Musica Concentrazionaria

Da anni il Maestro Lotoro impiega tempo, lavoro, dedizione e denaro per una causa nobile e ambiziosa: dare vita a tutta quella musica che è stata scritta, cantata, suonata e persa durante i cruenti e importanti anni della seconda guerra mondiale. Finalmente si vede un primo e importante traguardo, ovvero la pubblicazione dell’Enciclopedia concentrazionaria.
Abbiamo fatto qualche domanda al Maestro e vi voglio proporre le sue interessanti risposte.

Siamo in compagnia del Maestro Lotoro. Vuole farci una sua breve biografia artistica?
Pianista, sono nato a Barletta nel 1964 e ho studiato a Budapest con Kornel Zempleni, Viktor Merzhanov, Tamas Vasary e a Parigi con Aldo Ciccolini. Ho ricostruito e registrato ben 2 volte il Weihnachtsoratorium di Friedrich Nietzsche mentre, a 30 anni dall’occupazione della Cecoslovacchia (1968–1998) ho eseguito e registrato tutte le opere pianistiche scritte da Alois Pinos, Petr Pokorny, Petr Eben e altri a seguito dei fatti che posero fine alla Primavera di Praga. Nel 1998 ho intrapreso le ricerche sulla musica scritta nei Lager (o musica concentrazionaria). Ho scritto l’opera in 2 atti Misha e i Lupi, la Suite ebraica Golà per cantore e orchestra e ho trascritto per 2 pianoforti la Musikalisches Opfer, la Deutsche Messe e i 14 Canoni BWV1087 di J.S. Bach. Insegno pianoforte presso il Conservatorio Umberto Giordano di Foggia.

È stata completata e pubblicata l’Enciclopedia concentrazionaria dopo ventidue anni di fatica e ricerca. Vuole parlarci del progetto?
Per musica concentrazionaria si intende l’intera produzione musicale creata dal 1933 al 1945 da ebrei, cristiani, Roma, Euskaldunak, sufi, quaccheri, geovisti, comunisti, omosessuali, prigionieri militari nei Campi civili o militari di prigionia, transito, lavori forzati, concentramento e sterminio aperti in Europa, Africa settentrionale e coloniale, Asia e Oceania da Terzo Reich, Italia, Giappone, Vichy e da Gran Bretagna, Francia e Unione Sovietica. L’Enciclopedia discografica della musica concentrazionaria KZ MUSIK in 24 CD–volumi e 1 libro è stata pubblicata lo scorso gennaio 2012 dalla Musikstrasse Roma e rappresenta un primo importante risultato di queste ricerche che hanno tenuto conto del lavoro musicologico compiuto sulla materia da Schmerke Kaczerginski, Joža Karas, Bret Werb, Guido Fackler, Elena Makarova, Aleksander Kulisiewicz (per citare i più importanti). Iniziai le registrazioni dell’Enciclopedia nel 2001 e le ho concluse nel 2011. Personalmente mi sono sobbarcato il compito di registrare la produzione pianistica e dirigere la mia Orchestra Musica Concentrazionaria nella produzione per medi organici orchestrali; la restante produzione è stata affidata a numerosi solisti, cantanti, al direttore d’orchestra Paolo Candido e al Consort Vocale Diapente di Roma.

Seguo da anni le sue “ricerche” e sono rimasto impressionato dalla quantità di materiale ritrovato e interpretato, vuole darci qualche numero?
Gli ultimi ventidue anni della mia vita li ho spesi tra memoriali, musei, archivi, biblioteche, antiquariati librari, fondi musicali, collezioni private, depositi di microfilms e audiotapes in Austria, Belgio, Croazia, Danimarca, Repubblica Ceca, Slovacchia, Francia, Italia, Israele, Germania, Paesi Bassi, Polonia, Russia, Svizzera e Ungheria per un totale (parlo di dati aggiornati al 2010) di 3945 spartiti, partiture e parti staccate pubblicate o inedite (inclusi frammenti musicali) e circa 13.000 documenti in lingua originale concernenti la produzione musicale nei Campi contenenti microfilms, diari di prigionia e quaderni musicali, testi letterari privi di musica o basati su accompagnamento chitarristico, testi musicali dei Ghetti di Polonia, Lituania, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Bielorussia, materiale musicale della Resistenza partigiana in Europa, spartiti della produzione musicale post–concentrazionaria, Letteratura poetica (lirica e prosa scritta da scrittori, ragazzi, civili e militari nei Campi), visiva (disegni, acquarelli, carboncini, vignettistica), pubblicazioni universitarie e saggistica sulla musica concentrazionaria, registrazioni su audiocassetta e videocassette, venti DVD di interviste inedite a strumentisti e musicisti sopravvissuti.

Durante una nostra “chiacchierata” telefonica mi spiegò che musica concentrazionaria non è soltanto la musica dei deportati, ma anche dei militari e di chi ha vinto e di chi ha perso la seconda guerra mondiale. Mi parlava ad esempio di inni e canti di musicisti tedeschi, ecc… vuole ribadire il concetto?
Ritengo che debba chiamarsi musica concentrazionaria la produzione musicale creata in qualsiasi condizione di cattività o in condizioni estreme di privazione dei diritti fondamentali dell’essere umano; la produzione musicale di ogni Campo è spia della provenienza sociale dei deportati, delle loro capacità creative nonché della possibilità di utilizzare o meno gli strumenti musicali, eseguire le proprie opere. Concentrazionaria è la musica degli afroamericani durante il periodo storico del lavoro coatto nelle piantagioni (il blues, dal quale discendono filoni musicali come il jazz e il gospel dei “bianchi” d’America è a tutti gli effetti musica concentrazionaria) come pure rientrano in tale letteratura le canzoni napoletane dei soldati italiani prigionieri in Austria durante la Prima Guerra Mondiale fino ai Canti dei Gulag sovietici e al canto di Victor Jara scritto nello stadio di Santiago del Cile prima delle fucilazioni nei giorni del golpe di Pinochet. Alcuni anni fa, figli di ufficiali tedeschi della Wermacht che scrissero opere musicali in Campi militari degli Alleati mi contattarono per chiedermi se fosse stato possibile inserire nelle mie ricerche i lavori dei loro genitori. Ho riflettuto qualche attimo e ho deciso che avrei esteso le mie ricerche alla musica scritta sia dai militari tedeschi che da quelli italiani deportati nei Campi degli Alleati (avevo già inserito quella dei militari italiani nei Campi del Reich dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943). La loro musica ha grande valore artistico ed esige altrettanto rispetto intellettuale quanto la musica dei deportati nei Campi del Reich. Anche dinanzi a musica scritta da musicisti di altre culture e credo religiosi o persino dinanzi a musiche scritte da ufficiali tedeschi ritengo che questa musica debba essere recuperata, archiviata, suonata perché la musica è universale (probabilmente l’ultimo linguaggio universale che ci resta) e va eseguita a prescindere da biografia, pensiero e altri elementi correlati all’autore.

William Hilsley, Fantasia on a provencal Christmas carol (archive Renald Ruiter)

Passi importanti. Uno è stato sicuramente la presentazione alla Camera dei Deputati lo scorso 6 febbraio, poi è stata la volta di poi Phoenix e successivamente il primo master in letteratura concentrazionaria. Vuole approfondire?
Per quanto concerne Phoenix, è successo un fatto importante e insperato; a causa di seri problemi familiari, poche settimane fa ho dovuto mio malgrado rinunciare a recarmi a questa conferenza internazionale su Viktor Ullmann e Ervin Schulhoff (2 dei più grandi musicisti deceduti l’uno per gasazione ad Auschwitz e l’altro per tubercolosi a Wuelzburg) che si è tenuta il 4 e 5 marzo in Arizona. In tale occasione è stata non soltanto presentata l’Enciclopedia KZ MUSIK ma avrei tenuto una dissertazione sull’intera produzione musicale concentrazionaria. Ebbene, appreso del mio forfait, il carissimo amico Bret Werb dell’Holocaust Memorial Museum di Washington D.C. (nonché tra i pionieri della ricerca musicale nei Lager) mi ha in pochi giorni contattato e chiesto se avesse potuto leggere lui stesso la mia dissertazione e parlare delle mie ricerche in Arizona. È questo un gesto di stima e solidarietà alquanto raro tra colleghi e che allo stesso tempo mi ha fornito la cifra della forte considerazione che negli USA e altrove gode questa mia ricerca; dubito che ciò sarebbe successo in Italia. Confermo che a breve partirà il primo Master di musica concentrazionaria presso il Conservatorio Umberto Giordano di Foggia. L’anno scorso ho tenuto presso il medesimo Conservatorio un Seminario sulla materia e il successo ottenuto mi ha convinto che sia arrivato il momento di alzare il livello didattico della materia estendendolo a un intero Master di 24 ore (spalmate in lezioni di 2 – 3 ore cadauna). È un importante punto di arrivo perché raggiunge lo scopo di portare questa musica nei luoghi a essa deputati; i Conservatorii di musica. Questo è, deve essere il futuro di questa musica; essere insegnata, illustrata, suonata dalle giovani generazioni di musicisti.

Rudolf Karel nell'infermeria della Kleine Festung di Theresienstadt, disegno di Antonin Bares

Le sue ricerche ed i suoi studi continuano. Cosa vede nel suo futuro e come tutti possiamo dare una mano al suo ambizioso progetto?    I ventiquattro CD–volumi dell’Enciclopedia KZ MUSIK sono un grande passo in avanti verso la pubblicazione integrale della produzione musicale dei Lager; spero che essi siano i primi di un lungo processo di registrazione dell’intera produzione musicale concentrazionaria.
Va da sé che ciò non è realizzabile con le sole risorse del sottoscritto; acquistare o fotografare partiture, manoscritti, quaderni musicali e materiale fonografico, affrontare numerosi viaggi, recuperare migliaia di opere e produrre un’Enciclopedia ha creato gravi indebitamenti economici personali. Ad eccezione della Regione Puglia, del rabbino Shalom Bahbout, di mia moglie Grazia Tiritiello e del Dr. Franco Bixio (l’editore della Musikstrasse) e di pochissimi benefattori nessuno ha mai aiutato e sostenuto queste ricerche; confesso di non aver mai lavorato negli ultimi venti anni con serenità su quello che ritengo uno dei più grandi e improrogabili sforzi storiografici, editoriali, artistici e musicali. Il lavoro mio e dei musicisti che hanno collaborato è ben lungi dall’essere esaurito; penso che spetti a questa generazione il compito di completare queste ricerche. Spero di dare corpo nei prossimi anni al progetto più ambizioso ossia la pubblicazione del Thesaurus Musicae Concentrationariae (Enciclopedia cartacea contenente partitura e analisi critica di opere musicali delle quali ho ottenuta licenza di pubblicazione; quest’anno sarà pubblicato il primo volume) e il trasferimento presso una sede idonea dell’Istituto di Letteratura musicale concentrazionaria (attualmente ubicato a Barletta).

Lei ha dato un grosso contributo a scoprire musiche che sarebbero sparite nel nulla. Ha voluto dare luce a un periodo tra i più neri che la storia ricordi. Qual è il messaggio “umano” che vuole dare attraverso questa enciclopedia?
La musica concentrazionaria è una delle più importanti eredità della Storia, un immane testamento del cuore che segna uno dei vertici del pensiero umano; la storiografia musicale del Novecento dovrà necessariamente essere riscritta e riconsiderata alla luce di questa voragine aperta dal recupero della musica dei Lager. Mi auguro che un giorno non si debba più parlare di musica concentrazionaria o scritta nei Lager bensì musica e basta; mediocre, buona, eccezionale come la musica che si scrive da sempre, essa non dovrà abbisognare di ulteriori elementi storici o dell’enorme veicolo storico della Seconda Guerra Mondiale o delle deportazioni civili e militari o della Shoah. Questa non è musica diversa, il fatto che essa venga definita concentrazionaria è utile unicamente a fini di ricerca, allo scopo di significarne l’origine intellettuale e geografica; il compositore crea a prescindere dal contesto umano e logistico dove si trova. Al di là della catastrofe umanitaria di giovani generazioni distrutte nei Lager, la Guerra ha strappato al genere umano una intelligentia musicale che oggi è difficile specificare e quantificare. Si pensi ai musicisti dello Studio für Neue Musik di Theresienstadt, vera e propria Darmstadt ante litteram dove si sperimentavano i più avanzati linguaggi musicali. Ecco, il linguaggio musicale sarebbe stato profondamente diverso o avrebbe percorso inedite strade se musicisti del calibro di Viktor Ullmann, Gideon Klein, Pavel Haas, Leo Smit, Nico Richter e centinaia di compositori, direttori d’orchestra, pianisti, violinisti fossero sopravvissuti. Archiviare, registrare, eseguire, promuovere la musica scritta nei Lager è uno dei più importanti traguardi della civiltà ma esso costituisce soltanto il primo traguardo; occorre che questa musica entri nei cartelloni concertistici e teatrali, adoperarsi affinché la musica concentrazionaria passi dalla eccezionalità della produzione musicale scritta in cattività alla normalità dell’esecuzione concertistica delle loro opere. Perché è ciò che gli Autori di questa musica avrebbero voluto; chi ha scritto queste opere non avrebbe desiderato altro che un giorno venissero eseguite accanto a quelle di Mozart, Beethoven, Mahler o in normali sessioni jazz o su un palcoscenico di varietà o in sinagoga o in chiesa. Per alcuni musicisti sopravvissuti come Marius Flothuis, Frantisek Domazlicki, Marcel Dautremer e altri, ciò è stato più agevole avendo essi ripreso brillantemente la propria carriera musicale. Per molti musicisti di Theresienstadt, è ormai una realtà la presenza di loro opere nei cartelloni concertistici e teatrali; per tanti altri Autori ciò resta un obiettivo lontano e dobbiamo fare tutto il possibile per colmare questo gap, agire senza indugio perché questa musica si riprenda decenni di vita interdetta; il resto verrà da sé.

Un ringraziamento e un grande plauso al Maestro Lotoro. La musica è un grande patrimonio, di qualsiasi genere sia; nelle parole del maestro troviamo questo senso, che a volte perdiamo tre le offerte commerciali della discografia moderna.

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Un pensiero su “Musica Concentrazionaria

  1. Pubblico questa recensione in questo spazio per dare continuità a questa affascinanate riscoperta di musica antica.

    Marco Cassuto Morselli
    I-Tal-Iah
    Risvegli nella rugiada divina

    Il titolo del nuovo CD dell’ensemble Davka rievoca il peculiare universo della tradizione musicale e liturgica degli Ebrei italiani, unendolo all’auspicio di un “risveglio”. Questi sono infatti gli intenti del nuovo album secondo Maurizio di Veroli, l’ispiratore del progetto: «La raccolta di 8 brani di ispirazione liturgica propone un risveglio culturale/cultuale per testimoniare un impegno spirituale nella evoluzione musicale che non è cambiamento o frattura ma rinnovamento nel solco della tradizione. Il testo della liturgia viene pienamente accolto senza tradire la melodia originale ma con arrangiamenti ispirati a sensibilità musicali e contesti esecutivi diversi».
    Come altri giovani cantori sinagogali e musicisti, anche Maurizio di Veroli intende colmare le distanze generazionali nella musica, scegliendo di accogliere le avanguardie contemporanee allo stesso modo in cui a loro tempo avevano fatto i compositori di musica ebraica in Italia nel Novecento, con repertori che oggi sono inseriti nel culto.
    La tradizione corale interpretativa nel Tempio Maggiore di Roma, ad esempio, si è più volte rinnovata. Con la sua inaugurazione, dall’inizio del XX secolo si creò un’unica liturgia anche corale che accolse e integrò le tradizioni liturgiche delle preesistenti Scole senza essere impermeabile a quanto di nuovo veniva via via proposto e composto in contesti musicali anche non ebraici.
    Nelle sinagoghe di rito italiano si esegue oggi un repertorio in parte ottocentesco e novecentesco, non esente da contaminazioni di origine diversa, talvolta con mera trasposizione di testi di poesia liturgica su brani di tradizione musicale di diversa provenienza che il coro esegue con opportuni adattamenti.
    Le partiture elaborate per questo CD includono percussioni, strumenti a corda e a fiato. Arrangiamenti e ritmi sono rinnovati, ma pur sempre riconoscibili. Ricerche condotte nell’Archivio storico della Comunità ebraica di Roma hanno consentito la selezione, all’interno di repertori consolidati, dei pezzi ritenuti più adatti a questa sperimentazione. Brani come Maskil Shir Yedidot; A-donai Mi Yagur, Yom ha- Shishi, Ve Ata Israel Avdì vengono proposti in una versione diversa rispetto a quella sinagogale romana solo per l’introduzione di strumenti diversi dall’usuale organo, ovvero voce, piano e clarinetto. In Veshameru, e Imloch Bachurim le percussioni, anche etniche, costituiscono il basso continuo della melodia. In Halleluja si è scelto di valorizzare i toni gioiosi del testo, alleggerendoli dalla solennità delle esecuzioni consuete.
    Un brano, composto dal Maestro Elio Piattelli, sia il Suo ricordo in benedizione, è dedicato a Stefano Gay Tachè, vittima dell’attentato dell’autunno 1982 al Tempio Maggiore di Roma: ancora un richiamo, ancora un risveglio ma, questa volta, sui temi dell’antisemitismo e del terrorismo. La partitura originale è stata rielaborata dal Progetto DAVKA accennando in esordio le note di Les feuilles mortes, canzone composta da J. Kosma per versi di J. Prevert.
    L’ensemble si avvale della collaborazione di Luana Mariani, come pianista e per la stesura degli arrangiamenti, del clarinettista Massimo Montagnolo per la parte jazzistica e del percussionista Tiziano Carfora che ha arricchito le esecuzioni con la sua conoscenza delle percussioni etniche

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