Quella notte la morte aveva una divisa blu: storia di Federico Aldrovandi

“Chi non conosce la Verità è uno sciocco, ma chi conoscendola, la chiama bugia, è un delinquente.”

B. Brecht

Da quando sono incappata, per puro caso, nella vicenda di Federico Aldrovandi la mia vita non è stata più la stessa. Frase retorica, in quanto la mia vita ha continuato a scorrere con gli stessi ritmi di sempre, ma con pensieri e rivolgimenti alla sua storia che non mi hanno permesso di essere più la stessa. Ciò è attribuibile a più fattori individuabili, quali la sua morte, la vicenda giudiziaria infinita e costellata di buchi neri, il coinvolgimento delle forze di polizia, fatti oggettivi che lascerebbero perplesso chiunque dotato di un minimo di senno e di buon senso. Che vita avrebbe potuto condurre ora Federico, a venticinque anni, non ci è dato di saperlo, perché a lui non è stato concesso di vivere, ma a noi sì, ed è quindi un dovere conoscere la sua storia e quantomeno riflettere su di essa.

Questa la premessa necessaria, nel racconto di una vicenda che provoca in me una passione e un’intensità pari forse solo a quella per le vicende del G8 della scuola Diaz, e che mi portano a parlare di un ragazzo ammazzato, che risulta a me caro senza aver avuto mai il piacere di poterlo conoscere.

Riscostruiamo i fatti. Il 25 settembre 2005 Federico Aldrovandi, dopo una notte passata con amici, si trova in viale Ippodromo a Ferrara. Le ricostruzioni riportano l’arrivo della volante “Alfa 3” con a bordo Enzo Pontani e Luca Pollastri, i quali descrivono Federico come “un invasato violento in evidente stato di agitazione”, come riportato durante il processo, a cui segue il rinforzo della volante “Alfa 2” con a bordo Paolo Forlani e Monica Segatto. Lo scontro tra i quattro poliziotti e il ragazzo risulta violentissimo, ne sono testimonianza due manganelli spezzati e le innumerevoli ecchimosi  che verranno individuate successivamente.

Alle ore 6.04 le pattuglie richiedono l’invio dell’ambulanza, a causa di un sopraggiunto malore. Federico infatti è stato ammanettato ed è immobile, sembra svenuto. Dopo numerosi tentativi di rianimazione, la morte verrà indicata per arresto cardio-respiratorio e trauma cranico-facciale.

La famiglia intanto? La tensione aumenta perché Federico non torna ancora a casa, le telefonate si succedono ma senza risposta. Pura casualità vuole che Nicola Solito, ispettore della DIGOS e amico della famiglia Aldrovandi, venga chiamato sul posto, e riconoscendo il figlio degli amici provveda ad avvisare la famiglia ancora ignara di tutto.

I sospetti della famiglia, sempre secondo la ricostruzione durante il processo, cominciano a sorgere dal riconoscimento del cadavere da parte dello zio di Federico, infermiere, che riscontra evidenti lesioni ed ecchimosi (sembra più di 54), evidentemente frutto di tutto fuorché di un malore accidentale.

A causa delle indagini lente e lacunose e della scarsa attenzione rivolta al caso, il 2 gennaio 2006 la famiglia di Federico apre un blog (federicoaldrovandi.blog.kataweb.it), chiedendo che venga fatta finalmente luce su questo triste caso.

Il 20 febbraio 2006 viene depositata la perizia disposta dal Pubblico Ministero, secondo cui “la morte risiede in una insufficienza miocardica contrattile acuta […] conseguente all’assunzione di eroina, ketamina e alcol”. Altra voce quella del medico legale dei periti della famiglia, il quale dall’esame autoptico parla di “anossia posturale” causata dal caricamento sulla schiena di uno o più poliziotti.

In realtà, l’assunzione delle sostanze sovra citate non erano in grado di causare alcun tipo di arresto respiratorio, l’alcol era addirittura al di sotto dei limiti fissati dal codice della strada, la ketamina inferiore alla dose letale, l’eroina era presente in minima quantità.

Il 6 aprile 2006 giunge l’avviso di garanzia ai quattro agenti, iscritti nel registro degli indagati per omicidio colposo. Una svolta nelle indagini arriva grazie ad Annie Marie Tsagueu, camerunense e residente in via Ippodromo, l’unica a riferire di aver visto due agenti picchiare il ragazzo e manganellarlo, oltre che grida di aiuto e conati di vomito.

Molte le incoerenze all’interno del caso, quali l’assenza del PM per un sopralluogo sulla scena del decesso, il mancato sequestro dei manganelli, il ritardo della consegna del nastro con la comunicazione fra il 113 e la pattuglia, tutti elementi che porteranno all’apertura di un’inchiesta da parte della Procura di Ferrara per falso, omissione e mancata trasmissione di atti.

Molte le perizie, le testimonianze, i riscontri su cui si è dibattuto in aula, in una lotta senza esclusione di colpi. Il 6 luglio 2009 arriva la sentenza, nella quale il giudice Francesco Maria Caruso del tribunale di Ferrara condanna per omicidio colposo a tre anni e sei mesi di reclusione i quattro poliziotti indagati, riconoscendo l’eccesso colposo nell’uso legittimo di armi. Grazie alla legge dell’indulto, i quattro condannati non sconteranno mai la pena. Il 21 giugno 2012, la Corte di Cassazione conferma la condanna.

In seguito alla sentenza, come ciliegina sulla torta Paolo Forlani consegna alla bacheca di Facebook riflessioni auliche rispetto alla madre di Federico: “Che faccia da c… aveva sul tg, una falsa e ipocrita, spero che i soldi che ha avuto ingiustamente (2 milioni di euro, risarciti dal ministero degli interni alla famiglia Aldrovandi, ndA)  possa non goderseli come vorrebbe, adesso non sto più zitto dico quello che penso e scarico la rabbia di sette anni di ingiustizie.”

La famiglia di Federico continua a lottare affinché gli agenti condannati vengano dismessi dai loro posti di lavoro (ci sembrerebbe un’ipotesi ovvia e invece purtroppo non lo è). Chi compie atti di tale violenza, ferocia, senza alcun senso della vergogna, del rispetto e meno che mai del senso di colpa, non può indossare una divisa. Il 25 settembre è capitato a Federico, domani potrebbe capitare a me, domani l’altro ai nostri figli, compagni e persone che amiamo; il controllore purtroppo non lo controlla quasi mai nessuno.

Questa comunque è una parte della storia di Federico Aldovrandi, la parte che racconta della sua morte e dell’iter giudiziario che la famiglia ha dovuto intraprendere per scoprire la verità e cercare la giustizia.

L’altra parte, per fortuna, non ci apparterrà mai, ed è quella legata ai ricordi di un bambino bellissimo, divenuto un giovane uomo, dei natali passati in famiglia, delle feste, delle serate passate con gli amici, dei progetti di una vita, dei sogni e delle tante speranze coltivate, speranze di giustizia che la famiglia di Federico continua a portare avanti con forza instancabile, forse la forza di chi aveva ancora tanto, troppo amore da dare.

Una carezza, Federico, una carezza e un pensiero a ogni figlio, a ogni genitore, con la speranza che la vita riservi loro il meglio, ma soprattutto tanto amore, insieme.
Lino Aldrovandi

[stextbox id=”info” caption=”Vuoi collaborare con Camminando Scalzi.it ?” bcolor=”4682b4″ bgcolor=”9fdaf8″ cbgcolor=”2f587a”]Vuoi scrivere anche tu per Camminando Scalzi? Vuoi gestire una rubrica sulla tua tematica preferita?
Collaborare con la blogzine è facile. Inviateci i vostri articoli seguendo le istruzioni che trovate qui. Siamo interessati alle vostre idee, alle vostre opinioni, alla vostra visione del mondo. Sentitevi liberi di scrivere di qualsiasi tematica vogliate: attualità, cronaca, sport, articoli ironici, spettacolo, musica… Vi aspettiamo numerosi![/stextbox]

Pubblicità

Un pensiero su “Quella notte la morte aveva una divisa blu: storia di Federico Aldrovandi

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...