Non si sa quando termineranno ma, di sicuro, continueranno. Stiamo parlando delle cosiddette “missioni umanitarie” dei nostri soldati all’estero. Dopo le solite polemiche legate ai costi delle missioni, giovedì 7 luglio il Consiglio dei Ministri ha approvato il rifinanziamento, anche se ha posto una tregua: in pratica, circa duemila militari rientreranno da Libia, Libano e Balcani e ci sarà anche un taglio di 120 milioni alle spese per il prossimo semestre: da 811 a 620 milioni. I tagli riguardano soprattutto la Libia, dove si passa dai 142 milioni del primo semestre ai 58 del secondo. La nave ammiraglia Garibaldi sarà ritirata con i suoi 884 uomini e tre aerei che, tuttavia, saranno sostituiti da alcuni velivoli che partiranno dalle basi italiane. Dall’Afghanistan non andrà via un solo soldato e sono stati stanziati 15 milioni in più per la sicurezza dei nostri militari. Inizialmente, la Lega aveva posto il veto sul rifinanziamento, ma ha accolto con soddisfazione il decreto, anche se non sono mancate polemiche tra il leader del carroccio, Umberto Bossi, e il ministro della Difesa Ignazio La Russa. Si tratta di una sorta di compromesso che alla fine accontenta tutti: da un lato il segretario leghista che da qualche giorno veste i panni del (presunto) pacifista, dall’altro il ministro della Difesa che voleva a tutti i costi che le missioni proseguissero.
A ogni modo, ancora una volta è stato deciso che i nostri soldati devono continuare a rischiare la vita in zone molto pericolose, dove tra l’altro non sono mai stati visti benissimo da una parte delle popolazioni locali, come dimostra l’alto numero di militari uccisi a seguito di attentati. Ormai è da tempo che i soldati italiani vivono in zone di guerra, anche se ipocritamente le loro missioni vengono definite “di pace”. In realtà il rischio di morire è molto alto, ma gli ordini governativi sono quelli di dover continuare, a rischio di perdere la vita. In Afghanistan sono tantissimi gli italiani morti in un paese che stenta a conoscere la democrazia e dove i talebani, nonostante le promesse istituzionali, non sono mai stati definitivamente sconfitti. Insomma, le “missioni di pace” proseguono più che mai e proseguiranno ancora per molto tempo. Tutto ciò può far fare bella figura all’Italia davanti agli altri paesi del mondo, ma nei fatti i nostri soldati continuano a rischiare la vita allo scopo di contribuire a portare la democrazia in paesi in cui questa difficilmente riuscirà a entrare nei meccanismi della politica locale, senza considerare poi i costi molto alti che lo stato italiano deve fronteggiare e che, forse, potrebbero servire per questioni interne che interessano maggiormente al popolo italiano.
Sinceramente credo sia molto più pericoloso lavorare in un cantiere che in Afghanistan, Libia etc etc, con la sola differenza che per una missione un soldato prende almeno 3 volte tanto l’operaio qualunque, e che se il primo è uno sprovveduto che cade da un ponteggio, il secondo diventa un eroe con funerali di stato.
Detto questo, concordo pienamente sul fatto che un concetto come DEMOCRAZIA non possa essere “trasmesso” con un esercito, soprattutto quando i costi umani ed economici sono così alti… Ed è per questo che credo che a La Russa e il governo abbiano bel altri obiettivi…
C’è questa contraddizione stridente tra il presunto pacifismo umanitario della classe dirigente italiana e la sua imperturbabile ostinazione a proseguire le missioni “di pace”. Si potrebbe discutere della vicenda di Herat, come della Libia… Un cittadino qualunque potrebbe chiedersi,ad esempio, cosa renda l’emergenza libica più impellente di quella siriana. Assad sta massacrando i civili e mentre l’Italia tace la Clinton manifesta la classica, futile indignazione. Ci sono enormi interessi economici dietro questi conflitti, sangue in cambio di petrolio. E’ sempre stato così.