Spegnete la TV

Se in tv si pubblicizza una nuova trasmissione dal nome TAMARREIDE: un viaggio intorno al mondo del tamarro… Beh allora questa tv mi fa pensare che non abbiamo proprio più niente da dire.

Ho sognato che un giorno la tv trasmettesse un messaggio su tutti i canali, nello stesso momento:

 

“Spegnete la tv.

Informiamo gli utenti che ci siamo resi conto di essere incapaci di trasmettere messaggi che abbiano valore nelle vostre vite. Ci scusiamo per l’enorme disagio arrecatovi e per la distrazione da voi stessi. Ci scusiamo perché spesso abbiamo provato a farvi comprare dai messaggi pubblicitari perché ne traevamo beneficio economico noi per primi. Ci scusiamo per tutto il tempo in cui vi abbiamo dirottato verso etichette che nell’attuale società non trovano riscontro e, poiché non ci riteniamo più in grado di tener testa alla bellezza dell’essere umano, consigliamo a tutti un nuovo approccio alla vita. Sappiamo bene che l’invito non basterà a farvi spegnere questo mezzo che ha saputo incantarvi per anni, che vi ha dato la possibilità di distrarvi dall’accettazione di ciò che non avreste voluto vedere e accettare, che vi ha fatto divertire, sognare ed emulare in ogni contesto.

Ci vediamo quindi costretti a interrompere le trasmissioni.

Forse un giorno la tv tornerà, ma non come l’avete lasciata. Meritate di più.

Siamo certi che sarete gradualmente capaci di riapprezzare le fasi del Sole e della Luna, di pranzare e cenare guardandovi negli occhi, di non far scandire i vostri tempi da quelli televisivi.

Ci auguriamo inoltre che possa diminuire il numero dei casi di anoressia e disturbi dovuti all’alimentazione spesso incitati dalle immagini che troppe volte vi abbiamo fatto credere essere gli standard di bellezza, e che quindi anche la vostra vita sessuale possa trarne un nuovo beneficio, senza troppi inutili canoni di omologazione plastica a cui vi abbiamo sottoposto. L’importanza della diversità sarà sempre la forza dell’essere umano.”

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tratto da ANNUSIAMO I NOSTRI BRIVIDI NEGLI ANGOLI – CLAUDIA LICCARDO

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Ballottaggi: il vento è cambiato

I risultati di questa seconda tornata elettorale, così importante e così sentita, sono ormai noti a tutti: Pisapia è il nuovo sindaco di Milano, De Magistris ha trionfato a Napoli.

Una sconfitta su tutti i fronti per il nostro Premier Silvio Berlusconi, che si aveva messo la sua faccia su queste elezioni, che si era giocato tutto, e che oggi si ritrova con una sconfitta totale. Primo fra tutti ovviamente Milano, il suo bastione, la sua fortezza. Il primo soffio di questo vento di cambiamento proviene dalla città che ha dato la fortuna a Berlusconi, la sua roccaforte. È da lì che due settimane fa si è innescato il meccanismo, che qualcosa nell’oliato e funzionale centrodestra ha cominciato ad incepparsi. A poco sono serviti gli attacchi diretti, l’alzare i toni, l’utilizzare un modo di fare politica che ha palesemente stancato gli italiani. Ed è da lì che parte quel vento che porta l’immenso cambiamento in tutto il Paese. Sta cominciando adesso, sta accadendo oggi, e noi siamo qui, tutti testimoni.

Napoli è una sorpresa ancora più grande da un certo punto di vista. Considerato il risultato alle regionali (dove il centrodestra vinse), pochi speravano veramente che ci potesse essere una vittoria del centrosinistra, soprattutto viste le immense difficoltà in cui versa la città da anni, probabilmente in parte anche per una cattiva gestione dei vari Bassolino – Iervolino. Ma il vento napoletano questa volta è armato da una voglia di libertà, di assoluto cambiamento e, soprattutto, di legalità. La speranza è immensa, ed è insita proprio in questo. Non sono servite a niente le promesse di condoni (vediamo se ora verranno comunque mantenute, io scommetterei il contrario) o di tasse sui rifiuti momentaneamente congelate. Di fronte ad una campagna che puntava su una legalità quantomeno latente, Napoli ha scelto un ex magistrato, un uomo dell’Italia dei Valori, e gli ha dato il 65% di preferenze. Una vittoria strabordante. Napoli ha voglia di cambiamento, i napoletani si sono stancati delle promesse mai mantenute, si sono stancati di essere considerati un problema dell’Italia.

Oggi i napoletani e i milanesi (in questo curioso connubio sancitosi dietro il vento del cambiamento) hanno detto all’Italia che si può cambiare, che la speranza non deve andare mai perduta, che le cose vanno male, e i cittadini hanno bisogno di altro. Oggi finisce un’epoca, il famoso “tappo” più volte citato da Paolo Mieli è saltato definitivamente, adesso è soltanto una questione di tempo.

Tante responsabilità nelle mani di Pisapia, forse ancora di più in quelle di De Magistris. Adesso tocca a loro, i cittadini il loro dovere lo hanno fatto, hanno urlato a piena voce che un’altra Italia è possibile, auspicata, desiderata. Oggi ricomincia tutto.

Chiudiamo questo breve editoriale riportando una dichiarazione di Marco Travaglio che ci è piaciuta molto: ‎“Nel momento della prova suprema, il nostro pensiero va a Silvio. A furia di evocare il cadavere del comunismo, ha finalmente portato un comunista a sindaco della sua città. A furia di chiedere un voto contro i magistrati, è riuscito a far eleggere un magistrato a sindaco di Napoli. Grazie Silvio, avanti così.”

Forse gli italiani non sono tutti deficienti, forse chi vota a sinistra non è così tanto un coglione o un pazzo, come più spesso detto nei giorni scorsi. Forse la gente ha la voglia concreta di un cambiamento. Pensaci Silvio.

Il vento del cambiamento ha cominciato a soffiare anche in Italia. E questo, a prescindere dalle libere idee di ognuno, è sempre un bene.

Concorso in magistratura: la carica dei ventimila

Tra poco più di due settimane si terrà presso la Nuova Fiera di Roma il concorso in magistratura per trecentosessanta posti, bandito lo scorso autunno dal Ministero della Giustizia. I giorni 15, 16 e 17 giugno migliaia di persone, giovani e meno giovani, si riverseranno nella capitale piene di speranze, sogni e disillusioni. Da fonti ministeriali circola la voce che risultano iscritte circa ventimila persone; nella migliore delle ipotesi (o peggiore, dipende dai punti di vista) se ne presenteranno circa cinquemila. Questo perché, nei sei mesi che sono passati dalla chiusura del bando di partecipazione, qualcuno degli iscritti avrà inevitabilmente deciso di rinunciare.

Alcuni perché si saranno arresi all’immensa mole di studio, altri si saranno semplicemente dimenticati di essersi precedentemente iscritti, altri ancora perché, al tempo, si erano iscritti esclusivamente per tenersi viva fino all’ultimo la possibilità di scegliere se partecipare o meno. Del resto le spese da sostenere, anche solo per presentarsi, in quei giorni a Roma non sono di poco conto. Innanzitutto le almeno tre notti d’albergo, da sommare ai trasporti per recarsi nella capitale, cui va aggiunto il costo esuberante dei codici giuridici da portare in sede di concorso. Il conto, approssimando per difetto, è presto fatto. Quaranta euro al giorno per dormire, che moltiplicati per almeno tre notti (che diventano quattro per la metà dei candidati, dato che le consegne dei codici sono previste a seconda della lettera alfabetica il giorno 13 e 14 giugno) fanno centoventi euro. Poi il prezzo del viaggio che, tanto per tenersi bassi, non viene a costare meno di cento euro a testa, oltre ovviamente ai vari spostamenti in città. Dulcis in fundo non possiamo non annotare sul nostro bel taccuino il prezzo dei codici che, per quei quattro giorni, saranno gli unici compagni di viaggio di tutti i candidati. Sicuramente ho dimenticato qualche scontrino nella tasca di qualche giacca, ma ciò non toglie che le spese che ognuno dovrà sostenere ammonteranno all’incirca sui cinquecento euro. Tralasciamo le spese per mangiare, al limite ci penserà il “buon Dio” – come direbbe De André – a trovare il modo per saziargli lo stomaco.

Riassumendo, cinquecento euro in mezza settimana per sperare di rientrare in quel 7,2%, qualora si presentassero “solo” in cinquemila, percentuale che scende vertiginosamente all’1,8% circa qualora si presentassero tutti e ventimila. Insomma, se non si è preparati sembra davvero inutile presentarsi, motivo per cui saranno circa in tremila a consegnare tutte e tre le prove. Questo anche perché ogni persona può consegnare i tre scritti per tre soli tentativi nell’arco della sua vita.

Il fatto di essere in tanti può consolare, perché si possono condividere con tante altre persone le  emozioni e i sentimenti che pervadono i candidati; ma può anche abbattere, perché la carica dei ventimila farebbe paura anche a un supereroe di fama conclamata. Da qualunque lato la si guardi, ne resteranno poco più di trecento e l’imperativo è crederci.

In bocca al lupo a tutti, supereroi e non.

 

Nonostante Giovanardi, il Canapisa si farà…

Il Canapisa è una nota manifestazione anti-proibizionista che da 11 anni raccoglie centinaia di persone fra le strade del centro pisano in una colorata street parade di cittadini comuni che si battono “contro i danni del proibizionismo, una pratica barbara che, in nome di un moralismo di facciata, incarcera milioni di persone, finanzia le narcomafie, scatena guerre e massimizza i danni legati al consumo di sostanze, che girano indisturbate grazie al mercato neoliberista senza regole in cui lo stesso proibizionismo le ha relegate: il mercato nero”. Questo è ciò che si legge sul sito dell’Osservatorio Antipro Canapisa.

Ma quest’anno la manifestazione ha rischiato di essere annullata a causa delle pressioni scaturite dall’intervento del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Carlo Giovanardi, che in una lettera a Sindaco, Questore e Prefetto di Pisa, scrive: “Tra Toscana e Liguria ci sono stati tragici eventi, collegati con l’uso di droghe, che hanno visto la morte di giovani frequentatori di rave party e l’aggressione a due carabinieri. Il 28 maggio a Pisa, autorizzata dal Comune, si svolgerà la manifestazione denominata “Canapisa” incentrata sul consumo e la propaganda della cannabis. La manifestazione è promossa da organizzazioni antiproibizioniste e centri sociali, in particolare dall’Osservatorio Antipro, che sta pubblicizzando l’evento sul proprio sito web con lo slogan: Liberi di dissentire, liberi di manifestare… liberi dal proibizionismo, sostenendo addirittura che il divieto di usare sostanze psicoattive lede prima di tutto il diritto di ogni persona all’autodeterminazione. In particolare mi è stato segnalato che in tale iniziativa, giunta all’XI edizione, si istigherebbe all’uso e allo spaccio di droghe”.

Una dichiarazione che ha mandato le istituzioni nel panico, tanto da mettere in dubbio lo svolgimento della manifestazione sino a giovedì sera, ad appena due giorni dalla data del corteo.

La questione ha destato non poco scalpore in città, perché aldilà della personale opinione che ciascuno ha diritto di avere su questo tema, la scelta di vietare la sfilata è parsa quanto meno insensata, soprattutto considerando che, giunto al suo undicesimo anno, il Canapisa non ha mai creato alcun problema sanitario o di ordine pubblico in città.

Ma qual è il motivo che ha spinto il sottosegretario Giovanardi ad accanirsi così testardamente contro un appuntamento di questo genere, oltre a essere il firmatario dell’attuale legge sulle droghe assieme a Fini e a essere notevolmente disinformato sulle differenze che intercorrono tra la cannabis e le droghe più pesanti?

Gli basterebbe tenere conto del fatto che in Toscana, a livello regionale, è stato addirittura aperto un dibattito politico sulle prospettive di utilizzo di farmaci e preparazioni galeniche a base di cannabinoidi per finalità terapeutiche. Sulla questione il sottosegretario Giovanardi dovrebbe leggere le dichiarazioni della dottoressa Ellena Pioli del Servizio delle Tossicodipendenze di Lucca, pubblicate sul quotidiano Pisa Notizie il 13 maggio. Nel tentativo di sfatare alcuni dei pregiudizi riguardanti la tematica la dottoressa spiega come “molti studi evidenzino che la pericolosità della cannabis è nettamente inferiore se paragonata a quella di altre droghe, sia illegali, come la cocaina o l’eroina, sia legali, come l’alcool”, mentre numerose altre ricerche smentiscono il “mito secondo il quale la cannabis sarebbe una sorta di sostanza cancello, il cui consumo porta necessariamente anche all’utilizzo di altre droghe più pesanti”.

A riprova di quest’ultima argomentazione basti considerare l’esempio dell’Olanda, dove il consumo di cannabis è concesso dalla legge, e dove il numero di decessi per droga è inferiore a quello dell’Italia. Una ricerca della European Monitoring Centre for Drugs and Drug Addiction mostra, ad esempio, che dal 2000 al 2008 nel nostro Paese ci sono stati 5.791 morti per overdose (643,44 all’anno), contro i 1.071 dell’Olanda (119 all’anno). Un dato che va ovviamente rapportato agli indici di mortalità e al numero di abitanti di ciascuna nazione (circa 60 milioni di Italiani con 16 milioni 500 mila Olandesi) ma che comunque attesta all’Italia un 60% in più di decessi rispetto all’Olanda (ogni 5 morti per overdose Olandesi ce ne sono 8 Italiani), come si legge anche nel sito del Coordinamento degli operatori dei servizi a bassa soglia del Piemonte.

Dulcis in fundo, il proibizionismo, che non ha mai rappresentato un deterrente al consumo, annovera fra le sue varie controindicazioni quella di incrementare notevolmente il numero di detenuti nelle carceri. A tal proposito è interessante notare come, in Olanda, la riduzione dei tassi di criminalità abbia portato il ministero della Giustizia a chiudere ben 8 penitenziari, con un risparmio di quasi 160 milioni di euro annuali e un incasso circa 30 milioni ricavati dall’affitto delle prigioni vuote ai centinaia di detenuti provenienti dal vicino Belgio, dove invece il numero dei penitenziari è insufficiente.
Che sia un risultato anche dovuto al diverso approccio su questa controversa tematica?

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F1 – Il dominio tecnico Red Bull e la crisi Ferrari.

Il Gp di Spagna di domenica scorsa è stato vinto da Sebastian Vettel e dalla Red Bull per l’ennesima volta in stagione, anche se spuntandola per soli sei decimi sul combattivo Lewis Hamilton. Dopo poche gare il campionato sembra non suggerire più niente alla Ferrari, troppo indietro dai primi e con un divario di prestazioni incolmabile. Nell’ultimo Gp è parso anche chiaro che il distacco di un secondo subito in qualifica da Mclaren e Ferrari è stato recuperato in gara soltanto dal team anglosassone. É naturale chiedersi i motivi di prestazioni così diverse tra qualifica e gara tra i top team: pur non avendo fonti certe, si proverà ad illustrare la situazione.

 

Secondo rumors provenienti dal paddock, sembra che il DRS, il sistema di flap mobile posteriore introdotto quest’anno, sia di gran lunga più efficiente sulla Red Bull che su tutti gli altri team. In qualifica l’utilizzo di tale dispositivo è consentito per tutto il tracciato e la Red Bull beneficia pertanto di un vantaggio tecnico considerevole.

Inoltre la macchina sembra che abbia il sistema di scarichi più efficiente del mondiale, capace di garantire maggiore deportanza al posteriore con l’emissione di gas caldi anche in fase di rilascio dell’acceleratore. Questo sistema tuttavia richiede maggiori consumi di carburante, che non incidono  tanto sul giro secco della qualifica piuttosto in gara, con un carico di benzina supplementare nell’ordine dei quindici chili, con un handicap stimabile in  due decimi al giro. Il dispositivo imbarazza non poco la FIA, che se da un lato lo considera illecito dall’altro ne permette l’utilizzo, almeno fino alla riunione tecnica dei team prevista per il Gp del Canada. Decretarne l’abolizione significherebbe vanificare milioni di euro spesi per progettazione e realizzazione, contrariamente allo spirito della politica di risparmi messa in vigore da qualche anno.

 

Il tallone d’achille della Red Bull, elemento risaputo, è il KERS, utilizzato rispetto agli altri team con parsimonia per problemi di surriscaldamento; questa scelta può far perdere due, tre decimi al giro. In linea di massima,  risulterebbe chiaro che è la Red Bull che vede svanire in gara l’ enorme vantaggio delle qualifiche e che non sono le altre squadre ad andare più forti sul ritmo gara.

 

 

 

 

La situazione Ferrari è ben sintetizzata dalla gara spagnola: ha il miglior pilota del mondiale, Fernando Alonso, ed una macchina dalle prestazioni mediocri. Infatti, lo spagnolo dopo aver tenuto testa per ben diciotto giri, in soli quaranta ha subito il doppiaggio. Colpa di scelte tecniche conservative, che alla luce di modifiche regolamentari così importanti quest’anno non hanno pagato. La situazione è allarmante se poi  a nulla sono valse le novità aerodinamiche per il Gp di Spagna: la F150 Italia allo stato attuale è più lenta della vettura dell’ anno scorso. Di conseguenza, nel periodo di progettazione della vettura del prossimo anno, notizia di ieri, è stato rimosso dall’incarico di direttore tecnico l’ing. Aldo Costa. Per i tifosi non rimane altro che sperare nei circuiti dove conterà più il pilota, come quello di Montecarlo dove si può sperare di rivedere già questa domenica la Ferrari tra i primi, grazie al talento straordinario di Alonso.

Medici e Pazienti visti dal profondo degli abissi

Smonto notte.

Anzi, smonto da tre giorni di delirio, perché quasi tutto il personale di reparto di un “eccellente” ospedalone lombardo ha deciso di partecipare a un congresso assolutamente imperdibile. Nessun ente regolatore sopraordinato si è preoccupato del fatto che essere medici significa assistere, prima di tutto, non aggiornarsi e approfittarne per andare a farsi una pucciatina in mare.

Venerdì tre turni, di cui due consecutivi e due contemporanei (9-20), sabato 14-21, domenica mattina e, sì, questa notte 21-9.30. E ora non riesco a dormire. Perché vaga nel subconscio inquieto un sottobosco di emozioni pungenti, di pensieri assolutamente scoordinati e schizofrenici, di immagini che riappaiono come errore di proiezione sullo schermo di un cinema decadente, di odori acri, di suoni molesti, di gemiti ritmici e impossibili da quietare.

Cosa resta di tutto questo? Come gestire e placare questo moto ondoso che impedisce il sonno? Forse solo ripescando i pesci più grossi, guardandoli in faccia attentamente e ributtandoli nelle acque torbide da cui provengono.

Gli squali: ragazzi giovani, con una diagnosi che non lascia speranza, in preda alla frenesia di rimettersi in piedi e riappropriarsi della propria vita dopo un intervento non risolutivo. Le loro domande circa il futuro (che sono mesi, nella migliore delle ipotesi) mordono con denti aguzzi e taglienti; le mie risposte pressappochiste e vaghe (“pretese” da fidanzate, mamme e mogli) tormentano come spilli la mia coscienza: ma se fossi io, non pretenderei di decidere se trascorrere i miei ultimi giorni in un viaggio intorno al mondo che mi ricompensi almeno in parte della bellezza del mondo che mi verrà sottratta, anziché restare in un letto a vomitare per la chemio?

I pesciolini rossi: innocui, fragili, relegati in una piccola boccia, privi di compagnia; gli anziani signori e signore, soli, maleodoranti, abbandonati da figli cugini e nuore, arrivati in pronto soccorso per non si sa bene che cosa. Alcolismo, gravi malattie mai curate (o, peggio, mai diagnosticate), farmaci non assunti perché la memoria non funziona, denti che mancano, vestiti laceri intrisi di urina. E cellulari di parenti del tutto irrintracciabili. O meglio: “siamo via per il week end”. Solo compassionevoli vicini di casa che da qualche giorno, non vedendoli, hanno chiamato i vigili, hanno fatto aprire la porta e li hanno trovati per terra. Però… “ci scusi, è domenica, dobbiamo andare alla cresima del nipote del cognato della zia… ve ne occupate voi ora”.

I pesci degli abissi: imperscrutabili, nelle profondità del mare della coscienza, intangibili, incontattabili. Provi a toccarli, a pizzicarli con energia, ma non troppa, perché quasi ti sembra di essere crudele. E non risponde nessuno, non c’è nessuno in casa. Un messaggio sulla porta: non ci siamo. Un biglietto aggiuntivo: elettroencefalogramma piatto, erniazione cerebrale, asistolia. Sono caldi ma, come in fondo al mare, li circonda un freddo spettrale che accappona la pelle e svuota la mente.

I pesci trasparenti: nuotano liberi, si muovono, sfuggono, scappano, scivolano, rischiano di correre contro a uno scoglio, ma la loro essenza è trasparente. Non c’è presente, non c’è passato né futuro, manca un dato di realtà su cui confrontarsi, a cui appigliarsi. Noi che abbiamo bisogno di realtà, di concretezza, noi che non sappiamo stare in sospensione, che il vuoto fa paura. Talora questi pesci “eterei”, d’un tratto, emettono urla spaventose, come se qualcuno o qualcosa li stesse lacerando. Noi che abbiamo bisogno di realtà, di numeri, di parole, di esami, pensiamo sia dolore, cerchiamo spiegazioni razionali e ragionevoli. Ma magari la loro è paura. Paura dei fantasmi che popolano il loro mondo trasparente, paura di volti minacciosi che li fissano dal fondo del letto, di bestie spaventevoli che popolano le loro acque.

Le murene: si aggirano con camici bianchi ma non sono medici. Sono creature fameliche, elettrifiche, prive di ogni forma di buon senso, ragionevolezza, compassione, umanità. Sono dietro l’angolo: aspettano solo che tu ti avvicini con le migliori intenzioni, per stabilire un contatto sottomarino, perché pensi che siano pesci come te. Ma appena li tocchi erogano una corrente che è pari a un elettroshock, per te e per l’ecosistema. Ma non sei tu a urlare quando ricevi la scossa, anzi: devi prodigarti per contenere le urla indegne di questi esseri immondi, frustrati dalla vita, falliti come professionisti e come persone. Da queste bestemmie esistenziali che con fattezze pseudo umane si aggirano nel mondo reale sgraziati e insolenti, devi proteggere i pesciolini per cui li hai interpellati, perché non subiscano anche tutto questo. Sono esseri indegni di esistere nel mondo reale: siamo in una guerra ma, invece di combattere tutti contro il nemico asserragliati nella medesima trincea, gli immondi sparano non solo contro di te, ma anche contro i civili in fin di vita.

Io amo l’acqua, è il mio elemento naturale, ma questi pesci e queste onde torbide mi estenuano. Il corpo e la mente mi supplicano di cambiare mare.

Ho una voglia irrefrenabile di un mare trasparente, di acque caraibiche con fondale a vista e con tanti bellissimi e innocui pesci pagliaccio nel mio branco.

E fanculo alle murene.

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I meticci al potere

Mentre in Italia non siamo in grado di inserire e integrare qualche migliaio di persone provenienti dall’altra sponda del Mediterraneo, mentre i nostri politici piagnucolano paventando invasioni e cataclismi religiosi e culturali, la realtà del mondo va avanti, infischiandosene delle ideologie da cortile e delle paure xenofobe, alimentate ad arte da partiti di piccole visioni e grandi interessi elettorali.

Questa realtà è talmente evidente che bisogna proprio girare la testa costantemente dall’altra parte per non vederla. La più importante democrazia del mondo, fin dalla sua nascita un crogiuolo di razze, origini e lingue diverse, è guidata da un meticcio che racchiude in sé il meglio della contaminazione geografica e culturale.

Hadia Tadjik

Due paesi che stanno emergendo come nuovi leader sulla scena mondiale, quali India e Brasile, sono dei veri e propri immensi subcontinenti che racchiudono in sé popolazioni, religioni, colori unificati dalla voglia di aumentare il proprio benessere e le proprie opportunità.

Passando al Vecchio Continente, in Gran Bretagna si discute della fine del multiculturalismo e della necessità di nuove forme di integrazione ma nessuno si sognerebbe di rinunciare a essere il polo di attrazione per i desideri di emancipazione delle genti dell’ex impero. In Francia, le meschinerie politiche degli ultimi tempi non cancellano il ricordo delle imprese calcistiche dei Blues quando nessuno si domandava se Zidane o Trezeguet fossero o meno francesi. La Francia calcistica non vince più ma la società è indelebilmente Blues e non potremmo immaginarne una diversa. In Norvegia poi, il partito laburista ha portato in parlamento, nel 2009, la prima deputata musulmana. Hadia Tadjik ha oggi 28 anni e prima di essere eletta è stata consigliera del primo ministro per le questioni sociali. Quando accadrà in Italia? E soprattutto: dovremo aspettarci manifestazioni indignate con tanto di parlamentari europei e maiali al guinzaglio a caccia di moschee da dissacrare?

Cem Özdemir

In Germania, un paese che da decenni accoglie ogni anno migliaia di profughi e di lavoratori immigrati, i Grünen trionfano nelle elezioni regionali e si candidano per conquistare la cancelleria alle prossime elezioni federali. Con un piccolo particolare, il loro leader si chiama Cem Özdemir, ha 46 anni, è figlio di immigrati turchi arrivati in Germania nel 1960 e ha ottenuto la cittadinanza tedesca nel 1983. Appartiene alla seconda generazione di immigrati, è bravo e questo conta. Se sostituisse la Merkel, questo fatto dimostrerebbe ancora una volta la piccolezza e la meschineria delle discussioni italiane sull’integrazione o meno delle persone immigrate.

Dobbiamo avere il coraggio di dire chiaro e tondo che l’immigrazione non solo non è un problema ma è la condizione per essere ancora una società che ha qualcosa da dire. È la condizione per il benessere sociale, economico e culturale. È la condizione della modernità. Le società meticce hanno una marcia in più. Le persone capaci di esprimere una sintesi tra diverse culture e tradizioni, come gli immigrati di seconda generazione, sono più in grado di comprendere la dimensione globale del mondo contemporaneo, hanno energie e voglie di mettersi in gioco che, invece di spaventare, dovrebbero rassicurarci sulla possibilità di continuare a essere protagonisti nella sfida per migliorare le nostre vite. L’integrazione non è una possibilità ma una necessità, e prima avviene meglio è.

Naturalmente vi sono anche esempi di società chiuse, culturalmente omogenee, arroccate dietro le proprie identità: pensiamo all’Arabia Saudita, alla Corea del Nord, allo Yemen. Lì l’integrazione è negata, lì non c’è spazio per la diversità e il meticciato. Ma non c’è nemmeno libertà né benessere.  È la realtà di cui si diceva: libertà e benessere sono caratteristiche di società miste, mentre la difesa dell’identità passata e la rinuncia alla ricerca di nuove identità plurali è la caratteristica delle società culturalmente omogenee.

Tutte quelle forze sociali che spingono verso il rifiuto del meticciato ci stanno consegnando una società molto simile a quella da cui dicono di volerci difendere: paventano il fondamentalismo e stanno costruendo una società fondamentalista, predicano la fine del benessere e ci stanno avviando verso la marginalità economica, gridano all’invasione culturale e stanno riducendo la nostra cultura a un guscio vuoto di slogan e il nostro paese all’ignoranza e la paura.

L’anno scorso, in una intervista alla Bild, Özdemir dichiarava “vogliamo portare i Verdi nel 2013 al governo federale. Noi Verdi vogliamo governare, ci crediamo”.  Ecco, forse il segreto è tutto qui: bisogna crederci.

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Il calore di Dieci Inverni

L’amore è:

– tu, che l’hai conosciuto/a per caso;
– lui/lei, che pensi sia il tuo Lui, la tua Lei;
– tu, che quando lo/la pensi sorridi o piangi;
– lui/lei, che vorresti chiamare quando sei triste o felice;
– tu, che vivi nella speranza di vederlo/la;
– lui/lei, che non è sostituibile;
– tu, che hai paura di soffrire, ma già soffri da morire;
– lui/lei, perché se ti guarda non puoi respirare e il suo sorriso ti taglia le gambe
– tu, che desideri sentire la sua voce, ma hai paura di quello che potrebbe dirti;
– lui/lei, che è appassionato e appassionante;
– tu, che ti chiedi perchè;
– lui/lei, che è lontano e sai che ti dimenticherà;
– tu, che aspetti il momento in cui lo dimenticherai.

Gli amori non sono tutti uguali: qualcuno è normale e qualcuno è speciale; ci sono amori fragili e amori contorti, amori in cui soffri solamente tu e quelli che non si realizzano mai.

Dieci inverni, il prologo di un amore lungo dieci anni, difficili, tormentati, incompresi, lontani, ad alimentare una passione che rimane intensa e intatta proprio perchè non si realizza. Comincia così una strana storia d’amore, anzi il prologo di una strana storia d’amore, tenace ma astratto, che richiederà dieci anni per concretizzarsi pienamente; dieci anni, anzi dieci lunghi e freddi inverni, durante i quali si conoscono e si frequentano, si perdono e si ritrovano, vivono altre vicende ed altri amori, correndo sempre in direzioni opposte, senza mai voltarsi indietro ad aspettare l’altro. Li lega un forte senso di appartenenza che è amore mascherato da amicizia, l’attitudine di vedere la vita allo stesso modo e, soprattutto, la capacità di capire gli errori dell’altro.

Eppure dovranno trascorrere dieci lunghi inverni, passati a rincorrersi tra la nebbia di Venezia e il gelo di Mosca  prima di scoprire in se stessi la consapevolezza che l’attrazione che li unisce è amore.

1999, Due studenti Camilla (Isabella Ragonese) e Silvestro (Michele Riondino) in quel di Venezia incrociano i loro sguardi su di un vaporetto,  lei timida e graziosa, lui all’apparenza molto sicuro di sè, una volta rotto il ghiaccio lui decide di seguirla passando con lei una rivelatoria e castissima notte che trascorre tra parole non dette e sguardi sin troppo eloquenti. Inizierà cosi una lunga storia d’amore come cantava Gino Paoli, ma a distanza perchè la vita, o se preferite il destino, li porterà sempre ad un passo l’uno dall’altra, rendendoli consapevoli, ma non troppo del loro sentimento che invece di spegnersi, sembra rafforzarsi. Così attraverso dieci anni e dieci inverni i loro cuori terranno bene al caldo un sentimento solo all’apparenza fugace, ma pronto invece a superare qualsiasi difficoltà perchè allevato con costanza e accompagnato verso una primavera metaforicamente liberatoria, in cui potrà sbocciare e diventare anche altro.

Il  regista esordiente Valerio Mieli, che ci regala un film dotato di  un garbo davvero gratificante per chi assiste alle sue poetiche transizioni attraverso acquerelli invernali ricchi di consistenza e popolati da due protagonisti credibili e intensi. Avventura sentimentale che, tra liti e riappacificazioni, segue la crescita dei due protagonisti, segnati dall’ingresso nell’età adulta e che si trovano ad essere nemici, amici, conoscenti, innamorati, vicini e distanti, mentre vivono altri rapporti di coppia e condividono la stessa casetta sulla laguna. I due protagonisti si muovono  fuori coordinate. Ognuno per sé e in disfunzione dell’altro, con un comun denominatore che finisce sempre con l’essere ingannato. Un gioco schematico con pochi schematismi e con qualche pausa: dieci inverni son tanti e non tutte le annate conservano la stessa intensità, la medesima urgenza espressiva. E alcune tonalità rischiano di perdersi in sottotrame risapute. Il finale è facilmente immaginabile, ma non intacca un’unione amorosa che sa emozionare. E lascia qualche domanda aperta: Camilla e Silvestro hanno sprecato troppi minuti di non-amore oppure la densità sentimentale ha richiesto tempo per realizzarsi completamente?

Indimenticabile e amabile Vinicio Capossela che regala la colonna sonora al film, e con un’intensa Parla Piano racconta con garbo il rapporto che vuole esplodere nella sua purezza. Delicato e struggente. E ricorda che “Quando ami qualcuno meglio amarlo davvero e del tutto o non prenderlo affatto”.

Chi scrive crede che, se avesse utilizzato dieci anni di vita per rincorrere il suo Silvestro, il tempo non sarebbe stato del tutto sprecato.  Ma come detto prima certi amori non si realizzano mai.

E altri sì.

httpv://www.youtube.com/watch?v=yDyRCUqRnng

Allergia portami via!

Pollini, graminacee, acari, allergeni, frutti di stagione, polveri… Quanti nemici ha l’allergico?

Troppi! Ma perché?

Io mi domando e dico, prima mica esisteva l’allergia? Era una rarità!

Io personalmente ho sempre sguazzato nei giardini, nei fanghi, nei terreni, nelle polveri, ho sempre respirato arie salubri e insalubri, secche, umide, impollinate o rarefatte e stavo bene! Sempre bene!

E poi, all’improvviso…

Sei allergico alla polvere, pulisci la stanza!

Sei allergico ai pollini chiuditi dentro ad aprile!

Sei allergico alla frutta! Non mangiare più fichi, ciliegie, pesche e quant’altro!

Ma perché?! Perché la gente moderna diventa allergica da adulta?!

Un noto otorino da cui andai mi disse: caro molosso, visto che ti è venuta all’improvviso, può anche andarsene all’improvviso; per cui, ogni anno, prova tutto quello che non puoi mangiare, può essere l’anno giusto.

E io ogni estate, bentelan alla mano, provo tutti i frutti del peccato, rimanendo deluso ogni volta, sempre di più.

Su wikipedia addirittura si legge: “si può dire quindi che siano più colpiti da allergie coloro che appartengono a ceti alti, sono figli unici, vivono in aree urbane e mantengono alti standard igienici.”

Era quello che ho sempre sospettato! Si spiega perché fin quando mi trascinavo nel fango e andavo a recuperare super santos ovali sotto le fiat 127 ero una persona sana!

Poi con lo studio, l’affermazione dell’io, il computer, il telefonino, il comfort, le auto di lusso, l’attico a Manhattan, tutto è cambiato! Come sempre, quando si perdono di vista le cose semplici ma basilari, come la natura, ne si pagano le conseguenze!

“Ma che palle, possibile che gira e rigira arrivi sempre allo stesso punto?!”, potrebbe obiettare un interlocutore; qualcuno potrebbe addirittura dire che si tratta di complottismo, altri di disfattismo, altri di mera polemica, altri ancora di inutile pensiero su cose ineluttabili.

Resta il fatto che l’allergia è una cosa brutta e fastidiosa e piano piano tutti, anche tu che ti vanti di non soffrire mai il cambio di stagione, ne faranno parte.

Resta il fatto che prima non era così diffusa e che quando c’erano le mezze stagioni era piu’ facile prevedere quando iniziare la terapia di zirtec, eventualmente!

Ovviamente a pensare male non ci si sbaglia mai, diceva forse Andreotti… E quindi pensate a finosoft… Pensate a finochic… Pensate a chi produce zirtec, bentelan, XYZAL, fans, chips, chops e strogedi.

Niente è da escludere dove gli stallieri dei presidenti del consiglio sono dei mafiosi.

 

Il molosso

Gli articoli della rubrica “Polso di Puma” sono repereibile anche www.polsodipuma.blogspot.com

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Verso i referendum – parte 4: il legittimo impedimento

Siamo arrivati alla quarta puntata dello speciale di Camminando Scalzi sui referendum del 12 e 13 giugno. Dopo quelli sull’acqua e il nucleare, è la volta del quarto quesito, sul legittimo impedimento, forse il più importante, sicuramente quello che promette di provocare le maggiori conseguenze politiche in caso di vittoria dei sì. Questa osservazione, da sola, rende l’idea del livello di degenerazione della concezione della politica in Italia. Per definizione, infatti, l’idea più nobile di politica è l’amministrazione della cosa pubblica, ordinata al bene della collettività. Nel nostro paese, invece, per molte persone politica è diventato sinonimo di potere irresponsabile, malaffare e intrallazzi. E così la gestione dell’acqua pubblica e la costruzione di centrali nucleari diventano argomenti politicamente meno influenti rispetto ai processi del Presidente del Consiglio.
Prima di spiegare il quesito, cerchiamo innanzitutto di inquadrare la faccenda. Dopo la bocciatura del lodo Alfano da parte della Corte Costituzionale, Berlusconi ha urgentemente bisogno di un nuovo scudo per ripararsi dai processi (tre, all’epoca) che gli pendono sul capo. Per questo motivo, all’inizio del 2010 viene proposto il provvedimento sul legittimo impedimento, trasformato nella legge 51/2010 nell’aprile dello stesso anno (paradossi italiani: tra i firmatari spicca il nome di Michele Vietti, successivamente eletto vicepresidente del CSM).

Il legittimo impedimento in sé non è un’invenzione del PdL. Il codice di procedura penale prevede che un imputato possa richiedere il rinvio di un’udienza processuale che lo riguarda, in caso di “assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento”. D’altronde, non si può costringere qualcuno che abbia problemi di salute o altro ad essere presente in tribunale. In caso di legittimo impedimento, l’udienza (e il processo) salta e viene rinviata a nuova data. Quello che la legge approvata dalla maggioranza di centro-destra introduce è un’estensione del concetto di legittimo impedimento. Nello specifico, la legge 51/2010 sancisce in due brevi articoli che per il presidente del Consiglio e per i ministri, ove imputati in un processo, costituisce legittimo impedimento lo svolgimento delle loro funzioni previste dalla legge, nonché qualsiasi attività preparatoria o connessa. Praticamente, il presidente del Consiglio, se deve preparare un meeting o una riunione, ha il diritto di non presentarsi di fronte al giudice, rinviando il processo, mentre un autista degli autobus, se ha un’udienza in un giorno lavorativo, ci deve andare comunque. Ma come nei migliori varietà, il bello deve ancora arrivare. Nella legge non è prevista la possibilità del giudice di rifiutare l’impedimento proposto, per cui se esso sia legittimo o meno lo decide l’imputato. La parte migliore è il comma 4 dell’articolo 1: “Ove la Presidenza del Consiglio dei Ministri attesti che l’impedimento è continuativo e correlato allo svolgimento  delle funzioni di cui alla presente legge, il giudice rinvia il processo a udienza successiva al periodo indicato, che non può essere superiore a sei mesi”. Significa che il premier può farsi da solo un certificato attestante che per sei mesi lui è troppo impegnato per venire al suo processo, quindi si rinvia tutto. Poiché l’articolo 2 stabilisce che la legge ha validità per i diciotto mesi successivi alla sua entrata in vigore, di fatto il premier può rinviarsi i processi per un anno e mezzo. Anche quelli già in corso, ovviamente, come sancito dal comma 6 dell’articolo 1. Altrimenti a che serve?

In un colpo solo si è riusciti nel miracolo di mettere nero su bianco che la legge non è uguale per tutti o, se si preferisce, che il presidente del Consiglio è più uguale degli altri. Il tutto giustificato dalla necessità “di consentire al Presidente del Consiglio dei ministri il sereno svolgimento delle funzioni attribuitegli dalla Costituzione e dalla legge”, come scritto nella prima stesura del provvedimento. In barba a quanti pensano che un capo di governo toccato da un processo abbia il diritto di difendersi dalle accuse con tutte le proprie forze e il dovere di farlo fuori dalle istituzioni, che non devono subire, insieme ai propri cittadini, la vergogna di una figura su cui grava il sospetto di non svolgere le proprie funzioni con la disciplina e l’onore previsti dalla Costituzione.
Il giorno dopo aver ammesso il referendum sull’abrogazione della legge sul legittimo impedimento, nel gennaio di quest’anno, la Corte Costituzionale si è pronunciata sull’eccezione di costituzionalità sollevata dal tribunale di Milano nell’ambito del processo Mills, finito in ripostiglio proprio grazie alla legge in questione. La Consulta ha cassato il già citato comma 4 dell’articolo 1, per evidenti contraddizioni con l’articolo 3 della Costituzione, mantenendo valido il resto del testo ma aggiungendo il potere discrezionale del giudice nell’accettare la validità dell’impedimento. Il provvedimento ne è uscito fortemente ridimensionato (e infatti i processi di Berlusconi sono ricominciati), ma pur sempre valido. Resta ancora in piedi il diritto del premier, negato ai cittadini comuni, di autocertificare la propria indisponibilità, pur se da sottoporre al parere del giudice. È per questo motivo che il referendum è rimasto valido, nonostante la parziale bocciatura della legge. E per lo stesso motivo il governo ha deciso di silenziare l’intera questione referendaria sperando nel mancato raggiungimento del quorum, facendo perfino marcia indietro su tematiche, quali la privatizzazione del servizio idrico e il ritorno all’energia nucleare, per cui lo stesso governo si era impegnato fino a poco tempo fa. È un segnale della scala di priorità di questa classe dirigente, per la quale divincolarsi dalla legge è più importante che amministrare la vita di un paese.
Qualsiasi cosa si pensi degli altri tre quesiti, è quantomai importante andare a votare SÌ almeno per questo. Un’affermazione del quesito referendario rappresenterebbe una vittoria dell’idea di uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. Una vittoria della democrazia.

 

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