Eastwood racconta Hoover

J. Edgar HooverJ. Edgar Hoover ha avuto un ruolo talmente primario nella nascita di quella che oggi chiamiamo FBI (Federal Bureau of Investigation, ovvero la polizia federale degli Stati Uniti d’America), che comunemente si dice ne sia stato il fondatore. Ma soprattutto è conosciuto come l’uomo che ha tenuto per le palle l’America per più di quarant’anni, utilizzando informazioni estremamente confidenziali per manipolare a suo vantaggio – o a vantaggio di ciò che egli credeva di dover difendere (la sicurezza dei cittadini) – i personaggi più potenti del suo tempo, da Roosevelt ai Kennedy fino a Nixon.

Il nuovo film di Clint Eastwood è un biopic su questo personaggio, interpretato da Leonardo Di Caprio, e si intitola semplicemente “J. Edgar”.
Ad affiancare Di Caprio un cast veramente soddisfacente, a partire da Naomi Watts – che purtroppo non abbiamo avuto il piacere di vedere molto sul grande schermo, nell’ultimo paio d’anni – per passare ad Armie Hammer, “i gemelli” di The Social Network, nuova scoperta di Fincher che per Eastwood ha fatto veramente un lavoro notevole. La direzione degli attori è uno dei tanti fiori all’occhiello di nonno Eastwood, e quindi anche l’ultima delle comparse appare come il migliore degli attori, ma oltre allo stupendo trio di cui sopra, che funziona come il più perfetto dei meccanismi, non si può non citare l’immensa Judi Dench, nella parte della madre di Hoover.

J. Edgar è il biopic perfetto. Se mai voleste fare una biografia di qualcuno, con qualsiasi media, andate al cinema con un bloc notes e una penna, perché la sceneggiatura è dell’astro nascente Dustin Lance Black, premio Oscar 2009 per la miglior sceneggiatura originale con “Milk”. La struttura narrativa è esattamente quella che deve essere: Black ed Eastwood ci raccontano la storia del personaggio fin dall’inizio della sua carriera, mostrandoci la nascita di quello che io paragono a un Batman della vita reale… Un uomo ciecamente ligio a ferrei principi morali, estremamente pignolo e rigido, determinato oltre ogni limite a ottenere il suo scopo. E contemporaneamente, mosso probabilmente da un qualche tipo di squilibrio mentale. La differenza che passa tra Batman e Joker è lo schieramento. Direi che è stato un enorme bene che un uomo come J. Edgar Hoover avesse come scopo la protezione dei cittadini e il superamento in mezzi, abilità e astuzia dei criminali.

Hoover e TolsonSceneggiatore e regista ci raccontano tutto questo addentrandosi senza paura nei risvolti psicologici più profondi del personaggio, non solo snocciolandoci la pur interessante cronologia dei fatti. Il rapporto morboso con la madre, l’insicurezza con le donne, il rapporto con il potere e chi lo esercitava, l’omosessualità latente… Forse su questo punto abbiamo gli unici eccessi di una scrittura altrimenti perfettamente distribuita. Mentre non abbiamo dati obiettivi sulle preferenze sessuali di Hoover, Black romanza invece un battibecco tra checche (passatemi il termine, credo che renda l’idea) che sinceramente ho trovato un po’ stonato nel complesso del film. Validissimo e plausibilissimo invece come tratta il resto del rapporto tra Hoover e Clyde Tolson, un’amicizia solenne e fraterna, che sfocia tranquillamente ma non ambiguamente nell’amore reciproco.

Non c’è nulla di particolare da segnalare riguardo al resto… Parliamo di Clint Eastwood, ogni reparto raggiunge standard altissimi: il makeup degli artisti invecchiati è stupefacente; la ricreazione scenografica e stilistica del periodo storico è ottima; la colonna sonora assolutamente non invasiva, anzi forse anche troppo; il montaggio brillante, con delle idee davvero geniali sui raccordi ai flashback. Come sempre, Eastwood dirige la sua troupe riuscendo a permeare ogni singolo fotogramma e al contempo facendo dimenticare allo spettatore che sta vedendo un film. Pura maestria, insomma.

Hoover e DiCaprioIl film rimane comunque un biopic, con tutto ciò che ne consegue: per quanto ben scritto, potreste trovare parti più noiose di altre, ad esempio, e la lunghezza non aiuta (137 minuti). Se insomma non siete minimamente interessati al personaggi di Hoover e/o al periodo storico, potreste considerare di aspettarlo in dvd o sul satellite. Certo che non se non si finanziano i film belli…

Per quelli che al contrario, come me, sono innamorati degli anni ’30 – ’40 e da personaggi come J. Edgar Hoover, vi consiglio una playlist per approfondire lo zeitgeist di quel periodo. Da vedere in quest’ordine:

– “Nemico Pubblico“, di Michael Mann, 2009. Con Johnny Depp nella parte di John Dillinger.

– “J. Edgar“, di Clint Eastwood, 2011. DiCaprio nella parte di J. Edgar Hoover.

– “Tutti gli uomini del presidente“, di Alan Pakula, 1976. Sullo scandalo Watergate, con Robert Redford e Dustin Hoffman.

– “Frost/Nixon“, di Ron Howard, 2008. La storia della famosa intervista rivelatoria a Richard Nixon (Frank Langella).

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Religione e fanatismo, tra Jovanotti e Facebook

La morte dell’operaio ventenne che lavorava all’allestimento del palco per il concerto di Jovanotti a Trieste ha, giustamente, colpito l’opinione pubblica. Ai commenti sull’assurdità delle troppe morti sul lavoro in Italia se ne è aggiunto uno che merita una riflessione, non tanto sulla sua stupidità quanto sulla mentalità e le idee che lo hanno generato. Il commento in questione, che ha fatto esso stesso notizia, è quello apparso sull’editoriale firmato da Bruno Volpe sul sito Pontifex, noto per le sue posizioni ultracattoliche.

Tanto per inquadrare il soggetto, stiamo parlando della stessa persona che ha denunciato Maurizio Crozza per la sua imitazione di Benedetto XVI. Il signor Volpe scrive: “Dio non manda certamente il male che non vuole. Dio non chiede sofferenze agli umani, ma si ribella e acconsente acché Satana ci metta alla prova. Una specie di “catechismo del male“, giusto percorso spirituale, che ogni uomo deve affrontare al fine di santificare la propria vita, mediante fortezza e virtù. Una positiva conseguenza del crollo è stata la sospensione del concerto di questo menestrello del vietato vietare, del tutto è permesso, della vita sregolata e dell’incitamento ad ogni scompostezza esistenziale. Da questo e solo da questo punto di vista, esiste una giustizia divina che si oppone alla volgarità ed al libertinaggio senza censura, anzi, avallato da nomi noti che, così facendo, si fanno portatori di voce del Maligno”.
La “volgarità” e il “libertinaggio senza censura” coincidono con l’invito ai giovani all’uso del preservativo da parte di Jovanotti e Fiorello nel corso della trasmissione televisiva di quest’ultimo. Ovviamente, il signor Volpe non le manda a dire anche nei confronti dello showman, reo di aver difeso Jovanotti nella vicenda della morte dell’operaio, e per questo “accusato” (per queste persone certi comportamenti sono colpevoli) di essere gay o bisessuale.

La reazione istintiva alla lettura delle parole di Volpe sarebbe una scrollata di spalle seguita dalla recita di un Salve Regina per la sua povera anima tormentata, se non saltassero alla mente alcuni collegamenti con altre vicende italiane legate tra loro da un comune modo di interpretare il sentimento religioso. In realtà sarebbe forse meglio parlare di fanatismo religioso. Interessante è la riflessione di Lidia Ravera su Il Fatto Quotidiano a proposito della ragazza di Torino che ha inventato il falso stupro da parte dei rom per giustificare con la madre la perdita della verginità in seguito a un normale rapporto sessuale con il suo ragazzo. È più dignitoso inscenare uno stupro che confessare (come se la cosa non appartenesse alla sfera privata) di aver tranquillamente e felicemente fatto l’amore. La stessa ragazza, in un’intervista, afferma: “In famiglia siamo tutti d´accordo che certe cose non vanno bene. […] Andiamo in chiesa, siamo credenti, mi piace che in casa ci siano queste immagini (indica un quadro in cucina con il volto di Gesù). Ma non sono bigotta, sono una ragazza come tutte le altre, mi piace la musica e mi piace Facebook, e uscire con le amiche e guardare le vetrine in centro”. Non è bigotta perché ascolta la musica, usa Facebook e guarda le vetrine. Non fa una piega. Chiaramente la forma mentis di questa ragazza è la conseguenza dell’educazione che ha ricevuto in famiglia. In realtà è il concetto stesso di fanatismo a essere equivocato. Il fatto che la verginità sia vista come un valore fa il paio con la lotta senza quartiere a qualsiasi difformità dalla “sana” eterosessualità, alla contraccezione, all’educazione sessuale. Non è un caso se ancora qualcuno tenta di rimettere in discussione l’aborto e se il crocifisso nei luoghi pubblici per alcuni è un totem imprescindibile. Tristemente ironica è la constatazione che gli stessi individui protagonisti di queste battaglie sono quelli che si scagliano senza esitazioni all’attacco dei fondamentalismi e degli integralismi che affliggono altre religioni (con un occhio di riguardo verso l’islam) trascurando quelli altrettanto ingombranti presenti nel cristianesimo e nel cattolicesimo in particolare. L’uso del burqa, che a torto o a ragione viene considerato come uno strumento di sopraffazione della donna, è poi così diverso dalla strisciante costrizione all’astinenza sessuale prima del matrimonio? Demonizzare la sessualità dipingendone ogni espressione con i toni dell’immoralità non è forse una forzatura della libertà, anche quella di chi non si riconosce in una certa visione del mondo? Quali sono le condizioni socio-culturali che portano una parlamentare a dichiarare pubblicamente di indossare il cilicio? E soprattutto, in tutto ciò, qual è la responsabilità della Chiesa cattolica? Vero è che il modo di vivere la religiosità è proprio di ogni individuo, tuttavia le persone che si riconoscono in una determinata mentalità non fanno altro che conformarsi più o meno strettamente a una condotta pratica e morale stabilita dall’alto, più che dall’Altissimo. Non sarà stata la CEI a dettare l’editoriale del signor Volpe, ma è Benedetto XVI che nel suo libro, pur faticosamente ammettendo che “vi possono essere singoli casi giustificati” per l’utilizzo del profilattico, si affretta a precisare come “questo non è il modo vero e proprio per vincere l’infezione dell’HIV“, di fatto dettando la linea ai missionari che operano fra le popolazioni decimate dall’AIDS. Ironia della sorte, il capo dell’istituzione che da secoli tenta di controllare le masse anche attraverso la strumentalizzazione del naturale istinto alla sessualità, scrive che “è veramente necessaria una umanizzazione della sessualità”. La rozzezza con cui viene calpestata la natura umana in nome di un’ispirazione divina stride con l’attenzione dedicata alle questioni terrene legate allo sterco del demonio.

Una religiosità malata non compromette “solo” la laicità dello Stato, tutt’ora irrealizzata in Italia, ma il grado di civiltà della popolazione. Se, come cantava Samuele Bersani, “le previsioni meteo sono prese pari pari dalla Bibbia”, contare gli anni ogni 31 dicembre serve a poco.