Mimosa nera

Oggi è la festa della donna e io mi chiedo cosa ci sia da festeggiare.

Che senso ha andare nei locali, mangiare una pizza con le amiche, assistere a degli spettacoli più o meno di buon gusto e ballare, ballare con una spensieratezza che non ci possiamo permettere? Non che ci sia qualcosa di male in questo, sono la prima a trovare la cosa divertente, ma non oggi. Mentre tutti sembrano fare a gara per chi è più bravo a rispettare la dignità o il corpo delle donne, solo noi sappiamo che oggi non c’è festa per le donne.

Donne come Gabriella, la precaria della scuola di Salerno costretta a chiedere aiuto per mangiare attraverso una sottoscrizione. Donne violentate, infibulate, perseguitate a casa come in ufficio da padri, mariti, amanti, datori di lavoro che hanno confuso l’amore con il possesso e il certificato di nascita o matrimonio con un contratto di compravendita. Donne dell’Olgettina, Ruby Rubacuori, che usano il proprio corpo come un salvadanaio, e non ci vuole molto a capire qual è la fessura da cui entrano i soldi e il buco da cui escono. Donne che devono lasciare il lavoro (una su due) con la nascita di un figlio per nidi assenti, e nessun supporto da parte dello Stato nella crescita dei figli. Donne giovani che non si sono mai inserite nel mondo del lavoro, e altrettante che per farlo sono costrette a fuggire dall’Italia. Donne a cui lo Stato toglie il lavoro, e con un certo sadico sarcasmo fa notare che non è vero, poiché essendo precarie in realtà non glielo ha mai dato. E questo avviene attraverso il più grande licenziamento di massa nel settore della scuola, dove la presenza femminile e nettamente predominante.

E soprattutto a danno delle donne del sud, quelle economicamente più svantaggiate e con meno possibilità di essere reinserite, che nella migliore delle ipotesi sono costrette a lasciare le famiglie per lavorare a centinaia di chilometri da casa; rappresentate da un ministro donna che ritiene un privilegio la tutela delle lavoratrici madri, che ritiene che abbiamo bisogno dei comunisti che ci fomentano per indignarci e che l’indignazione non è l’undicesimo comandamento. Un ministro che ritiene che la scuola possa “sopportare” un taglio di ulteriori ventimila insegnanti a danno della qualità, del tempo pieno dove presente e dove mai attivato malgrado le richieste delle famiglie che dovrebbero poter scegliere. E continua ad affermare che c’erano posti in più! Giochi di potere di cui conosciamo lo svolgimento, danneggiano sempre più il sud, e l’istruzione nostri figli. Ma non doveva migliorarla la scuola?

E ancora donne che per farsi strada devono sgomitare, devo fare gli uomini, e spesso  occupano posizioni di rilievo  solo per una mortificante quota rosa, come fosse una preferenza da handicap, o perché a detta del premier  sono ben vestite e non puzzano. Pur essendo consapevoli di ciò, ci raccontano la favoletta del merito.

Donne gonfiate, urlanti, che fanno gestacci in televisione, grottesche, non riesci a seguire i loro discorsi, perché l’occhio non riesce a scollarsi da quel disarmonico canotto che hanno al posto delle labbra. Donne imbellettate e profumate e vendute come pezzi di carne, come passatempi, da genitori e fidanzati e senza neanche la poesia della Magnani. Donne arrestate per aver rubato 2 magliette e a cui può succedere di essere violentate da tre uomini in divisa che dovevano proteggerle. Ma era una situazione amichevole. Amichevole come il gatto che gioca con il topo!

Giovanissime donne, o perfino  bimbe, che ancora oggi partoriscono prima dei quattordici anni, sono date in sposa, e in 700 metri di strada che portano dalla palestra a casa possono essere trucidate. Bambine che sotto il tetto che dovrebbero proteggerle, possono trovare uno zio o una cugina disposti ad uccidere perché piace loro un ragazzo, o  un padre “per il troppo amore” e per  dispetto contro la ex moglie. E infine donne, le sorelle d’Italia della Omsa, che hanno visto la loro vita buttata alle ortiche perché hanno preferito delle sorelle di altre nazioni che possono pagare con un piatto di riso e non riconoscergli nessun diritto. E come loro le donne di Pomigliano, dell’Alitalia, e tutte le cassaintegrate, disoccupate che lottano e resistono contro la miseria, e la fame che le cerca e le stana, e che al governo del fare chiedono solo di fare… fare qualcosa contro questa emorragia di lavoro che sta uccidendo l’Italia.

Donne che sfamano una famiglia di 4 persone con 100 euro la settimana, che pagano le bollette, che fanno i conti e che non tornano mai, che seguono i figli a scuola, si svegliano presto, cucinano, fanno la spesa, riordinano casa, protestano, scrivono pensieri su Facebook per sentirsi meno sole, per sentirsi più capite, e che, anche quando non si piegano, sentono il peso del loro cervello, delle loro idee e di quella sensibilità tutta femminile. E perfino per tutte quelle altre di cui tutti ignorano il colore degli occhi.

Per tutte loro, per tutte noi, nessun fiore oggi: solo opere di bene.

Perché è bene che alziamo la testa tutti insieme e che oggi doniamo solo mimose nere, perché non si può sostituire la dignità con una festa, e una festa di un giorno non può cancellare le umiliazioni che abbiamo dovuto subire quest’anno.

C’era una volta un bel posto chiamato Italia…e dalle ceneri di questo, dopo il passaggio di Nerone, spero si possa costruire un posto più bello dove uomini e donne possano vivere felici in rispetto, autonomia e dignità.

Se non ora quando?

 

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L'8 marzo e l'opportunità di essere donna

Se una donna cammina in modo sensuale o provocatorio, qualche responsabilità nell’evento ce l’ha, perché anche indurre in tentazione è peccato”.

A parlare è Monsignor Bertoldo, vescovo di Foligno. La stessa persona, per intenderci, che nel dibattito a distanza tra Vendola e Berlusconi era intervenuto con un’altra dichiarazione degna di nota, che etichettava il governatore della Regione Puglia come “contro natura”, riferendosi ai suoi orientamenti sessuali. Cito il Monsignor Bertoldo perché, triste coincidenza, dopo qualche giorno dalle sue illuminate parole, è stata diffusa la notizia della denuncia di una giovane donna, vittima di violenza sessuale a Roma.

Mons.Bertoldo

Potrei fermarmi qui perché quando una donna subisce violenza, non importa chi sia, come era vestita, se aveva la minigonna o i pantaloni, dove stava andando o se era sposata.  Parliamo di una donna, ferita nella sua intimità, indifesa e tradita, derubata di qualcosa che le apparteneva e che la rendeva un essere unico, la libertà di decidere e di esprimersi in quanto donna e in quanto essere umano. Allo stesso modo di nessuna importanza è sapere chi siano gli uomini denunciati – quattro per la precisione – colpevoli di così basso crimine. Né in quanti abbiano fisicamente compiuto l’atto mentre gli altri erano lì a guardare, a tenere a bada la preda o ad accertarsi che nessuno li scoprisse. Inutile dettaglio la loro nazionalità, il loro lavoro o le loro tendenze sessuali. Conta solo la loro ferocia nel compiere una violenza che va ben oltre l’atto sessuale, perché capace di segnare una donna così profondamente da lasciarne i segni per una vita intera.

Potrei fermarmi qui e nulla cambierebbe nella triste cronaca di quest’ennesimo atto crudele. Ma vado avanti. Vado avanti perché il quadro completo della situazione è talmente avvilente e drammatico da non poter essere omesso. Il fatto è avvenuto a Roma nella notte fra il 23 e il 24 febbraio,  nella Caserma al Quadraro, dove la donna era detenuta dopo un arresto in flagranza per furto. Aveva rubato due magliette all’Oviesse. Certo, comunque si tratta di un crimine, ma compiuto da una ragazza di 32 anni, senza lavoro e con una bimba da mantenere. Un colpo di testa, una follia fatta senza pensarci, spinta dalla disperazione. Gli aggressori sono tre Carabinieri e un Vigile Urbano, tutti indagati per violenza sessuale, anche se con ruoli diversi. Non si sa in quanti abbiano fisicamente abusato della donna, ma rimangono in ogni caso tutti coinvolti. Dunque personale in servizio delle Forze dell’Ordine; per essere chiari, proprio chi dovrebbe difenderci da questi reati, invece di commetterli.

Ma neanche questa ricostruzione rende bene ciò che è realmente accaduto quella notte terribile. Il caso necessita di maggiore precisione.
La giovane ladruncola, una volta scoperta, è stata affidata ai Carabinieri, che l’hanno trasportata alla Caserma di Cinecittà. Dovendola trattenere per quella notte e non essendoci posti liberi, i Carabinieri hanno chiesto ospitalità alla caserma al Quadraro, dove la ragazza avrebbe dovuto passare la notte in una cella di sicurezza. A un certo punto, racconta la vittima, la porta si è aperta, è stata prelevata e portata in sala mensa dove, sui tavoli, dopo essere stata costretta a bere del whisky, è stata violentata ripetutamente, a turno, da diversi uomini, stando a quello che la sua mente annebbiata dall’alcol ricorda.

Ma la parte ancora più assurda di tutta la vicenda deve ancora arrivare. Sconvolta e sotto shock, la giovane, dopo quella notte di violenza, racconta di aver avuto grandi difficoltà a sporgere denucia ai Carabinieri, perché si apprestava a puntare il dito contro loro  colleghi. Alla fine si è recata in ospedale accompagnata dal suo fidanzato e da lì l’uomo è riuscito finalmente a denunciare l’accaduto alla Polizia.

Ma dato che non c’è limite al peggio, come ciliegina sulla torta, ecco che arrivano le prime dichiarazioni a caldo dei colleghi della Caserma di via In Selci, gli stessi che stanno conducendo le indagini insieme alla procura di Roma… Quella donna li ha di certo istigati.

Dichiarazioni che vanno di pari passo con le parole degli indagati, che poi sono le parole di tutti gli indagati di sempre per violenza sessuale: lei era consenziente.

La cosa più triste che salta agli occhi leggendo i numerosi articoli comparsi nei giorni scorsi su tutte le testate giornalistiche è che, piuttosto che parlare di quanto sia terribile subire una violenza sessuale, di come ancora oggi nel 2011 ci troviamo troppo spesso di fronte a comportamenti tanto bassi e vergognosi,  invece di cercare soluzioni al problema, si spendono fiumi di parole sulla delicatezza della questione, sulle misure prese nei confronti degli agenti coinvolti, immediatamente trasferiti e sottoposti a indagini interne oltre a quelle condotte dalla procura di Roma, sulla paura che l’accaduto getti fango sull’Arma dei Carabinieri, sulla preoccupazione che sia intaccata la credibilità dell’Arma agli occhi dei cittadini italiani. Persino il sindaco di Roma Alemanno si dice certo che l’Arma isolerà eventuali mele marce prendendo i giusti provvedimenti, capaci di non annebbiare la fiducia che tutti i romani devono continuare a nutrire nei confronti dei Carabinieri. Perché un crimine come questo non faccia perdere di vista tutto il bene che l’Arma dei Carabinieri fa in Italia e nelle sue missioni all’estero.

Mi chiedo il perché di tanta ipocrisia. Perché spostare l’attenzione su stupide questioni di facciata, quando moltissime donne sono lasciate sole a combattere col proprio dolore. Donne umiliate, ferite, violentate nel corpo e nell’anima da quegli stessi mostri che si difendono dietro l’alibi della provocazione femminile. Donne che ci mettono una vita intera a rimettersi in piedi e ad andare avanti.

Mi chiedo come sia possibile che ancora oggi di fronte a notizie di questo genere pare sia lecito l’insinuarsi del dubbio che le donne violentate siano state consenzienti o, al limite, abbiano provocato in qualche modo l’accaduto.

Mi chiedo come si possa considerare una violenza sessuale come atto inevitabile in certe condizioni, di nuovo create dalle donne, continuando a giustificare uomini incapaci di tenere a bada i propri impulsi sessuali e a condannare donne che hanno l’unica colpa di esprimere la propria femminilità, nel modo in cui credono sia giusto.

Mi chiedo, ancora, come possano esponenti del Vaticano sostenere che anche l’istigazione al peccato è peccato. Dando ovviamente per scontato che ogni donna istighi. Come se l’essere donna fosse una macchia indelebile, un peccato originale, qualcosa da cui doversi redimere. Sembra di essere tornati nel Medioevo.

La verità è che viviamo in una società maschilista, nella forma più bieca e subdola, perché ci si nasconde dietro l’emancipazione femminile per esaltare la cultura dell’uomo sopra ogni cosa. Fino al paradosso di giustificare un terribile atto di violenza, costringendo quelle povere vittime a difendersi per il resto della loro vita dagli sguardi di chi, in fondo in fondo, le considera responsabili in qualche modo.

Oggi è l’8 marzo, la festa della donna. Il sentire ancora il bisogno di ricordare in questo giorno i diritti conquistati e l’emancipazione raggiunta da parte dell’universo femminile è indicativo del fatto che, in realtà, la situazione non è cambiata poi molto da quel lontano 8 marzo 1908, quando un gruppo di operaie americane decise di scioperare per far valere i propri diritti, dando il via a un dilagante movimento di liberazione ed emancipazione della condizione femminile che si è diffuso a macchia d’olio in molte parti del mondo. Io credo che non dovrebbe più esistere una ricorrenza come l’8 marzo. Non dovrebbe esistere perché non c’è niente da festeggiare in quel giorno. Non c’è più niente da sbandierare, niente da dimostrare, niente da gridare al mondo.

Siamo donne, punto. Persone che hanno il diritto di vivere liberamente la propria femminilità e la propria vita, di scegliere per il proprio futuro e di lottare per realizzare i propri sogni. Esseri umani con desideri, talenti, limiti e ambizioni, proprio come ogni uomo. Mamme che rinunciano a tutto per crescere i propri figli, mogli al servizio del proprio uomo, pronte a sostenerlo sempre e comunque. Finché sarà necessario ricordare al mondo tutto ciò vorrà dire che siamo ancora lontani dalla tanto sbandierata uguaglianza tra sessi.

Uguaglianza che, a dirla tutta, non dovrebbe obbligare ogni donna a trasformarsi  in un uomo e a immergersi nei rigidi meccanismi di una società di modello maschile, quale è la società attuale, ma semplicemente dovrebbe lasciarle ogni giorno l’opportunità di essere donna, con tutto quello che questa complessa affermazione comporta.

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