In un periodo in cui la mannaia della censura rischia di calare sulla libertà di informazione e su quella di opinione di tutti i cittadini, grazie alla vergognosa legge bavaglio promossa dalla maggioranza, una riflessione sul ruolo di internet, dei blog e dell’informazione on-line è quanto mai attuale. A questo proposito, abbiamo deciso di intervistare Alessandro Gilioli, giornalista de l’Espresso e autore del blog Piovono Rane per la stessa testata.
1) Quanto è calzante, a livello di contenuti, il paragone fra un blog, come Piovono Rane, curato per una testata e una rubrica fissa sulla versione stampata della stessa testata?
Sono due cose molto diverse. Diverse nei linguaggi (quello del blog è più diretto, informale e soggettivo), nei contenuti (il blog ti permette di variare molto gli argomenti e le corde) nonché nelle misure (la rubrica ha spesso un ingombro fisso, nel blog puoi fare un post di una riga o di diecimila caratteri). E ovviamente cambia tutta la relazione con il lettore, che si fa più colloquiale e interattiva.
2) Quali sono le analogie e le differenze fra essere giornalista “classico” e blogger? Il web cambia solo la diffusione delle informazioni o modifica anche il contenuto e la natura dell’attività giornalistica?
La seconda che hai detto, almeno per quanto riguarda i blog (che sono personali) ma spesso più in generale nell’informazione digitale. La possibilità di usare un linguaggio diverso e più soggettivo cambia il modo in cui ti rapporti ai lettori. Senza dire cose già note: gli hyperlink modificano il contenuto, così come la relazione con chi ti legge è modificata dalla possibilità di interagire, di commentare, di rispondere, di correggerti etc etc. Sarebbe molto sbagliato pensare che la comunicazione sul web sia come quella sulla carta, ma fatta di bit anziché di inchiostro.
3) Internet offre a chiunque la possibilità di rendere pubblica la propria opinione su qualunque argomento. Cosa pensa del giornalismo “dal basso” e del cosiddetto “cloud journalism”? In questo senso, internet cambia il modo di fare giornalismo o lo soppianta?
Credo che la comunicazione (parlerei di comunicazione più che di giornalismo, parola quest’ultima legata all’informazione verticale) sia sempre di più una galassia in cui c’è dentro di tutto e in cui ciascuno si serve di quello che vuole, senza neppure stare a chiedersi se è cloud o mainstream. Semmai all’interno di questa galassia, la differenza che resterà è quella tra comunicazione professionale (fatta cioè da chi ha il tempo e i soldi per fare comunicazione professionalmente traendone un guadagno) e chi invece fa comunicazione non professionale (non necessariamente peggiore, ma senza il tempo e gli investimenti dei primi).
4) Lo scambio di informazioni e di opinioni sulla rete può sostituire il giornalismo professionistico o non può che esserne il complemento?
Lo scambio di informazioni e di opinioni in rete è e sarà sempre di più una componente importante della galassia complessiva della comunicazione. Quindi chi fa comunicazione professionale sarebbe un pazzo se non la frequentasse e se non ne facesse parte. Né sostituzione né complemento dunque: parte molto importante di una più ampia e intrecciata galassia comunicativa.
5) Sempre più spesso, i media “mainstream” inseguono tendenze e dibattiti aperti sul web. Di fronte alla possibilità di un “passaparola” globale e istantaneo, la figura del giornalista di professione è ancora sinonimo di autorevolezza?
L’autorevolezza nel Web te la conquisti giorno per giorno, e non in breve tempo, che tu sia giornalista o no. Poi certo: un comunicatore professionale ha più tempo materiale per dedicarsi meglio e di più (se non è un cialtrone) a conquistare un rapporto di fiducia e di credibilità con chi lo segue.
6) Ai primi di giugno, a Barga (Lu), durante la consegna del “Premio Benedetti”, il direttore de L’Espresso Bruno Manfellotto ha criticato il giornalismo on line, che a suo parere trabocca di dilettantismo. “Questi ragazzi” ha proseguito “non me ne vogliano, hanno poca memoria di questo Paese”. Lei cosa ne pensa?
Io credo che parlare di »giornalismo on line» sia un po’ vago: parliamo di testate tradizionali che vanno anche on line (tipo Repubblica o Corriere, ma anche il sito dell’Espresso che ha due milioni di visitatori al mese), parliamo di testate solo on line (tipo il Post o Linkiesta), parliamo di blog, parliamo di social network? È, come dicevo, tutto parte di una galassia molto ampia e variegata rispetto alla quale un giudizio unico mi pare un po’ riduttivo. In ogni caso, grazie a Dio L’Espresso non è una caserma e ognuno può pensarla in merito come crede.
7) Vista l’enorme difficoltà ad entrare nel mondo del giornalismo per i giovani “colpiti” da questa passione e la totale mancanza di apertura verso le nuove leve, trova che un progetto partito dal basso (ad esempio il nostro) sia una strada giusta da percorrere?
Certo. Avendo però ben presenti le difficoltà economiche che si devono sostenere per affermarsi in un mercato della comunicazione digitale in cui anche i brand più affermati faticano. E frequentando il più possibile ogni forma di comunicazione, mainstream o cloud che sia, digitale o su carta o su altro supporto che sia.
8)Cosa pensa dell’Ordine dei giornalisti? Trova sia un organo finalizzato a tutelare la qualità dell’informazione e la libertà d’opinione dei giornalisti, oppure uno strumento per limitare il numero di soggetti che fanno questo mestiere?
L’Ordine dei giornalisti è una sovrastruttura che serve soltanto a garantire una poltroncina e un po’ di potere a chi lo governa.
Domande a cura di: Salvo Mangiafico, Erika Farris, Marco “Griso” Iorio.