Verso i referendum – parte 4: il legittimo impedimento

Siamo arrivati alla quarta puntata dello speciale di Camminando Scalzi sui referendum del 12 e 13 giugno. Dopo quelli sull’acqua e il nucleare, è la volta del quarto quesito, sul legittimo impedimento, forse il più importante, sicuramente quello che promette di provocare le maggiori conseguenze politiche in caso di vittoria dei sì. Questa osservazione, da sola, rende l’idea del livello di degenerazione della concezione della politica in Italia. Per definizione, infatti, l’idea più nobile di politica è l’amministrazione della cosa pubblica, ordinata al bene della collettività. Nel nostro paese, invece, per molte persone politica è diventato sinonimo di potere irresponsabile, malaffare e intrallazzi. E così la gestione dell’acqua pubblica e la costruzione di centrali nucleari diventano argomenti politicamente meno influenti rispetto ai processi del Presidente del Consiglio.
Prima di spiegare il quesito, cerchiamo innanzitutto di inquadrare la faccenda. Dopo la bocciatura del lodo Alfano da parte della Corte Costituzionale, Berlusconi ha urgentemente bisogno di un nuovo scudo per ripararsi dai processi (tre, all’epoca) che gli pendono sul capo. Per questo motivo, all’inizio del 2010 viene proposto il provvedimento sul legittimo impedimento, trasformato nella legge 51/2010 nell’aprile dello stesso anno (paradossi italiani: tra i firmatari spicca il nome di Michele Vietti, successivamente eletto vicepresidente del CSM).

Il legittimo impedimento in sé non è un’invenzione del PdL. Il codice di procedura penale prevede che un imputato possa richiedere il rinvio di un’udienza processuale che lo riguarda, in caso di “assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento”. D’altronde, non si può costringere qualcuno che abbia problemi di salute o altro ad essere presente in tribunale. In caso di legittimo impedimento, l’udienza (e il processo) salta e viene rinviata a nuova data. Quello che la legge approvata dalla maggioranza di centro-destra introduce è un’estensione del concetto di legittimo impedimento. Nello specifico, la legge 51/2010 sancisce in due brevi articoli che per il presidente del Consiglio e per i ministri, ove imputati in un processo, costituisce legittimo impedimento lo svolgimento delle loro funzioni previste dalla legge, nonché qualsiasi attività preparatoria o connessa. Praticamente, il presidente del Consiglio, se deve preparare un meeting o una riunione, ha il diritto di non presentarsi di fronte al giudice, rinviando il processo, mentre un autista degli autobus, se ha un’udienza in un giorno lavorativo, ci deve andare comunque. Ma come nei migliori varietà, il bello deve ancora arrivare. Nella legge non è prevista la possibilità del giudice di rifiutare l’impedimento proposto, per cui se esso sia legittimo o meno lo decide l’imputato. La parte migliore è il comma 4 dell’articolo 1: “Ove la Presidenza del Consiglio dei Ministri attesti che l’impedimento è continuativo e correlato allo svolgimento  delle funzioni di cui alla presente legge, il giudice rinvia il processo a udienza successiva al periodo indicato, che non può essere superiore a sei mesi”. Significa che il premier può farsi da solo un certificato attestante che per sei mesi lui è troppo impegnato per venire al suo processo, quindi si rinvia tutto. Poiché l’articolo 2 stabilisce che la legge ha validità per i diciotto mesi successivi alla sua entrata in vigore, di fatto il premier può rinviarsi i processi per un anno e mezzo. Anche quelli già in corso, ovviamente, come sancito dal comma 6 dell’articolo 1. Altrimenti a che serve?

In un colpo solo si è riusciti nel miracolo di mettere nero su bianco che la legge non è uguale per tutti o, se si preferisce, che il presidente del Consiglio è più uguale degli altri. Il tutto giustificato dalla necessità “di consentire al Presidente del Consiglio dei ministri il sereno svolgimento delle funzioni attribuitegli dalla Costituzione e dalla legge”, come scritto nella prima stesura del provvedimento. In barba a quanti pensano che un capo di governo toccato da un processo abbia il diritto di difendersi dalle accuse con tutte le proprie forze e il dovere di farlo fuori dalle istituzioni, che non devono subire, insieme ai propri cittadini, la vergogna di una figura su cui grava il sospetto di non svolgere le proprie funzioni con la disciplina e l’onore previsti dalla Costituzione.
Il giorno dopo aver ammesso il referendum sull’abrogazione della legge sul legittimo impedimento, nel gennaio di quest’anno, la Corte Costituzionale si è pronunciata sull’eccezione di costituzionalità sollevata dal tribunale di Milano nell’ambito del processo Mills, finito in ripostiglio proprio grazie alla legge in questione. La Consulta ha cassato il già citato comma 4 dell’articolo 1, per evidenti contraddizioni con l’articolo 3 della Costituzione, mantenendo valido il resto del testo ma aggiungendo il potere discrezionale del giudice nell’accettare la validità dell’impedimento. Il provvedimento ne è uscito fortemente ridimensionato (e infatti i processi di Berlusconi sono ricominciati), ma pur sempre valido. Resta ancora in piedi il diritto del premier, negato ai cittadini comuni, di autocertificare la propria indisponibilità, pur se da sottoporre al parere del giudice. È per questo motivo che il referendum è rimasto valido, nonostante la parziale bocciatura della legge. E per lo stesso motivo il governo ha deciso di silenziare l’intera questione referendaria sperando nel mancato raggiungimento del quorum, facendo perfino marcia indietro su tematiche, quali la privatizzazione del servizio idrico e il ritorno all’energia nucleare, per cui lo stesso governo si era impegnato fino a poco tempo fa. È un segnale della scala di priorità di questa classe dirigente, per la quale divincolarsi dalla legge è più importante che amministrare la vita di un paese.
Qualsiasi cosa si pensi degli altri tre quesiti, è quantomai importante andare a votare SÌ almeno per questo. Un’affermazione del quesito referendario rappresenterebbe una vittoria dell’idea di uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. Una vittoria della democrazia.

 

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