Il postino – La poesia incontra il cinema…

…E “Il postino” ne è la dimostrazione. Il film, tratto dal romanzo dello scrittore cileno Antonio Skarmeta, racconta la storia del poeta Pablo Neruda, interpretato da Philip Noiret, che nell’estate del 1952 si rifugia sull’isola di Procida.

Qui incontra Mario, alias Massimo Troisi, che non ha nessuna voglia di fare il pescatore  e prende al volo il temporaneo impiego di postino per consegnare il volume di lettere indirizzate al cileno. Giorno dopo giorno i due stringeranno una sincera amicizia.

Mario si affida ai consigli e all’aiuto di Don Pablo, come lo chiama affettuosamente, per corteggiare Beatrice di cui si è innamorato. Neruda farà da testimone alle loro nozze prima di rientrare in patria.

Al ragazzo insoddisfatto e sensibile il legame col poeta apre il mondo ignoto della cultura e della idee comuniste. E trasforma la vita. Gli fornisce il linguaggio dell’amore per la ragazza che sposerà, gli permette di accorgersi della bellezza del suo paese tanto da desiderare di essere lui stesso poeta e militante.

Come a dire che poesia, politica e amore possono essere tutt’uno nella non mutilata passione di vivere; che la poesia può insegnare a parlare e pensare, a riconoscere le emozioni e a esprimerle, a vedere (e sentire) il mondo e a volerlo cambiare.

Come suggerisce Neruda “Quando la spieghi la poesia diventa banale, meglio di ogni spiegazione è l’esperienza diretta delle emozioni che può svelare la poesia a un animo predisposto a comprenderla”.

Un film poetico e malinconico, testamento di un Massimo Troisi tanto malato quanto bravo.
La purezza di un cuore ignorante si incontra con la sapienza di un poeta per dare vita a un susseguirsi di eventi che purtroppo metteranno la parola fine anche nella realtà. Troisi lascia i sui personaggi tipicamente ironici, spiazzanti e balbettanti, portando sullo schermo un protagonista sognante, silenzioso e pacato. Voglioso, ma allo stesso tempo timoroso di apprendere ciò che gli è sempre mancato, ovvero la parola tradotta in poesia.

Anni dopo, il poeta e sua moglie torneranno sull’isola e incontreranno Pablito, il figlio di Mario, morto prima che il bambino nascesse. Passeggiando sulla spiaggia il poeta ascolta tutti i suoni dell’isola  che Mario aveva raccolto per lui in una registrazione. Una cassetta che purtroppo Neruda non ha mai ricevuto.

“Numero uno: onde alla cala di sotto… Piccole. Numero due: onde grandi. Numero tre: vento della scogliera. Numero quattro: vento dei cespugli. Numero cinque: reti tristi di mio padre. Numero sei: campane dell’Addolorata, con prete. Numero sette: cielo stellato dell’isola. Bello però, non me n’ero mai accorto che era così bello. Numero otto… Cuore di Pablito”.

Suggestivo e forse inquietante pensare che Il postino sia praticamente il “sacrificio” umano di Massimo. L’attore, regalando il suo ultimo film al pubblico, scompare dopo appena dodici ore la fine delle riprese.

Con gli occhi dello spettatore di oggi, fa un po’ di tenerezza e molta malinconia rivedere e riascoltare questo Massimo “Mario” Troisi postumo: tentennante come sempre, con quel linguaggio tutto intrecciato tra timidezza, dialetto e neologismi, quei gesti trattenuti e, all’improvviso, distesi, quell’aria vagamente imbarazzata di chi chiede scusa.

Un binomio perfettamente riuscito, quello tra poesia e cinema, celebrato dal pubblico e dalla critica.

Dal Washington Times: “Il Postino rappresenta quel trionfo internazionale che Troisi sperava di avere e che non ha fatto in tempo a godersi”. Dal New York Times: “Troisi dà al suo personaggio una verità e una semplicità che significa tutto”.

E dagli amici.

Fu amore a prima vista. Stavamo sempre insieme. Vedendolo nel Postino ho pianto. Era come un volo senza ali, il suo corpo smagrito fluttuava sopra lo schermo, magicamente”.

-Roberto Benigni-

Massimo aveva l’anima sul volto. Il film Capitan Fracassa mi fece conoscere Massimo, lo vidi e subito mi piacque. Poi arrivò Il Postino, dandomi la possibilità di lavorare insieme a lui, in un’esperienza unica. Penso che in tutta la storia del cinema, non ci sia nessun film simile”. I ricordi che ho di Massimo sul set sono ricordi felici, l’aria che si respirava, considerando la difficoltà che Massimo aveva nel girare, data la sua malattia, era comunque un’atmosfera rilassata e mai triste. Una cosa che mi faceva sorridere era la sua maniera di parlare, io recitavo in francese, lui nè in italiano nè in napoletano; recitava come solo lui sapeva fare. La nostra giornata sul set, era organizzata in maniera tale da rendere meno faticoso il lavoro a Massimo, la mattina giravamo per poche ore per non farlo stancare”.

-Philip Noiret-

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