Un confine militarizzato, per gente che scappa dalla fame e cerca di perseguire quello che un tempo era (ma forse lo è ancora oggi) il “Sogno americano“. Border-hopper, River-crosser eccetera. Così vengono chiamati quelli che provano a scavalcare le reti. Pochi ci riescono, molti vengono respinti…o peggio, ma non lo si dice. Per i messicani entrare negli Stati Uniti è difficilissimo, ci vogliono permessi quasi impossibili da ottenere (visti i requisiti) per la gente della working-class. Mia moglie (che è messicana) ha fatto prima a prendere il passaporto italiano, il che è tutto dire.
I messicani negli Stati Uniti restano messicani per sempre, sebbene in tanti diventino dei “pochos” (parola messicana che indica colui che valica il confine e si sente “gringo” dimenticando le sue radici e che stranamente è anche il soprannome di Lavezzi per sconosciuti motivi). Insulti, gag ridicole negli show televisivi, pregiudizi. E pensare che nel 2030 secondo le previsioni saranno di più i latini che i bianchi nella maggioranza degli stati del paese a stelle e strisce (nascono tanti bimbi ispanici, molti meno anglosassoni). Se non lo avete mai visto vi consiglio il film “Un giorno senza messicani”, film di Sergio Arau del 2004, che spiega perfettamente come stanno le cose e come starebbero se sparissero i messicani dagli States.
Ora, scusate la premessa, ma era necessaria per far capire quanto è stato importante per il Messico ed i suoi abitanti il successo nella finale di Gold Cup (che sarebbe il trofeo continentale del Nord America, il nostro Europeo in pratica). Il torneo si gioca ogni due anni negli Stati Uniti e la finale è sempre la stessa causa mancanza di competitori (Panama ed Honduras ci provano, ma il livello è quello che è). Quest’anno la squadra del “Chepo” De La Torre ha penato un po’ per arrivare in finale, ma gli statunitensi molto di più. In ogni caso quella che era l’atto finale più scontato ha avuto luogo sabato 25 giugno a Pasadena, in California, dove ovviamente la presenza di tifosi messicani era massiccia (sembrava giocassero in casa).
Il team azteca a mio parere è uno dei più forti di sempre (non in assoluto, in ambito messicano). Degli undici giocatori impiegati nella finale solo due non hanno mai giocato in Europa: il portiere Talavera (che gioca in quanto Corona, il miglior portiere del paese, è stato sospeso per una rissa in campionato) ed il centrocampista Castro (passato al Cruz Azul dove farà coppia con capitan Torrado). Gli altri sono nomi noti. Moreno (Az Alkmaar) e Salcido (Psv e poi Fulham), Marquez campione d’Europa due anni fa col Barcellona), Guardado del Deportivo La Coruña, Barrera del West Ham, Juarez del Celtic. In attacco Giovani Dos Santos (scuola Barcellona, poi Tottenham ed altri) assieme alla punta di diamante, Javier “Chicharito” Hernandez.
Eppure nella finale già nel primo tempo passano per due volte gli statunitensi, prima con Bradley (figlio dell’allenatore) e poi con il più odiato di tutti: Landon Donovan. Il numero dieci gringo spesso si è lasciato andare a frasi offensive contro i messicani (non semplici provocazioni) ed una volta addirittura orinò sul prato dello stadio Jalisco a Guadalajara). La vendetta però è pronta ad essere consumata. Prima dell’intervallo è due a due, con le reti di Barrera e Guardado (nelle immagini della televisione messicana al momento del pareggio si vede una donna statunitense imprecare col dito medio alzato, le prese in giro oggi in Messico si sprecano per quella signorina).
Nella ripresa colpisce ancora Barrera e poi la perla di Dos Santos, che viene rincorso dal portiere Howard dopo un dribbling non riuscito ma con un pallonetto strepitoso che finalizza al meglio l’azione. Quattro a due, tanti saluti a Donovan e compagni. Qualificazione alla prossima Confederations Cup in Brasile (2013, l’anno prima dei mondiali) che è stata ottenuta e tutti contenti a sud del confine. Amarezza invece per gli Usa, che speravano proprio di tornare a giocarsi la Confederations dopo il secondo posto del 2009 . Complimenti al Messico, che a questo punto speriamo di affrontare in terra carioca fra due anni, non tanto per la coppa in sè stessa che è abbastanza ridicola, ma perchè significherebbe che in Polonia ed Ucraina la truppa di Prandelli abbia fatto storia.