Una vignetta dell’Independent di qualche giorno fa ben descrive la situazione italiana in questo momento. Le redini del paese sono nelle mani di una persona che se ne disinteressa totalmente. L’ha sempre fatto, a dire il vero, ma in questo momento è palese che il suo unico cruccio è quello di divincolarsi dalla morsa in cui si è stretto da solo. Ciò nonostante, il nostro Nerone gode ancora della fiducia di molti pretoriani incuranti di gettare al vento quei pochi scampoli di dignità che fossero loro eventualmente rimasti dopo le ignominie di cui si sono resi protagonisti pur di difendere il loro scranno nelle aule che contano. Magari sganasciandosi dalla risate al grido “Forza Gnocca”, in pieno spirito pre-adolescenziale, molto più che istituzionale. Considerata anche la situazione internazionale, l’aria che si respira porta con sé l’odore della pioggia imminente, che promette di rivelarsi un diluvio.
Per questa ragione, siamo costretti ad occuparci dell’opposizione. Infatti, la cosa di cui l’Italia avrebbe più bisogno è un’alternativa credibile e seria alla follia autodistruttiva, in grado di costringere politicamente il buffone al governo (definizione del Sunday Times) a farsi da parte insieme al resto del suo circo di animali, trasformisti e ballerine. È impietoso, oltre che inutile, sottolineare come di una tale entità si senta disperatamente la mancanza. Delle vicissitudini estive del Partito Democratico ci eravamo già occupati. Purtroppo dobbiamo tornarci. Lo strabiliante (oppure no) esito della raccolta firme per il referendum abrogativo del porcellum suona come una sorta di schiaffo nei confronti di un partito che pretende di incarnare l’alternativa a Berlusconi & Co. ma che balbetta quando c’è da sottoscrivere e appoggiare una causa sposata da 1.210.466 cittadini, senza contare tutti i potenziali SÌ che il quesito potrebbe ricevere alle urne. Potrebbe, non potrà, poiché l’ombra della forzatura antidemocratica si staglia sulla prospettiva del voto referendario. C’è da augurarsi che nessuno dei luminari politici del PD proponga un negoziato con la maggioranza in materia di legge elettorale, mettendosi (nuovamente) di traverso sulla strada del referendum e aprendo la via a una seconda degenerazione democratica a pochi mesi dalle elezioni, degna erede della legge Calderoli. In questo senso, Enrico Letta non ha mancato di sparare un colpo, auspicando una modifica della legge elettorale in Parlamento. L’intellighenzia del PD, evidentemente, non ha compreso a fondo il modus operandi dell’attuale maggioranza, nonostante le numerose dimostrazioni offerte. Inutile sottolineare come i dissidi interni, questa volta dovuti alla faccenda referendaria, siano sfociati nell’ennesima richiesta di dimissioni del segretario.
Al di là delle continue diatribe intestine, che pure contribuiscono al mantenimento del caos, è l’inerzia politica il principale ostacolo del partito. Molti osservatori hanno sottolineato l’analogia dell’attuale fase storico-politica con l’epoca di Tangentopoli. Allora la “gioiosa macchina da guerra” del centrosinistra si preparava a far man bassa di voti alle elezioni, salvo subire una bruciante sconfitta ad opera dell'”uomo nuovo” di Arcore. Per quanto oggi la situazione sia diversa, il centrosinistra si trova nuovamente con la palla al piede di fronte a una porta sguarnita. I sondaggi mostrano un discreto vantaggio nei confronti del centrodestra, con il Terzo Polo che, al momento, non sembra in grado di spostare in modo decisivo gli equilibri. Il 45% di indecisi dovrebbe far riflettere, a questo proposito. C’è un enorme bacino di elettori disgustati dalla politica allo stesso tempo nulla e imbarazzante della compagine governativa, ma che non subiscono il fascino di un’alternativa indecisa che stenta a proporre un programma di governo. In fondo, le intenzioni di voto per il PD e il PdL non differiscono drammaticamente. Evidentemente gli elettori di Silvio Berlusconi sono restii ad abbandonare il loro punto di riferimento, incuranti dello scempio perpetrato dal gran visir. D’altra parte, il PD non appare in grado di strappare consensi approfittando del naufragio del transatlantico del centrodestra.
Eppure i numerosi segnali che la parte civile della nazione invia alla politica da un anno a questa parte sono eloquenti. Il modello sperimentale del centrosinistra che ha trionfato alle elezioni amministrative di primavera è stato frettolosamente accantonato per far posto alle innumerevoli e confuse proposte di grande ammucchiata con i centristi, vicari della Chiesa in Parlamento, che peraltro nicchiano. Anche volendo, pericolosamente, dare per scontata una vittoria alle prossime elezioni politiche, gli errori di un passato non troppo lontano, con coalizioni troppo eterogenee, dovrebbero servire da monito. Senza una decisa svolta di metodo e, inevitabilmente, di persone, cosa succederebbe di fronte a temi come i diritti civili o la laicità dello stato? Come si può chiedere ai cittadini la fiducia per governare un paese stanco di Berlusconi accanto a figure che a Berlusconi offrono un appoggio per le sue porcherie, ultima fra tutte la legge bavaglio?
Nella tragicità della situazione italiana, la prospettiva di una maggioranza che non inneggi ai genitali femminili e non usi il dito medio per rilasciare dichiarazioni politiche rappresenterebbe già un significativo passo avanti. Tuttavia, accontentarsi di un panorama del genere significherebbe rassegnarsi a un’involuzione sociale e morale dell’intero paese, non senza conseguenze anche da un punto di vista economico per le tasche dei cittadini. La nostra storia recente determina l’urgenza di un cambiamento di paradigma politico, non solo di sigle al potere. Visto il grado crescente di partecipazione “dal basso” alla vita politica dell’Italia, l’attuale classe politica è tenuta a prendere atto del proprio fallimento e a lasciare spazio a nuovi volti e, soprattutto, nuovi metodi. Il centrosinistra, in particolare, non ha più scuse. Non può sbagliare un altro gol.