Il nostro viaggio musicale ci porta a conoscere Dario Cecchini, leader e portavoce dei Funk Off. Un orgoglio per il nostro Paese, questa marching band che vanta prestigiose collaborazioni e concerti in ogni parte del mondo. Dario si è prestato alle nostre domande e lo ringrazio per la rapidità e per la trasparenza che si legge attraverso le sua parole. Non perdeteli nei prossimni concerti!
1.Vuoi raccontarci come nasce questa band e raccontarci qualche tappa saliente della vostra attività artistica?
Verso la metà degli anni 90 dirigevo a Firenze la Ballroom Big Band del CAM, la scuola di musica jazz fiorentina. Doveva essere una formazione di Big Band classica ma che non suonasse brani del repertorio jazzistico, ma che fondesse il jazz con gli altri rami della black music, soprattutto funk e soul, mirata al ballo e al ritmo. Fu così che cominciai a sperimentare un po’ di idee nell’arrangiamento e successivamente nella composizione che poi ho portato nei Funk Off. Negli stessi anni suonavo in formazioni di livello veramente ottimo, ma che a volte sentivo non si concedessero completamente alla musica come partecipazione e emozione. Durante una prova della Ballroom ebbi l’idea della Marchin’ Band che unisse alla musica il movimento, per enfatizzare la partecipazione emotiva e quindi riempire quel vuoto che sentivo. Ovvio che per fare una cosa del genere avevo bisogno di fare tante prove e per questo pensai a tutti ragazzi di Vicchio, il mio paese, con i quali già collaboravo e nei quali vedevo grosse potenzialità.
Dopo 13 anni le tappe sono state tante…. Le butto un po’ lì: la prima partecipazione ad Umbria Jazz nel 2003, i vari tour un po’ in tutta Europa, le partecipazioni al Melbourne Jazz festival, al Festival di Sanremo nel 2005, a Speciale per me di Renzo Arbore, a New York allo IAJE, al Concerto del 1° Maggio in Piazza San Giovanni a Roma, per finire con la partecipazione al BMW Festival a San Paolo del Brasile. Ma ogni tappa e ogni evento della nostra attività rappresentano per noi un momento importante.
2. Luglio 2011 è stata l’ennesima vostra consacrazione all’Umbria Jazz. Cosa vuol dire suonare nella capitale italiana del jazz?
Beh, questo era il nostro nono anno consecutivo a Perugia. E’ una soddisfazione sempre più grande sia perche partecipiamo al più importante Festival Jazz italiano, sia per il fatto che si è creata un’empatia unica con la città, con il Festival e con il pubblico.
3. Vuoi raccontarci qualche “aneddoto” particolare o qualche fatto curioso successo a Perugia?
Sono stati tanti in dieci anni, uno dei più incredibili è successo proprio quest’anno. Stavamo suonando in Corso Vannucci e, senza che ce ne fossimo accorti, c’era ad ascoltarci John Blackwell, uno dei batteristi/guru moderni, che era a Perugia con Prince. Beh, ha sfilato una bacchetta di tasca al nostro rullantista e si è messo a fillare sul rullante con lui. Ha finito il pezzo con noi! Ci ha fatto dei grandi complimenti, in particolare alla nostra sezione ritmica. Ma anche quando Phil Woods mi ha fermato per dirmi che gli piaceva un sacco la musica della band e che si era alzato da letto per venire a vederci… Oppure quando un musicista di New Orleans mi ha detto che nella sua città ci sono le radici del Jazz, ma noi, con la nostra musica e il nostro modo di proporla, ne siamo i rami.
4. Quali sono i vostri prossimi progetti? Intanto registrare il nostro quinto cd. La musica è già pronta, l’abbiamo provata e qualche pezzo lo stiamo già suonando nei concerti. Poi ci piacerebbe fare un DVD in cui oltre ai concerti ci sia un po’ anche la nostra storia. Già è partito qualcosa anche per questo, poi si vedrà.
5. Vogliamo parlare della vostra discografia e di come fare per acquistare un vostro cd?
Abbiamo registrato 4 CD: “Uh Yeah!” del 2001, “Little Beat” del 2003, “Jazz On” del 2007, “Una banda così” del 2010. I primi 2 CD li vendiamo noi ai concerti in quanto non sono distribuiti, gli altri 2 (“Jazz On” per la Blue Note, “Una banda così” per la My Favorite) si trovano tranquillamente anche nei negozi.
6. Come vedi la musica nel nostro Paese? Cosa si potrebbe fare di più?
Dunque, c’è musica e musica. Se parliamo della musica leggera nel nostro paese mi sembra che vada. Ha un suo mercato, un suo pubblico, le sue star, si riesce ad esportarla e anche bene. Non parlo della qualità, parlo di quel mondo. Ma quando penso alla musica intesa come attività artistica… beh, il discorso cambia. Non ci sono strutture, non c’è nessuna forma di aiuto da parte del governo, i festival e i comuni si sono visti ridurre drasticamente sovvenzioni e aiuti non solo per la musica ma per ogni attività culturale. Stessa cosa è successa agli enti lirici e a importanti orchestre del panorama nazionale. E questo tipo di tagli si sono avuti più o meno in tutte le forme d’arte. La stessa struttura scolastica musicale, il Conservatorio, è stata riformata ma, a mio parere, in peggio e in maniera molto superficiale. I licei musicali, appena istituiti, non capisco a che cosa mirino.
Penso che bisognerebbe riformare la struttura scolastica musicale, per lo meno quella del jazz, fare dei programmi seri e pretendere che chi studia jazz sia veramente preparato. Il vecchio percorso musicale non era a mio parere sbagliato, ma dovremmo mettere nei conservatori corsi di Ear Training, batteria e piano complementare, tecniche di ascolto. Dovremmo cercare di far crescere i giovani nella musica come musicisti e non come esecutori. Dovremmo cercare di far capire loro che la musica è un’arte e che come un’arte va vissuta, capita, studiata e rispettata. Inoltre penso che i giovani dovrebbero avere un rapporto sano con la musica fin da piccoli, dovrebbero essere educati all’ascolto e avere la possibilità di praticare strumenti con corsi musicali propedeutici seri fino dalle elementari e alle medie.
Per tutte le altre informazioni e le date dei prossimi concerti vi invito a visitare il sito ufficiale