Marzo 1941
L’Olanda è teatro di paura e restrizione.
La minaccia della Germania nazista fermenta senza sosta e dà vita a ghetti e campi di lavoro.
Il 29 aprile 1942, la stella di David diviene la “lettera scarlatta” sulle giacche degli ebrei.
Poco dopo, iniziano le deportazioni di massa.
Westerbork diventa il preludio ad Auschwitz e meta degli ebrei olandesi.
Domenica 9 marzo 1941
“Avanti, allora! È un momento penoso, quasi insormontabile: devo affidare il mio animo represso a uno stupido foglio di carta a righe.”
Etty Hillesum assegna al suo diario l’acuta percezione del mondo e di sé. Una scrittura difficilmente decifrabile inizia a riempire le pagine di tanti quaderni destinati a essere testimoni muti fino al 1981. Esther Hillesum era nata il 15 gennaio 1914 a Middelburg, Olanda. Figlia del Dottor L. Hillesum, insegnante di Lingue classiche e di Rebecca Bernstein, nata in Russia e giunta ad Amsterdam in seguito a un pogrom, Etty crebbe con i suoi due fratelli in una famiglia dal matrimonio burrascoso. Divenne preside del Ginnasio, nutrì grande interesse per la lettura e la filosofia e si laureò in Giurisprudenza ad Amsterdam. Successivamente, si iscrisse alla facoltà di Lingue Slave e intraprese lo studio della psicologia. All’epoca dei diari, Etty lavorava come segretaria presso lo studio di Julius Spier, fondatore della psicochirologia, sostenuto da Jung.
Spier diventa il fulcro delle emozioni e delle riflessioni di Etty, che apre il diario citando il signor “S.” Più giovane di ben 27 anni, fu conquistata dalla sua personalità magica e divenne sua amante e compagna intellettuale. Spier influì sul suo cammino spirituale, atto alla ricerca dell’essenzialità, dell’umanità contrastata dal brutale che regnava intorno a loro.
Lunedì 4 agosto 1941
“S. dice che l’amore per tutti gli uomini è superiore all’amore per un uomo solo: perché l’amore per il singolo è una forma di amore di sé.”
Il rapporto tra Etty e Dio muta visibilmente, e tutt’oggi appare una religiosità opposta alla convenzionalità.
È un percorso del tutto personale che si allontana da chiese e sinagoghe per realizzarsi nel contatto con l’io celato.
“Quando prego” scrive ”non prego mai per me stessa, prego sempre per gli altri, oppure dialogo in modo pazzo, infantile o serissimo con la parte più profonda di me, che per comodità io chiamo “Dio”.
L’incubo nazista risultò sempre più tangibile, e il 15 luglio 1942 Etty è costretta dagli amici a lavorare come dattilografa al Consiglio Ebraico, costituito da venti ebrei socialmente elevati che avevano alle dipendenze molti funzionari. Quest’organizzazione nacque sotto pressione dei tedeschi, e per il Consiglio rappresentava la salvezza degli ebrei. Nelle mani dei nazisti divenne un’arma sottile.
Poco dopo, Amsterdam visse la prima retata a cui lei decise di unirsi spontaneamente per non sottrarsi alla sorte del suo popolo, e soprattutto per portare “luce” agli altri. Fino al settembre 1943, rimase a Westerbork e lavorò all’ospedale locale ma potè più volte, grazie a un permesso, tornare ad Amsterdam. Il primo di questi permessi le consentì di scrivere l’ultima parte del diario. Più tardi, gli amici tentarono ripetutamente di convincerla a nascondersi, arrivando a rapirla. Lei si rifiutò.
Il 7 settembre 1943, fu deportata con la famiglia.
Lanciò una cartolina dal treno che fu raccolta: “abbiamo lasciato il campo cantando”.
Morì ad Auschwitz il 30 novembre 1943. I riferimenti biografici non possono rappresentare quasi nulla di Etty.
A parlare sono i suoi diari.
Sabato 14 giugno 1941
“Di nuovo arresti, terrore, campi di concentramento, sequestri di padri sorelle e fratelli. Ci s’interroga sulla vita, ci si domanda se essa abbia ancora un senso: ma per questo bisogna vedersela esclusivamente con sé stessi, e con Dio. Forse ogni vita ha il proprio senso, forse ci vuole una vita intera per riuscire a trovarlo. Comunque, io ho smarrito qualsiasi rapporto con la vita e con le cose, mi sembra che tutto avvenga per caso e che ci si debba staccare interiormente da ognuno e da ogni cosa. Tutto sembra così minaccioso e sinistro, e ci si sente anche così impotenti.
Non siamo nient’altro che botti vuote in cui si sciacqua la storia del mondo. O tutto è casuale, o niente lo è.
Se io credessi nella prima affermazione non potrei vivere, ma non sono ancora convinta della seconda”
Prosegue scrivendo:
“E così la tua vita è un passare da un parto all’altro. Forse dovrò spesso cercare il mio parto, la mia liberazione in un cattivo pezzo di prosa, così come un uomo spinto dal bisogno trova la sua liberazione in quella che, detto energicamente, si chiama “puttana”, perché a volte si grida per partorire, in ogni modo.”
Nel fermento di un presagio, Etty visualizza la sua deportazione.
Una visualizzazione così intensa da risultare già un ricordo:
29 giugno 1942
“Sono già morta mille volte in mille campi di concentramento. So tutto quanto e non mi preoccupo più per le notizie future: in un modo o nell’altro, so già tutto. Eppure trovo questa vita bella e ricca di significato. Ogni minuto.”
“Stanotte ho sognato che dovevo preparare la valigia…Rimarrà ancora posto per la Bibbia in un angolino. E se possibile per ”il libro d’ore” e per le “ Lettere a un giovane poeta” di Rilke. E mi piacerebbe portare con me i vocabolarietti russi e L’Idiota per non perdere l’esercizio della lingua.”
L’evoluzione spirituale, la crescita e la creazione di un contro-dramma, come definisce il curatore dei diari, danno vita a parole nuove, mature, rispetto alla sua prospettiva iniziale. Etty scrive:
“In me non c’è un poeta, in me c’è un pezzetto di Dio che potrebbe farsi Poesia. In un campo deve pur esserci un poeta, che da poeta viva anche quella vita e la sappia cantare. Di notte, mentre ero coricata nella mia cuccetta, circondata da donne e ragazze che russavano piano, o sognavano ad alta voce, o piangevano silenziosamente, o si giravano e si rigiravano – donne e ragazze che dicevano così spesso durante il giorno ”non vogliamo pensare”, ”non vogliamo sentire, altrimenti diventiamo pazze” – a volte provavo un’infinita tenerezza, me ne stavo sveglia e lasciavo che mi passassero davanti gli avvenimenti ,le fin troppe impressioni di un giorno fin troppo lungo e pensavo: ”Su, lasciatemi essere il cuore pensante di questa baracca.”
J. G. Gaardlandt tradusse e curò la pubblicazione dei diari nel 1981. Prima di lui, vari editori non ritennero carico di valore il testo di Etty. Dopo soli due anni dalla pubblicazione della prima edizione olandese, fu sfiorata la quattordicesima ristampa: 150.000 copie vendute. L’Olanda accolse con entusiasmo la vita di Etty, che oggi risulta essere un vademecum. Il risultato del lavoro di J.G.Gaardlandt fu che il diario vide la luce in Germania, Francia, Norvegia, Finlandia, Danimarca, Svezia, Canada, Italia, Stati Uniti e Inghilterra.
Così termina il diario di Esther Hillesum:
“Si vorrebbe essere un balsamo per molte ferite.”
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Le citazioni sono tratte da “Diario 1941-1943” di Etty Hillesum.