Ieri sera è andata in onda la prima puntata di “Servizio Pubblico” di Michele Santoro. Dai primi dati che stanno emergendo in queste ore, il progetto partito “dal basso” è stato un successo senza ombra di dubbio. 12% di share sulle reti (tv locali e Sky) che l’hanno trasmesso – sebbene il dato non sia definitivo – centinaia di migliaia di contatti sul web nelle varie piattaforme che ospitavano lo streaming video, il terzo canale più seguito della “tv italiana”. Doveva essere un successo d’ascolto, e tale è stato.
Santoro e i suoi hanno portato la televisione fuori dalla televisione, dai suoi meccanismi, dai suoi paradigmi. È l’aspetto più interessante di tutta quest’operazione, quel finanziamento popolare che ha permesso a una trasmissione “cacciata” dalle TV ordinarie di andare comunque in onda, senza limitazioni, senza controlli dall’alto. Le persone devono poter scegliere liberamente cosa guardare. Gli spettatori, i cittadini, hanno fatto uno step in più che fa sembrare la televisione classica un vecchio dinosauro ormai destinato all’estinzione. Da una parte le vecchie regole decisionali, uno strapotere mediatico che decide cosa devono ascoltare e guardare i cittadini, dall’altra parte ciò che i cittadini (perlomeno una parte) hanno voglia di sentire. Servizio Pubblico ci ha ridato la possibilità di scelta, la possibilità di decidere cosa guardare, e non di subire le decisioni di qualcun’altro. Il Paese, anche dal punto di vista dei media, si comincia a muovere a due velocità diverse; non si può infatti non notare come questo nuovo modo di fare la tv si sia spinto oltre, facendo mostrare il fianco ad una visione antica del mezzo televisivo: non c’è più l’imposizione del palinsesto, il palinsesto lo decide lo spettatore.
Una reazione naturale all’impossibilità di guardare quello che si vuole, senza dover tenere conto di logiche di partito, di influenze del governante di turno e così via. In fondo, a prescindere da come la si pensi, non bisogna guardare Servizio Pubblico come un programma “sovversivo” (per quanto lo possa sembrare nelle intenzioni.) Non è importante di cosa si parla, si può benissimo essere in disaccordo totale con la visione santoriana del mondo politico italiano; ciò che la gente, il suo pubblico, chiedeva, era semplicemente la possibilità di ascoltare anche un’altra campana (schierata), di decidere personalmente e liberamente cosa guardare e non guardare nella TV italiana. Ma se una campana viene messa a tacere, questa possibilità decade, e muore il tanto decantato pluralismo.
Ciò che ci è piaciuto di più della trasmissione di Santoro non sono stati tanto i contenuti o lo stile, che comunque si è mantenuto molto simile a quello di Annozero e delle scorse tramissioni… anzi, a dirla tutta, da un certo punto di vista ci si aspettava qualcosa in più (considerazione forse figlia dell’enorme aspettativa sviluppatasi attorno a questo “evento” mediatico). La cosa più interessante è stata quella di guardare una trasmissione senza preoccuparsi troppo delle varie folli leggi televisive non scritte; si è avvertita a pelle quest’aria di libertà editoriale, di mancanza del terrore della telefonata di rimprovero di turno, delle inutili regole volte a scandire le tempistiche di intervento degli ospiti in studio, del dictat dell’orario di chiusura. I giornalisti e il pubblico avevano un volto rilassato, tranquillo. E, soprattutto, tanta informazione in questa prima puntata dedicata agli sprechi immensi della casta.
Staff confermato, con Travaglio, Vauro, Ruotolo (anche se ci sono mancati un po’ i suoi collegamenti in esterna), Giulia Innocenzi, e ospiti in studio De Magistris e Della Valle; gli altri giornalisti presenti sono stati Paolo Mieli, Luisella Costamagna e Franco Bechis, oltre a un interessantissimo intervento del duo Stella e Rizzo, famosi per i loro libri-inchiesta. Ma tanta parola è stata data anche ai “sovversivi”, agli spettatori, ai racconti della gente comune. Molto importante (a livello di cifre) anche la partecipazione online in diretta, con centinaia di migliaia di contatti sui vari social network, segnale distintivo di questa trasmissione che viaggia oltre i confini del piccolo schermo attraverso il web e le nuove tecnologie.
Ieri sera in Italia è cominciata una nuova epoca di informazione libera, e questo possiamo dirlo senza remore o eccessivi entusiasmi. Non ci vorrà molto tempo prima che i cittadini e gli spettatori si abituino a queste nuove forme di comunicazione. Il mondo continua a viaggiare velocemente, e prima o poi anche i tradizionalismi tutti italiani, rimasti bloccati a decine di anni fa, andranno a sciogliersi come castelli di sabbia colpiti dal mare di questo mondo moderno.
Ci hanno tolto la possibilità di scelta, e noi ce la siamo ripresa. Un piccolo mattone è stato posto. Non a caso il progetto si chiama “Servizio Pubblico”. Pubblico. Speriamo si continui così.