Non bisogna essere esperti di diritto per capire come tra una sentenza di condanna all’ergastolo ed un’ assoluzione vi sia una differenza abissale, soprattutto in termini di privazione della libertà personale per il soggetto nei cui confronti la decisione è rivolta. In realtà, tra una sentenza di condanna ed una sentenza di proscioglimento spesso ci passa davvero poco. Nel nostro sistema giudiziario penale, affinché possa essere emessa una sentenza di condanna nei confronti di un imputato, è necessario che il giudice sia convinto della sua colpevolezza “oltre ogni ragionevole dubbio”. Ciò significa che, ogni qual volta si trovi anche soltanto con il barlume del cruccio circa la responsabilità del soggetto sottoposto a processo penale, il giudice deve essere straconvinto, se non addirittura certo, della verità processuale sulla quale si trova a giudicare. E’ un po’ questo il succo del processo di secondo grado conclusosi il primo ottobre a carico di Amanda Knox e Raffaele Sollecito, imputati per la morte di Meredith Kercher. Credo, infatti, che proprio il “ragionevole dubbio” sia nascosto dietro quella che in realtà è stata una vera e propria assoluzione con formula piena. I due imputati sono stati assolti con quella che in gergo è definita una “formula ampia” di assoluzione. Non voglio addentrarmi nel merito della decisione della Corte d’Assise d’Appello di Perugia perché, non avendo tra le mani gli atti del processo, non me la sentirei di dare un giudizio tecnico che risulterebbe approssimativo che mi condurrebbe a trarre conclusioni sommarie. Vorrei, però, spiegare le tipologie di sentenze che possono essere emesse da un giudice penale in primo e secondo grado. Per la Cassazione, invece, il discorso è diverso essendo espressamente previste dalla legge le motivazioni che possono condurre ad un eventuale ricorso in Cassazione, motivazioni che non possono essere inerenti al “fatto”, ma devono necessariamente concernere questioni di “diritto”, quindi errori procedurali, di valutazione, di applicazione della legge, oppure carenze o vizi relativi alla motivazione della sentenza.
Le sentenze possono essere divise in due grandi gruppi: condanna e proscioglimento. La condanna è una sentenza che viene pronunciata qualora dalle carte processuali emerga oltre ogni ragionevole dubbio, come detto, la colpevolezza dell’imputato. Occorre cioè accertare che l’imputato abbia commesso il fatto, che, a seconda del tipo di reato, lo abbia commesso con dolo o colpa, che non vi siano cause diverse dalla condotta dell’imputato che abbiano determinato il verificarsi dell’evento e che non vi siano cause particolari od ulteriori tali da escludere, in qualunque altro modo, la sua responsabilità penale. Diversamente, le sentenze di proscioglimento si dividono in sentenze di due tipi: assoluzione e proscioglimento. Il proscioglimento, o per meglio dire il “non luogo a procedere”, indica il caso in cui il processo non può proseguire per motivazioni processuali. Ciò significa che il giudice non può spingersi sino ad accertare nel merito i fatti oggetto del processo ma deve, al ricorrere di una causa di estinzione del processo, dichiarare estinto il procedimento. Ad esempio tale circostanza si verifica in caso di intervenuta prescrizione del reato, di morte dell’imputato, amnistia, ed altre cause specificatamente previste dalla legge. In tutte queste ipotesi non potrà mai parlarsi di assoluzione proprio perché il giudice non avrà potuto accertare i fatti e non potrà parlarsi di “innocenza”. Non a caso tali sentenze vengono definite di proscioglimento “nel rito”.
Veniamo al secondo gruppo di sentenze, quelle di proscioglimento “nel merito”. L’innocenza dell’imputato è riconducibile esclusivamente a tale tipologia di provvedimenti. Le sentenze di assoluzione possono avere diverse “formule”: “Il fatto non sussite”, “il fatto non costituisce reato”, “il fatto non è previsto dalla legge come reato”, “l’imputato non lo ha commesso”, “l’imputato non è punibile o non è imputabile”. Tale decisione deve risultare il frutto di un’attenta e approfondita analisi dei fatti eseguita dal giudice il quale, alla luce dell’esito dell’istruttoria dibattimentale (luogo in cui avviene la formazione della prova), reputi l’imputato innocente. Ognuna di tali formule assolutorie ha un significato ben preciso. Amanda Knox e Raffaele Sollecito sono stati assolti con la formula “il fatto non sussiste”. In tale formula rientrano tutti i casi in cui dal processo emerge che manchino elementi per ritenere che quella specifica condotta sia stata tenuta dall’imputato. Ciò significa che non è stata provata la responsabilità penale in riferimento al fatto a loro contestato. I giudici della Corte d’Assise d’Appello hanno ritenuto che il comportamento dei due non abbia potuto determinare l’evento, cioè la morte di Meredith. Al contrario delle sentenze di condanna, per le sentenze di assoluzione non esiste il limite del ragionevole dubbio, proprio perchè in caso di dubbio il giudice è sempre tenuto ad assolvere l’imputato. Ciò non toglie che su alcune sentenze, come quella in commento, si possa rimanere un po’ incerti, un po’ perplessi o, per meglio dire, con un “ragionevole dubbio”.