La caduta dell'amico Gheddafi

In Libia siamo ormai di fronte alla guerra civile. Una terribile guerra civile. Soltanto ieri si parlava di 250 morti, con i cacciabombardieri che hanno lasciato il loro carico di morte sulla folla che manifestava. Gheddafi è un dittatore, diciamolo subito, ed anche uno dei peggiori. Come si fa altrimenti a spiegare un leader che bombarda e uccide il suo stesso popolo?

Salito al potere nel 1969, dopo un colpo di stato che ha rovesciato il governo monarchico di re Idris, giudicato troppo servile nei confronti di francesi e americani, è il leader incontrastato e gode di poteri assoluti in Libia. Possiamo sommariamente dividere la sua politica estera in due fasi, una precedente al 1990, molto più nazionalista e distaccata rispetto alle politiche europee e americane, e una successiva, in cui si è lentamente aperto e riavvicinato all’Europa, e soprattutto all’Italia, con cui ha siglato accordi economici in cambio di un controllo delle coste libiche sulla fuga dei clandestini.

Contemporaneamente è sempre stato presentato, soprattutto nella storia recentissima, come amico fidato di Berlusconi, fino ad arrivare alla sua ultima visita in Italia, di cui abbiamo parlato in questo articolo su Camminando Scalzi. Baciamani, le hostess, i cavalli, e tutto il circo patetico organizzato in onore di questo dittatore del Mediterraneo che gode di un incredibile rispetto da parte del nostro Premier. Si narra addirittura che l’ormai famosissimo Bunga Bunga sia proprio un “rituale” (chiamiamolo così) copiato dalla corte di Gheddafi. Insomma, culo e camicia con Berlusconi.

Si arriva così al giorno d’oggi, con un paese come la Libia (dopo l’Egitto e la Tunisia) che si ritrova a rivoltarsi contro il suo stesso leader, alla ricerca di una modernità e di una democrazia, ma soprattutto di una libertà del popolo finora non garantita. E come ogni dittatore che si rispetti, Gheddafi invece di prendere armi e bagagli e levarsi di mezzo, è arrivato a bombardare il suo stesso popolo. Si parla di una vera e propria strage, sebbene le notizie ufficiali rimangano comunque vaghe a causa del silenzio mediatico imposto. Insomma, tutto in pieno stile dittatoriale, nessuno può protestare, se lo si fa si muore, e nessuno lo deve venire a sapere (la TV di Stato oggi parlava di “menzogne”).

Ma perché questa vicenda ci tocca da vicino? Oltre alla scontatissima violazione dei diritti umani, alla violenza gratuita e inaccettabile contro un popolo che è sceso in piazza a protestare contro un regime, bisogna ricordare che Libia e Italia sono legate da vari trattati a doppio filo. Senza scendere troppo nei dettagli, c’è un “patto d’amicizia” (e già qui si rabbrividisce) che prevede un controllo della Libia sui flussi migranti (che pare siano scesi del 90%) in cambio di agevolazioni economiche da parte del nostro paese. Senza contare le nostre multinazionali che hanno base in Libia (ad esempio l’Eni), e il gasdotto che arriva dalla Libia in Italia e porta gas in tutta Europa.

Eppure l’Italia è stato l’ultimo Paese ad aprire bocca sul terribile conflitto e sulla terribile violazione dei diritti umani che si sta consumando in Libia; dapprima con il Premier che ha dichiarato di non voler disturbare Gheddafi, successivamente con una presa di posizione che è sembrata quasi obbligata, quando ormai tutta Europa stava facendo pressioni sull’insopportabile silenzio italiano. Ancora una volta il nostro Paese è risultato debole diplomaticamente agli occhi dell’Europa intera, e questa volta non è stata colpa di intercettazioni, festini, bunga bunga o quant’altro. C’è stata una lacuna diplomatica, una mancanza di presa di posizione decisa e immediata che condannasse il terribile genocidio che si sta consumando in queste ore in Libia, un silenzio figlio di una mai nascosta amicizia tra il nostro premier e il dittatore libico.

Ci sarebbe piaciuto sentire immediatamente una condanna senza se e senza ma, vedere un Italia pronta a dire di no agli abusi, ai bombardamenti sulla folla, e invece abbiamo assistito ad un teatrino di dichiarazioni smorte e poco incisive nei primi giorni, fino alla tardiva presa di posizione ormai obbligata.

Nel Mediterraneo sta accadendo qualcosa di importante, un passaggio storico dalle antiche politiche di regime al desiderio di democrazia e libertà dei popoli e nel nostro Paese, che è un punto strategico di questa zona, il governo è concentrato a bloccare le intercettazioni, fare i processi brevi, e qualsiasi cosa possa salvare l’ormai segnato decorso giudiziario a carico del nostro Premier.

Potevamo e dovevamo essere protagonisti di questo momento storico. E invece forse verremo ricordati come quelli che hanno accolto Gheddafi con i massimi onori, con i baciamano, le 200 hostess e la parata dei cavalli.

Good Job Silvio, ancora una volta, Good Job.

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7 pensieri su “La caduta dell'amico Gheddafi

  1. OTTIMO ARTICOLO MARCO COME AL SOLITO, SOLO ALLA FINE IO AVREI DETTO GOOD “BLOW” JOB SILVIO ANCORA UNA VOLTA…:)
    A proposito di rapporti economici Italia-Libia ho appena visto un filmato in cui un mercenario che sparava sulla folla viene catturato, picchiato e interrogato. La cosa più strana è che aveva un giubbotto con il simbolo dell’Eni addosso… Cmq temo che le conseguenze sull’Italia di questa rivolta stavolta non si limiteranno ai viaggi cancellati per Sharm-el-Sheik ma molto molto più serie…:(

    • Il problema è proprio questo, saremo ancora una volta identificati come “amici” di qualcuno che merita soltanto la galera. Senza considerare le conseguenze inevitabili che coinvolgeranno il nostro Paese (e alcune le stiamo già vedendo, vedi gasdotto interrotto).

  2. Qui in Italia ci si preoccupa più del grande flusso migratorio che potrebbe verificarsi verso le nostre coste, piuttosto che della vita di queste povere persone che tentano di riconquistare la loro libertà. Vergognamoci un’ennesima volta della nostra classe politica (e ribadisco sempre: sia di destra che di sinistra).

    • Sarebbe stato bello per una volta vedere una condanna senza se e senza ma da parte di tutta la classe politica. Oggi Gheddafi ha incitato il “suo” popolo a stanare i rivoltosi, e ha detto che piuttosto che abbandonare il Paese continuerà con la repressione, e più che scappare preferisce morire. La triste (e anche un po’ patetica) decadenza di un dittatore. Pare che il suo discorso sia stato accolto dal popolo con delle grasse risate. E quando finisce la paura, un dittatore non significa più niente.

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