“Tutto ciò che sono” (Anna Funder) – Recensione

“Tutto ciò che sono” – di Anna Funder

Germania, gennaio 1933: la Storia – l’ascesa al potere di Adolf Hitler – e le vite di quattro giovani, Ruth, Dora, Ernst, Hans, si intrecciano nel romanzo di Anna Funder, una giornalista australiana. Il romanzo è stato pubblicato in inglese nel 2011 e tradotto in italiano nel 2012.

I personaggi sono realmente esistiti: si tratta di quattro giovani attivisti politici che tentarono di mettere in guardia il loro Paese e l’Europa intera sui pericoli derivanti dall’ascesa al potere del dittatore di Braunau. Le loro vicende sono state studiate e attentamente ricostruite dalla Funder sulla base di documenti e testimonianze, prima fra tutte quella dell’amica Ruth Blatt, fotografa e attivista che, dopo la fuga dalla Germania, si stabilì in Australia; gli elementi romanzeschi fungono da collante delle varie vicende, conferendo al testo una certa fluidità e godibilità.

I quattro vivono in Germania negli anni della Repubblica di Weimar: la disoccupazione alle stelle, l’inflazione, lo scontento e l’orgoglio ferito per la sconfitta subita nella I Guerra mondiale sono i caratteri più evidenti del contesto in cui Hitler muove i primi passi verso la dittatura. Sin dal conferimento dell’incarico di Cancelliere a Hitler vengono stilate delle liste, in cui figurano tutti gli oppositori politici del nascente regime e anche i semplici sospettati di esserlo. Alcuni vengono eliminati immediatamente, uccisi frettolosamente o semplicemente lasciati morire chiusi nelle cantine.

I quattro giovani, che con le loro pubblicazioni cercano in ogni modo di allertare il popolo tedesco sulla deriva antidemocratica a cui sta andando incontro il Paese, fuggono all’estero, in Inghilterra. Qui, da rifugiati, continuano le loro attività, consentendo di mettere in piedi un processo “alternativo” per l’incendio del Reichstag, per il quale riescono a far emergere le responsabilità dell’apparato nazista, in un’Europa che sembra ancora scettica rispetto ai reali pericoli derivanti dall’avanzata del partito nazionalsocialista in Germania. La morsa della paura si stringe attorno a loro, giungono notizie di altri rifugiati uccisi dai servizi segreti, sinistri segnali annunciano una catastrofe che sembra inevitabile. L’amicizia, l’amore, il coraggio: sono questi gli elementi fondamentali del racconto, affidato alle voci di Ruth e del drammaturgo Ernst Toller, aderente al partito socialdemocratico tedesco, il quale si rifugiò dapprima in Inghilterra e poi negli Stati Uniti, dove si suicidò nel maggio del 1939.

Anna Funder

La scelta di affidare il racconto a queste due voci mi è sembrata molto efficace: i due narratori riescono a tracciare i caratteri dei personaggi e del contesto storico dall’interno, sulla base del loro coinvolgimento diretto nella vicenda. Ruth è il personaggio meno “esposto”, funge soprattutto da osservatrice e ci restituisce un ritratto d’insieme che definirei appassionante: vivere per testimoniare, per denunciare, per gridare al mondo che qualcosa di terribile sta accadendo, mentre tutti marciano in senso opposto, affascinati dalla figura del Führer e già succubi della propaganda nazista. Le storie di questi giovani rifugiati, immerse nel grande flusso della Storia, sembrano diventare “necessarie” oggi, a distanza di ottant’anni, nell’era di Internet e del flusso costante di informazioni, quasi a ricordarci che la coscienza critica e la libertà intellettuale sono elementi da custodire e da coltivare sempre, in ogni situazione.

Tra i quattro protagonisti spicca senza dubbio la figura di Dora Fabian, finora poco conosciuta, ma che grazie a questo romanzo emerge finalmente dall’oblio. La sua vicenda mi ha colpito molto, e credo anche che ogni lettore rimarrà affascinato dalla vitalità, dal coraggio, dalla fermezza, dalla libertà intellettuale di Dora.

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