole fluorescenti), o dell’intensità e delle grandi potenze emesse (come nel caso delle già citate ricerche sulla fusione inerziale), ma anche l’utilizzo più o meno di tutti i giorni può beneficiare di questo strumento. Tralasciando CD, DVD e Bluray che tutti conosciamo bene, pensate anche soltanto alla precisione di taglio che un laser può garantire: nella chirurgia oramai sono cosa di tutti i giorni le operazioni a cornee, retine e via dicendo utilizzando laser, più sicuri e puliti di qualsiasi altra lama “fisica”. Nell’industria, tagliare lamiere, incidere circuiti stampati, semiconduttori e pannelli solari oramai è appannaggio dei laser, più precisi dei metodi tradizionali. Molti autovelox funzionano (purtroppo e per fortuna) tramite l’emissione di fasci laser, che in base al tempo di riflessione permettono di calcolare la velocità delle macchine che vi incappano. Di recente si è iniziato a utilizzare il LIDAR (un radar fatto con una testa laser in grado di effettuare scansioni spaziali) per la mappatura ad alta risoluzione dell’atmosfera, del terreno e perfino dei mari. Insomma, mai come oggi il “light side” ha avuto così tante buone motivazioni per essere scelto.
E allora: may the Force be with you!