A volte la storia gioca degli strani scherzi. A quanti genitori è capitato che i propri figli diventassero quello che non volevano? Senza addentrarci nel sociale ed attenendoci squisitamente all’ambito sportivo, ci riferiamo ad una “offesa” che a tanti papà capita di subire: il proprio figlio diventa tifoso della squadra sbagliata, magari i rivali di sempre. A qualcuno però va anche peggio. Il padre di Raul Gonzalez Blanco, calciatore che è riuscito ad ottenere numerosi riconoscimenti e a rendersi famoso col suo nome piuttosto che col cognome (meraviglia del balompié spagnolo), lo ha visto addirittura diventare la bandiera, il simbolo, il fulgido esempio della grandezza dei “nemici giurati”. Già, perchè tanto Raul quanto suo padre sono da sempre tifosissimi dei “colchoneros” (così chiamati da quando venne istituita la maglia biancorossa, perché divise del genere erano facilmente ricavabili dai fondi dei materassi, cosa questa che valse ai giocatori e ai tifosi della squadra il suddetto soprannome) e speravano di fare la storia del team della capitale. Raul infatti inizia la sua carriera ufficiale nelle giovanili dell’Atletico Madrid, firmando all’età di tredici anni per la squadra del cuore, dove da esterno di centrocampo segna 55 gol nella sua prima stagione e 65 nella seconda (di cui otto in una sola partita) vincendo sempre il campionato di categoria.
Poi però accade qualcosa: il presidente Jesùs Gil, a causa di gravi problemi economici, prende una decisione che segnerà la storia del club: sciogliere le squadre giovanili. Così, un ragazzo che ha segnato 146 gol in 67 partite ufficiali (si, avete letto bene) si ritrova appiedato. Qualcuno non si lascia sfuggire l’occasione d’oro e lo porta nella sua cantera: si tratta degli arcirivali del Real Madrid, i futuri “galacticos”. La classe non è acqua e Raul anche con la “camiseta blanca” segna una caterva di reti, scalando velocemente le filiali (juvenil B, juvenil C, Real Madrid C e Real Madrid B, quest’ultimo allenato da un giovane Rafa Benitez) e arrivando in prima squadra, con esordio il 29 ottobre 1994. Chissà cosa avrà pensato suo padre vedendolo giocare con la maglia dei rivali, con gli occhi di tutta la Spagna (e successivamente di tutto il mondo) puntati addosso. Cosa sia successo poi…beh…è veramente storia. Sei campionati, tre Champions League, due Coppe Intercontinentali (oggi Mondiale per club) e una Supercoppa europea, più svariate coppe nazionali (di cui una anche in Germania quando dopo diciassette anni passa allo Schalke 04 per battere il record di gol in Europa, riuscendoci).
I suoi record sono impressionanti, ma basta dire che è il giocatore che ha giocato più volte (e soprattutto ha segnato più volte) con la maglia di quelli che magari da piccolo considerava soltanto come “nemici”, seppur sportivi. Di casi del genere ce ne sono e ce ne saranno (si pensi ad esempio ad Abbiati, tifoso nerazzurro da giovane, o a Cassano, nerazzurro che ha vinto uno scudetto col Milan esultando dopo un gol nel derby sotto la Curva Sud, giusto per citarne un paio), ma come la prenderebbe un incallito tifoso della Fiorentina se suo figlio diventasse una bandiera juventina più di Del Piero? La bellezza dello sport è anche questo. Quindi se un giorno sarete presidenti di una squadra di calcio importante non fate come come Harry Herbert Frazee, che nel 1918 vendette “Babe” Ruth agli Yankees dando via alla “maledizione del bambino” (i Red Sox non vinsero un titolo per 86 anni, mentre gli Yankees festeggiavano con incredibile frequenza). Non fate nemmeno come Jesùs Gil, perchè altrimenti potreste spezzare il cuore a qualche papà.