Disoccupazione giovanile: un incubo il primo termine, una consolazione il secondo. Soprattutto se dentro quei dati pensi di essere contemplato pure tu – trentenne – e anche tu, quarantenne che ti illudi di essere ancora giovane e credi inutilmente di avere tutta la vita davanti. Già, perché in Italia a quarant’anni ti considerano ancora un ragazzo. Non i dati però. I numeri non mentono e la carta d’identità neanche.
Gli over 30 sono adulti, altro che giovani, e di loro non si occupa nessuno. Gli incentivi alle assunzioni degli under 29 ne sono una prova. Uno schiaffo a quella generazione che si trova in un’età decisiva per il futuro proprio e del proprio Paese. Quelli che dovrebbero comprare casa, automobili, fare figli, vacanze, far girare l’economia insomma. E soprattutto sono quelle persone che dovrebbero cominciare a raccogliere i frutti di anni di studio e di lavoro non pagati. Sono quelle persone che di qui a dieci anni dovrebbero poter prendere lo scettro della situazione in mano e con competenza e professionalità cambiare le cose, arginare i farabutti, i ladri di sogni, gli spreconi di denaro pubblico. Sono coloro che dovranno far qualcosa per la salute, l’istruzione, l’ambiente. Sono quelle persone a cui dicevano anni fa, a scuola, che erano il futuro e che dovevano impegnarsi. Oggi i trentenni non sono nessuno e probabilmente non avranno mai quello scettro. Solo chi ci crede ancora sta tentando con le unghie e con i denti di farsi largo tra la folla. Spesso facendosi male.
La disoccupazione giovanile, quella per cui tutti sono allarmati, è solo quella che comprende i ragazzi tra i 15 e i 24 anni. In questa fascia d’età molti decidono di proseguire gli studi. Chi non lo fa è in cerca di un’occupazione difficile da trovare – è vero – ma resta il fatto innegabile che gli adolescenti, così come i ventenni, hanno ancora una vita davanti per specializzarsi, analizzare il mercato del lavoro e l’offerta e regolarsi di conseguenza.
Il vero dramma è per gli over 30 che, formatisi ormai dieci anni fa, fanno fatica a collocarsi. Nessuno più li vuole e devono fare i conti con una concorrenza spietata sia di coetanei che di venticinquenni freschi di studi e più appetibili per le aziende, che li possono modellare a proprio piacimento. E pensare che ai trentenni, dieci anni fa, freschi di laurea, quando si affacciavano ai primi colloqui, veniva detto che non avevano esperienza, che erano troppo giovani e che dovevano cavarsela in altro modo. Per cui via la corsa agli stage, ai master, ai corsi di alta formazione, alle esperienze all’estero con l’idea poi di tornare più forti di prima. E invece… li hanno proprio fregati. Più deboli come non mai.
Ma qualcuno si chiede cosa provano questi “giovani” finora solo derisi, soprattutto da quelle istituzioni che dovrebbero dargli una mano? Li hanno chiamati bamboccioni, schizzinosi e sfigati. Gli hanno detto che gli stage obbligatori durante la frequenza dei master li avrebbero aiutati a trovare lavoro. Invece il vero dramma dei trentenni è che si ritrovano senza un euro, e psicologicamente a terra.
In Piemonte il tasso di disoccupazione degli adulti tra i 25 e i 34 anni è cresciuto dal 6% del 2004 al quasi 12% del 2012.
In Valle d’Aosta dal 4% al 7%. In Toscana dal 6% al 10%. Nelle Marche dal 6% al 13% . In Campania e Calabria dal 21% al 28%. In Sardegna dal 18% al 23%.
A questi dati allarmanti si aggiunge la disparità di sesso: il tasso di disoccupazione femminile è di gran lunga più alto di quella maschile. A trentanni le donne sono un potenziale pericolo per le aziende, perché “in età da figlio”, quindi i responsabili delle risorse umane se ne stanno bene alla larga, come se fare figli non sia un traguardo ma una malattia. Problema assolutamente inesistente nei paesi più moderni e civili del nord Europa.
In Veneto la disoccupazione femminile è all’11% contro il 6% di quella maschile. In Friuli il 14% contro il 5% maschile. In Umbria siamo al 16% contro il 10%, in Molise addirittura il 25% contro il 16%, in Puglia il 25% contro il 18%, in Sicilia e Calabria siamo a più del 30% contro il 24%.
I dati parlano chiaro: sono i trentenni a essere maggiormente in difficoltà, e le donne soprattutto, profondamente umiliate nella loro condizione di disoccupate, sottopagate, potenziali mamme. Gli individui tra i 35 e i 44 anni, molto più che adulti, per il mercato del lavoro sono ormai praticamente dei vecchi, “da buttare”.
In Lombardia il tasso di disoccupazione è aumentato dal 2.7% del 2004 al 6.2% del 2012. Più che raddoppiato. In Veneto si è passati dal 3% al 5%. Conseguenza terribile della chiusura di molte aziende. In tutte le regioni si registra un aumento, soprattutto nelle zone del mezzogiorno, dove quelle poche imprese esistenti hanno licenziato, aggiungendo disoccupati ai disoccupati.
Oltre agli adolescenti e ai ventenni, qualcuno si potrebbe occupare anche e soprattutto dei trentenni, dei quarantenni e dei cinquantenni? Il piatto piange per tutti, ma forse bisognerebbe urgentemente darsi delle priorità.
Fonte dati Istat
Le priorità dovrebbero includere quei 60-70enni che nella loro vita lavorativa non sono riusciti a portare a termine certi compiti, considerati “controcorrente” da inizio anni ’80 in poi.
Un’analisi degli ostacoli che hanno incontrato [e dei conseguenti errori delle politiche industriali e istituzionali responsabili di non aver cercato di superarli] si dovrebbero poter estrarre nuove opportunità di lavoro per i più giovani.
A modesto avviso di un nonno.
Abbiamo ancora bisogno dei nonni eccome!
Grazie.
E’ una vergogna italiana.
E’ un articolo interessante, che mette in luce una preoccupazione assolutamente condivisibile, urgente, e generalmente ignorata. All’oggi esiste uno scalino contributivo che rende un trentenne costoso alle aziende, perchè costa il 30% in più rispetto ad un giovane fino a 29 anni. Per cui, a meno che non si tratti di una persona molto specializzata o con molta esperienza nella stessa mansione, il trentenne non è appetibile per un’azienda, che spesso preferisce assumere un under-29 per usufruire degli sgravi fiscali concessi dallo stato. I trentenni hanno diritto di lavorare, di mettere in pratica le competenze acquisite e di contribuire con le loro capacità e con la loro formazione allo sviluppo dell’economia del paese. Non possono essere discriminati e non possono essere considerati come chi ‘resta fuori’ dalle fasce incentivabili. I giovani-adulti, i trentenni, non sono categorie protette ma una risorsa per il paese.
E’ importante parlare di questa questione e ti ringrazio per aver scritto questo post. Colgo l’occasione per segnalare la pagina Facebook Progetto30compiuti in cui si parla di questi temi, e del blog http://www.progetto30compiuti.wordpress.com in cui si raccontano le storie del trentenni discriminati nell’accesso al lavoro e di come questa discriminazione avvenga in pratica. Grazie di nuovo
https://www.facebook.com/pages/Progetto30compiuti/620916234615880?ref=hl
Grazie per seguirci!!