Anna Karenina: si alza il sipario…

Quando venni a sapere dell’uscita di un nuovo film tratto dal romanzo di Lev Tolstoj “Anna Karenina”, uno dei miei libri preferiti, ne fui molto felice. D’altronde, dopo averne visto, da brava maniaca, diverse versioni (statunitense, russa, italiana) non potevo certo perdermi questo nuovo tentativo di portare sullo schermo uno dei romanzi più famosi della letteratura mondiale.

La storia narra di Anna Karenina, donna di spicco dell’alta società pietroburghese, sposata e con figlio, la cui vita viene stravolta dall’amore per un ufficiale, il conte Vronskij. Altre storie, poi, si intrecceranno attorno a questo filo conduttore narrativo.

Il regista Joe Wright apre il film in modo insolito: ci troviamo infatti sul palcoscenico di un teatro; vi sono fondali dipinti, cambi di scena che avvengono durante la recitazione degli attori, macchine da presa che ruotano in modo vorticoso. L’atmosfera è vivace, quasi da musical. Una vera festa per gli occhi in fatto di colori, costumi e luci (e infatti sono questi gli aspetti che hanno conquistato gli Oscar).

Ebbene, non sono contraria alle interpretazioni personali, tutt’altro, ma mi piace che siano motivate. Non capisco il perché di questo taglio teatrale, di questa finzione ostentata. Una scelta che non aggiunge nulla e che oltretutto non viene neanche portata fino in fondo: il film, infatti, perde pian piano il suo aspetto teatrale e diventa sempre più “realistico”, con visione di esterni e ambienti reali. Insomma, sembra quasi un esercizio di stile fine a sé stesso, un gioco che avrei visto più adatto all’ironia di un Oscar Wilde che a un Tolstoj.

A questo punto non resta che una seconda scialuppa di salvataggio: gli interpreti. Ma anche qui andiamo a fondo.

Partiamo dalla nostra Anna Karenina, ovvero Keira Knightley, che già abbiamo visto in “Orgoglio e pregiudizio”. La vediamo comparire per la prima volta nel vagone di un treno, seduta di fronte alla contessa Vronskaja, la madre del suo futuro amante. Non riesco a vedere in lei la donna matura, di mondo, la donna ammirata da tutta San Pietroburgo per il suo fascino e la sua intelligenza. Subito, come fantasmi del passato, mi tornano in mente Greta Garbo, Tatjana Samoljova e Lea Massari, con i loro volti non bellissimi ma magnetici (e più maturi di quello della Knightley), gli sguardi fugaci, le voci vibranti. Perché, diciamola tutta: la Knightley non è un’attrice capace di reggere un tale ruolo. Recita in modo impersonale e stucchevole. Non riesce a vivere le diverse sfaccettature del personaggio e non riesce a comunicarne l’essenza. Persino nella scena del suicidio, che di solito mi tiene con il fiato sospeso, la mancanza di empatia mi lascia indifferente. Aggiungiamo che se a una tale scena si dedica solo una manciata di secondi, senza che ci sia consentito di entrare nell’intimità dei pensieri vorticosi e lugubri della protagonista, non si possono chiedere miracoli a un’attrice.

Aaron Taylor-Johnson

Mi appello a Vronskij, l’amante che indurrà Anna all’adulterio. E mi appare un Aaron Taylor Johnson in versione ufficiale dandy, truccato come un putto riccioluto ma con baffi, sciupafemmine ed eccessivamente borioso e antipatico. Anche lui non riesce a dare volume al personaggio. Inoltre, nel film scompare il suo tentativo di suicidio, evento che nel libro riscatta la frivolezza del giovane ufficiale donandogli un nuovo spessore.  In generale, i due formano una coppia del cui amore sento di partecipare poco.

Quasi seguo con più attenzione le vicende dei personaggi secondari (ma non troppo) come Levin (Domhnall Gleeson). Da molti definito come l’alter ego di Tolstoj, rappresenta la parte riflessiva e filosofica del romanzo. E’ un uomo (non tanto un ragazzo come si vede nel film) alla ricerca della felicità e dell’amore dell’adorata Kitty. Levin è un

Domhnall Gleeson nella parte di Levin

personaggio molto interessante, con i suoi dubbi sull’esistenza, sulla vita, su Dio, e il suo entusiasmo politico che lo porta a desiderare la liberazione dei contadini. Peccato che nel film ci sia solo un riflesso di tutto questo. Il personaggio di suo fratello, Sergej, prossimo alla morte e interlocutore essenziale per quanto riguarda le ansie di Levin, non viene sviluppato, e chi non ha letto il libro potrebbe non comprenderne la presenza. Forse, a questo punto, sarebbe stato meglio non farlo comparire del tutto.

Si salva Jude Law nella parte di Karenin, il marito tradito. Composto, direi anche eccessivamente paziente e corretto. Tutto sommato una brava persona e di certo meno pedante di quanto non sia nel libro. Quasi non si capisce perché Anna lo tradisca con quel bell’imbusto di Vronskij.

La causa di tutto questo? Credo sia il fraintendimento del libro in sé. E qui affonda anche la terza scialuppa. Perché gli autori hanno raschiato il romanzo solo in superficie, presentando “Anna Karenina” come se fosse semplicemente la storia di un amore che lotta contro le convenzioni sociali e ne viene sconfitto.

Io, leggendo il libro, ho avuto un’impressione diversa. Anzitutto, non mi è parso che Tolstoj provasse empatia per la Karenina. Anzi, ne descrive i sentimenti in modo quasi clinico e, in qualche modo, non è detto che parteggi per lei. Non mi è parso neanche che il punto di Tolstoj fosse quello di mostrare l’ipocrisia della società di fronte alla verità di un amore. Siamo invece di fronte a due scenari ben precisi: uno è dato dall’amore fra Anna e Vronskij, una relazione basata sulla passione, sui sensi, sull’egoismo, sulla gelosia, sull’auto-annullamento. Un amore al di fuori del quale per i due non esiste più nulla, e che rappresenta l’unica strada verso la loro realizzazione. E poi abbiamo l’amore di Levin e Kitty, non meno intenso ma più teso alla costruzione, temprato dalla crisi e dalla solitudine iniziali, durante le quali i due protagonisti trovano lo spazio di una crescita. Un amore che è specchio di una felicità non esclusiva, ma capace di abbracciare tutto l’esistente. Il romanzo ci parla, tutto sommato, della ricerca della felicità, e delle strade che tentiamo di percorrere per raggiungerla.

Mi è sembrato, insomma, che il film non abbia fatto altro che sfiorare la superficie di queste profonde acque, semplicemente perché gli autori hanno visto il tutto nel solito modo sempliciotto, presentando la storia di Tolstoj come un qualsiasi romanzetto d’amore moderno.

La mia conclusione? Se incontrassi il regista gli direi: “Se hai paura di fare “solo” l’ennesimo film su Anna Karenina, non lo fare affatto”.

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