Su anobii tutti si chiedono cosa stia succedendo a Stefano Benni.
Interrotta la storica collaborazione con Feltrinelli (temporaneamente, pare), Benni passa da Milano a Palermo e contemporaneamente dalle stelle alle stalle. Sì, esatto.
Undici euro per un libretto di cento pagine in corpo sedici, e sono soldi che qualsiasi fan del Lupo avrebbe sborsato volentieri… Se fossero state pagine contenenti qualcosa.
Invece Benni sembra affondare inesorabilmente in quella deriva artistoide-metasatirica-melatonostalgica che si era già annusata nell’ultimo paio di romanzi, incapace di risalire a galla con idee nuove.
Ne “La traccia dell’angelo” tutte le armi di Benni gli si ritorcono contro; ciò che era il suo cavallo di battaglia – la prosa “di pancia”, sgrammaticata e poetica – si imbizzarrisce e lo disarciona; i suoi assi nella manica – la quantità smodata di personaggi squinternati – diventano due di picche; la sua originalità stilistica – un amore indiscusso per la fabula con una certa sufficienza verso l’intreccio – si trasforma in un impacciato scimmiottamento auto-referenziale; la sintesi si disperde e muta in incompletezza.
Voleva dire troppo, Benni? O forse non ha davvero più nulla da dire? Quando un autore è costretto a raccogliere con la punta delle unghie stralci autobiografici dal fondo del barile della sua creatività, è buono o cattivo segno?
C’è di tutto e di più, in questo costoso libretto: sofferenza, malattia, morte, angeli, demoni, dottori, complotti, satira… Eppure niente di tutto questo, perché i personaggi e i concetti vengono derubati del tempo necessario a dispiegarsi. È un continuo rimandare il punto del discorso, finché non si arriva alla fine, in poche ore di lettura, e ci si accorge che non c’è nessun punto, forse anche nessun discorso, e che il racconto non ci ha lasciato nulla, nonostante il solito finale Benniano dolce-amaro, che però stavolta è forzato e vuoto: si percepisce chiaramente la commozione dell’autore, ma è un’emozione che rimane sulla carta – parola morta – senza raggiungere il lettore. Come ha intelligentemente commentato un lettore su anobii: sembrano appunti per un romanzo, non un romanzo vero e proprio.
Negli anni sono stato mio malgrado costretto a rivedere e rivalutare tanti miei punti di riferimento. Con la morte nel cuore devo necessariamente consigliare di lasciare “La traccia dell’angelo” di Stefano Benni sulla mensola della libreria, o al massimo di andare alla FNAC e leggerlo nell’area relax.
Come questo libro, anche questa recensione è breve e incompl
[…] plagio del revisore di Camminando Scalzi. Sì lo so, vi dò solo roba di seconda mano, ma letti qui sono più […]
Sinceramente ho sempre pensato che un libro sia bello quando, pagina dopo pagina, ti viene voglia di continuare a leggerlo per sapere come va a finire. E Benni non ha mai deluso questa mia aspettativa, nemmeno con questo suo ultimo striminzito librettino… Certo non è il Benni di “Terra!” o di “Achille piè veloce”, e su questo concordo con te sulle riflessioni stilistiche, ma è comunque un libro che consiglio di leggere a coloro che amano questo grande scrittore… Credo che in queste pagine ci sia un qualcosa di personale, un tormento interiore che lo scrittore vuole trasmettere al suo lettore, lasciandolo, come sempre, fra spunti di riflessione e punti interrogativi…
Sì, è così, la mia critica riguarda la forma. Non credo sia riuscito nel suo intento, tutto qui. E sono d’accordo anche sul tuo modo di giudicare un bel libro, solo che in questo caso non avevo assolutamente nessuna voglia né motivo per continuare a leggere. L’ho fatto obbligandomi per rispetto verso l’autore e per vedere dove voleva andare a parare.
Bravo! 🙂
Grazie .__.