INFORMAZIONE IMPORTANTE

Camminando Scalzi è stata una bellissima esperienza, ormai conclusasi, di giornalismo partecipativo nato dal basso. Questo blog è una sorta di archivio di tutti gli articoli pubblicati fino a che siamo stati attivi. Il sito non è più aggiornato, quindi considerate questo blog come un “viaggio nei ricordi” di un progetto pieno di entusiasmo e di voglia di fare.

N.B. Purtroppo non ci è stato possibile recuperare tutti gli autori dei post (sono passati troppi anni) e la funzione di importazione di WordPress necessità di un autore per articolo, quindi molti di questi saranno a firma “camminandoscalzistaff”. Ahinoi è una cosa abbastanza complessa da sistemare, non abbiamo trovato una soluzione migliore. Se sei l’autore di uno di questi articoli contattaci e provvederemo a sistemare la cosa.

 

So long, and thanks for all the fish.

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La repubblica del Medioevo

Nel Paese in cui si vuol fare un’interrogazione parlamentare dopo una partita di calcio, dove il governo continua a fare i propri comodi per rilanciare l’Italia, dilaniando ulteriormente il mondo del lavoro, assistiamo all’ennesimo spiacevole salto nel passato.

Le cosiddette “sentinelle in piedi”, un gruppo di ultracattolici anti-gay, manifesta in silenzio – tra l’altro in un modo molto più funzionale e diretto di tante altre manifestazioni, perlomeno dal punto di vista mediatico – per protestare contro il cosiddetto “ddl Scalfarotto” che aggiunge a una legge già presente (http://it.wikipedia.org/wiki/Legge_Mancino) un inasprimento delle pene anche per i reati di omofobia, oltre che razziali, religiosi ecc. Sembra Medioevo, e invece è accaduto oggi, nel 2014. Mentre ogni anno si fanno infinite battaglie per i diritti degli omosessuali, per la famiglia di fatto e per cercare di riportare in qualche modo alla normalità una condizione che si è trasformata in “anormale” per questioni di bigottismo e conservatorismo spinto, un gruppo di persone si riunisce per protestare contro qualcuno che vuole che i colpevoli di reati omofobi siano puniti.

Continua a leggere…

Nessuno è perfetto

Finite le elezioni e consegnato all’Italia l’ennesimo risultato inconcludente (grazie Porcellum), è iniziato l’insostenibile balletto delle alleanze, delle strategie, delle tattiche per riuscire a creare un esecutivo che abbia una qualche parvenza di solidità.

Rispetto al solito, però, come ormai tutti sappiamo, è arrivato il terzo incomodo, il “Movimento 5 Stelle”, che ha preso il suo bel carico di voti (un quarto degli elettori), e si siederà finalmente in Parlamento. Glissando per un attimo sulle varie polemiche sollevate in questi giorni riguardo il vago programma – dove si dicono tante cose belle, ma non il “come” – e al tira e molla con il PD per decidere se appoggiare, in un modo o nell’altro, una coalizione “allargata”, lanciamoci a bomba sull’atteggiamento del M5S post-voto.

Dopo aver ottenuto un risultato assolutamente straordinario per un partito nato solo qualche anno fa, il M5S attraverso il suo “portavoce” Beppe Grillo (non è un leader, mi raccomando, è il PORTAVOCE) fa sapere all’Italia che non ci sarà nessuna alleanza, nessun “inciucio”, niente di niente. O si fa quello che dice lui -pardon il Movimento – oppure niet, non c’è modo di trovare un accordo. Sebbene lo sgangherato PD si sia quantomeno mosso nella direzione degli stellati, introducendo gli ormai famigerati otto punti, e invitando i ragazzi giovani/preparati/faccenuove/chipiùnehapiùnemetta a realizzare qualcosa che sia presente nel loro programma, il muro eretto dai Grillini pare assolutamente invalicabile.Continua a leggere…

Fermate la mattanza

Stanotte, a Napoli, è bruciata Città della Scienza. Trecentocinquantamila visitatori l’anno, museo interattivo, sede di mostre, eventi, dava lavoro a centosessanta persone. Edificata nell’area appartente all’ex-Italsider di Bagnoli, nata per riqualificare un’area nel napoletano martoriata da anni di industria pesante, inquinamento, sciacallaggio ambientale.

Città della Scienza era un simbolo, il simbolo di qualcosa di pulito, qualcosa che fosse lontano dalle logiche criminali che appestano questa città. Più di diecimila metri quadrati di capannoni adibiti a musei, laboratori interattivi, sedi di mostre e conferenze. Ne rimane in piedi soltanto il teatro.

Impossibile non vederci la mano criminale dietro questo atto, impossibile non pensare subito al dolo. Diversi punti di innesco dell’incendio, la scelta di farlo accadere di lunedì, quando il polo è chiuso. È un segnale che a qualcuno, evidentemente, desse fastidio. Napoli è una città difficile, lo si sente dire sempre; guerre di camorra che ormai non fanno più notizia, diventate ormai normalità, problemi di ordine pubblico, periferie presidiate dalle forze dell’ordine ventiquattr’ore su ventiquattro. E poi i problemi di rifiuti, una criminalità organizzata che si è insidiata talmente tanto nel fitto sistema sociale da esserne diventata parte fondante.

Rogo a Città della ScienzaMa Napoli non è solo questo; Napoli è una città che cerca sempre di reagire, di resistere, di andare avanti, anche di fronte all’ennesimo assassinio di un innocente, anche di fronte all’ennesima infinita guerra di camorra. E Città della Scienza era forse uno dei simboli di questa resistenza. Un qualcosa che desse speranza, una cosa “pulita”. Purtroppo, questa è la fine che fanno le cose “pulite”. Date alle fiamme, come un disastroso film hollywoodiano, per fare notizia, per mostrare a tutti cosa significa andare contro quei “qualcuno”, quelli che comandano, quelli che spariscono per un po’, ma poi compiono atti terribili per ricordare a tutti che ci sono ancora, che quei “qualcuno” sono lì. È il loro regno.

“Ricostruire, quanto prima.” Queste le prime dichiarazioni di queste ore da parte delle istituzioni (compreso il Presidente della Repubblica), mentre sui volti dei lavoratori rimane impressa quell’espressione di sgomento mista a tristezza. Tante le lacrime versate anche dai cittadini dell’area, e tante le lacrime versate da tutti i napoletani. Ci hanno tolto un simbolo di pulizia, ci hanno tolto una cosa buona, l’hanno data alle fiamme. Viene da rassegnarsi, da gettare la spugna.

httpv://youtu.be/NZwa4J5pI5g

Questa città ha bisogno di aiuto, di un aiuto concreto, ha bisogno di cambiare. Troppo spesso il cambiamento viene mascherato dalle grandi opere “pubblicitarie”, dai lungomari liberati, dalle piazze ripulite. Ma Napoli ha bisogno di una presenza istituzionale forte, ha bisogno di indagini insistenti e spietate contro le cosche, ancor di più di come già oggi le forze dell’ordine fanno. C’è tanto lavoro da fare, servono risorse, uomini. Ma soprattutto serve fiducia. Questa città ha bisogno di fiducia nel futuro, nella gente, nella possibilità di credere che un giorno possa diventare pulita. Ha bisogno di poter sperare che le sue cose “pulite” non vengano bruciate.

Non lasciate che Napoli diventi cenere. Fermate questa mattanza.

Listening 04: The Wall

Si riparte con Listening, la rubrica-guida all’ascolto che ci guida nella scoperta (o ri-scoperta) di artisti e band!

Questa volta parleremo però di un album, uno di quei dischi che hanno cambiato la storia della musica rock e hanno impresso le loro note marchiate a fuoco nelle menti e nelle orecchie di cinquant’anni di ascoltatori e fan.

Mettete su The Wall, volume a palla, e buona lettura!

Tutto nacque da uno sputo.

urlNel 1977 i Pink Floyd erano in tour per promuovere il loro album Animals, uscito proprio quell’anno. Durante una delle date in Canada, allo stadio Olimpico di Montreal, accadde l’episodio che probabilmente diede la spinta creativa a quello che poi sarebbe diventato l’ultimo disco (ci ritorneremo dopo) della band. Roger Waters aveva cominciato già da tempo a mal sopportare il rapporto con i propri fan, soprattutto durante i concerti, quando iniziò a rendersi conto della separazione che si stava creando tra la band e il suo pubblico. Orde di ragazzi impazziti che urlavano, ballavano, si dimenavano, quasi non ascoltavano più i brani. La band stava diventando una “merce”, un parco dei divertimenti. In quella esibizione, un gruppo particolarmente facinoroso di fan (Nick Mason – batterista – nella sua biografia Inside Out li descrive come “un gruppetto relativamente piccolo ma sovraeccitato di fan, probabilmente imbottiti di sostanze chimiche e sicuramente poco inclini a seguire con attenzione lo spettacolo”) stava in qualche modo influenzando l’esibizione dei Pink Floyd. In una delle pause uno dei ragazzi urlò a Roger “suona Careful with that Axe Eugene !”, e Waters, stizzito, gli sputò. Era una cosa mai accaduta prima, sintomo di una situazione che stava cominciando a diventare insopportabile. I Floyd si trovavano a fare i conti con l’estremo successo e la totale sregolatezza del proprio pubblico (come tutte le grandi band), e questo avvenimento aveva generato quello strappo che mise in moto la creatività di Waters, che rimase molto colpito (in negativo) dall’episodio che l’aveva visto protagonista.Continua a leggere…

Il ritorno del Cavaliere (?)

Pensavamo di essercene liberati, pensavamo che sarebbe finita lì, quel giorno di poco più di un anno fa. Bottiglie di champagne stappate a Roma, gente che applaudiva felice l’uscita di scena del più criticato e longevo Presidente del Consiglio della terza Repubblica, scene di giubilo che manco l’Italia ai mondiali ’82. Ma in fondo, diciamocelo chiaramente, ognuno dentro di sé sapeva che sarebbe tornato, che non avrebbe messo un punto lì ), in quel momento storico (da qualche parte leggevo “un tempo si andava ad Hammamet nella vergogna”). Un anno di “governo dei tecnocrati”, un anno in cui le forze politiche si sono trovate disorientate, delegittimate e hanno visto la fiducia del popolo elettore nei loro confronti scendere sempre più in basso, con la crescita dei vari “grillini” (dedicheremo un approfondimento a proposito sulla situazione attuale M5S) e compagnia; un anno di tentativi per tenere su un governo che doveva salvarci dalla crisi mettendo le pezze dove ce n’era bisogno. Continua a leggere…

Generazione sfigata

In questi giorni non si fa altro che parlare di lavoro, mobilità, precariato e di come sistemare questa terribile crisi che sta imperversando in tutto il mondo. Continuano a propinarci la solita manfrina trita e ritrita, come per convincerci che il lavoro è una cosa “passeggera”, che ci dobbiamo muovere, che – perdio! – siamo giovani, dobbiamo essere pronti a tutto. E mentre il politicante di turno o suo figlio super-raccomandato ci regalano simpatiche dichiarazioni su quanto sia sfigato il posto fisso, la laurea dopo i ventotto anni, abitare vicino a mamma e papà e così via, viene da chiedersi per quale ragione certe persone diano fiato alla bocca. Sì, d’accordo, le frasi non vanno estrapolate dal contesto, e su questo possiamo pure essere d’accordo. Il governo Monti si era tanto impegnato nei suoi primi giorni a mantenere una certa sobrietà dopo tanti anni di baracconate dei governi precedenti, ma ecco che i suoi esponenti (forse irretiti dalla ribalta, chi lo sa) si lanciano in simpatiche dichiarazioni che riescono a fare “incazzare” ancora di più quell’enorme fetta di popolazione che a oggi si barcamena tra uno stage non retribuito, un lavoro al call center di qualche mese e una speranza pari a zero sul proprio futuro. Era davvero necessario?

No, non lo era. Perché questo sistema politico-economico ha affossato e distrutto i sogni di un’intera generazione di ragazzi tra i venti e i trent’anni che non riescono in alcun modo a vedere la luce fuori dal tunnel. È un sistema che ha fallito sotto ogni aspetto, è servito soltanto ad arricchire di più i ricchi, e a devastare intere popolazioni (vedi la povera Grecia, dove ci sono situazioni da terzo mondo a causa del crack economico).

E allora tutti partono, scappano, emigrano. Altro che vicini a mamma e papà. Chi decide di restarci lo fa perché altrimenti dovrebbe dormire sotto un ponte, visto e considerato il costo di una casa, il mutuo che non ti danno senza un “monotono” posto fisso o l’affitto da moderni ladroni che troviamo nelle grandi e piccole città. Siamo una generazione affranta, senza speranze, senza sogni. Ed è questo il più grande fallimento di quest’epoca. Non il lavoro che manca, non la crisi economica. Vedere la faccia di una ragazza di ventisei anni, delusa e sconfitta, che ha due lauree e un master e lavora in un call center per mantenersi, facendo uno stage non retribuito che, chissà, un giorno potrebbe trasformarsi in lavoro, o gli occhi malinconici di un trentunenne che ha dovuto mollare gli studi, facendo tre lavori per aiutare il padre che ha perso il lavoro, lascia senza parole. E ogni giorno ci viene propinata la solita serie di ipotetici provvedimenti che dovrebbero migliorare le nostre condizioni di vita. E allora via il posto fisso (che noia!), ma il mutuo come lo faccio? Mobilità, che passione, ma se il lavoro dura tre mesi e per cercarlo ce ne vogliono dieci? Andiamo a vivere lontano da mamma e papà, siamo grandi dai, ma se gli affitti di un posto letto arrivano anche a cinquecento euro? E così via…

Sarebbe intelligente e saggio che tutti questi personaggi smettessero di dare aria alla bocca, che ritenessero le loro posizioni come degli immensi privilegi che si sono costruiti sulle spalle dei cittadini, e che imparino a stare quantomeno in silenzio. Se proprio non volete aiutare i sogni e le aspirazioni di questa generazione sfigata, se proprio non riuscite in nessun modo a darci un minimo di futuro in cui credere, almeno non prendeteci pure per il culo. È chiedere tanto?

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Servizio Pubblico: buona la prima!

Ieri sera è andata in onda la prima puntata di “Servizio Pubblico” di Michele Santoro. Dai primi dati che stanno emergendo in queste ore, il progetto partito “dal basso” è stato un successo senza ombra di dubbio. 12% di share sulle reti  (tv locali e Sky) che l’hanno trasmesso – sebbene il dato non sia definitivo – centinaia di migliaia di contatti sul web nelle varie piattaforme che ospitavano lo streaming video, il terzo canale più seguito della “tv italiana”. Doveva essere un successo d’ascolto, e tale è stato.

Santoro e i suoi hanno portato la televisione fuori dalla televisione, dai suoi meccanismi, dai suoi paradigmi. È l’aspetto più interessante di tutta quest’operazione, quel finanziamento popolare che ha permesso a una trasmissione “cacciata” dalle TV ordinarie di andare comunque in onda, senza limitazioni, senza controlli dall’alto. Le persone devono poter scegliere liberamente cosa guardare. Gli spettatori, i cittadini, hanno fatto uno step in più che fa sembrare la televisione classica un vecchio dinosauro ormai destinato all’estinzione. Da una parte le vecchie regole decisionali, uno strapotere mediatico che decide cosa devono ascoltare e guardare i cittadini, dall’altra parte ciò che i cittadini (perlomeno una parte) hanno voglia di sentire. Servizio Pubblico ci ha ridato la possibilità di scelta, la possibilità di decidere cosa guardare, e non di subire le decisioni di qualcun’altro. Il Paese, anche dal punto di vista dei media, si comincia a muovere a due velocità diverse; non si può infatti non notare come questo nuovo modo di fare la tv si sia spinto oltre, facendo mostrare il fianco ad una visione antica del mezzo televisivo: non c’è più l’imposizione del palinsesto, il palinsesto lo decide lo spettatore.

Una reazione naturale all’impossibilità di guardare quello che si vuole, senza dover tenere conto di logiche di partito, di influenze del governante di turno e così via. In fondo, a prescindere da come la si pensi, non bisogna guardare Servizio Pubblico come un programma “sovversivo” (per quanto lo possa sembrare nelle intenzioni.) Non è importante di cosa si parla, si può benissimo essere in disaccordo totale con la visione santoriana del mondo politico italiano; ciò che la gente, il suo pubblico, chiedeva, era semplicemente la possibilità di ascoltare anche un’altra campana (schierata), di decidere personalmente e liberamente cosa guardare e non guardare nella TV italiana. Ma se una campana viene messa a tacere, questa possibilità decade, e muore il tanto decantato pluralismo.

Ciò che ci è piaciuto di più della trasmissione di Santoro non sono stati tanto i contenuti o lo stile, che comunque si è mantenuto molto simile a quello di Annozero e delle scorse tramissioni… anzi, a dirla tutta, da un certo punto di vista ci si aspettava qualcosa in più (considerazione forse figlia dell’enorme aspettativa sviluppatasi attorno a questo “evento” mediatico). La cosa più interessante è stata quella di guardare una trasmissione senza preoccuparsi troppo delle varie folli leggi televisive non scritte; si è avvertita a pelle quest’aria di libertà editoriale, di mancanza del terrore della telefonata di rimprovero di turno, delle inutili regole volte a scandire le tempistiche di intervento degli ospiti in studio, del dictat dell’orario di chiusura. I giornalisti e il pubblico avevano un volto rilassato, tranquillo. E, soprattutto, tanta informazione in questa prima puntata dedicata agli sprechi immensi della casta.

Staff confermato, con Travaglio, Vauro, Ruotolo (anche se ci sono mancati un po’ i suoi collegamenti in esterna), Giulia Innocenzi, e ospiti in studio De Magistris e Della Valle; gli altri giornalisti presenti sono stati Paolo Mieli, Luisella Costamagna e Franco Bechis, oltre a un interessantissimo intervento del duo Stella e Rizzo, famosi per i loro libri-inchiesta. Ma tanta parola è stata data anche ai “sovversivi”, agli spettatori, ai racconti della gente comune. Molto importante (a livello di cifre) anche la partecipazione online in diretta, con centinaia di migliaia di contatti sui vari social network, segnale distintivo di questa trasmissione che viaggia oltre i confini del piccolo schermo attraverso il web e le nuove tecnologie.

Ieri sera in Italia è cominciata una nuova epoca di informazione libera, e questo possiamo dirlo senza remore o eccessivi entusiasmi. Non ci vorrà molto tempo prima che i cittadini e gli spettatori si abituino a queste nuove forme di comunicazione. Il mondo continua a viaggiare velocemente, e prima o poi anche i tradizionalismi tutti italiani, rimasti bloccati a decine di anni fa, andranno a sciogliersi come castelli di sabbia colpiti dal mare di questo mondo moderno.

Ci hanno tolto la possibilità di scelta, e noi ce la siamo ripresa. Un piccolo mattone è stato posto. Non a caso il progetto si chiama “Servizio Pubblico”. Pubblico. Speriamo si continui così.

Servizio Pubblico: esperimento di informazione libera

Il 3 Novembre andrà in onda la prima puntata di Comizi D’Amore, nuova trasmissione di Michele Santoro e del suo staff che, attraverso l’iniziativa “Servizio Pubblico”, ha aperto le porte a un nuovo modo di fare televisione e informazione. In un momento storico in cui una trasmissione di successo come Annozero viene inspiegabilmente ritirata dalla Rai – nonostante i costanti successi di pubblico della passata stagione – nasce un nuovo modo di fare televisione: forti dell’esperienza di Raiperunanotte, i Santoros hanno lanciato un’iniziativa di “finanziamento popolare”. Con una donazione di dieci euro è possibile finanziare una trasmissione che è stata cancellata dalle TV generaliste italiane, che andrà invece in onda su di una piattaforma di media incrociati quali internet e le TV locali. Anche Sky ha dato la sua adesione. Santoro quindi andrà in onda per volere dei cittadini e dei suoi stessi spettatori, fedelissimi e non, che non vogliono accettare la “cancellazione” del suo programma per motivi che di “aziendale” hanno poco e di “politico” hanno molto.

Non si spiega altrimenti l’abbandono di un format di successo che ha battuto record su record (e viene subito alla mente l’altro grande assente, quel “Vieni via con me” che ha fatto sfaceli la scorsa stagione) di ascolto, per una rete come la Rai in costante calo di spettatori. Far fuori Santoro significa togliere una voce importante al pluralismo dell’informazione, che si sia d’accordo o meno con le sue idee. Per fortuna il mondo si muove veloce, è proiettato nel futuro, non segue più le logiche di palazzo, e scavalca il problema in una maniera tutta nuova, quantomeno per l’esperienza italiana in materia. Un programma autofinanziato dagli stessi spettatori in maniera così diretta non si era mai visto. E bisogna soprattutto porre l’attenzione all’enorme successo che ha riscosso la campagna di adesioni. Le persone hanno una voglia pazzesca di una trasmissione che faccia un’informazione senza bavagli di sorta, che dica le cose che vanno dette, che vada ad approfondire le questioni di cui i media tradizionali sembra non vogliano più parlare.

httpv://www.youtube.com/watch?v=hMlc1CczdjA&list=UUq3QhkV1-S5KonNKUqQP8fw&index=13

Conflitto d’interessi, politiche di esclusione delle voci scomode, presidenti che eseguono ordini “dall’alto”, programmi di successo cancellati. Tutte queste riflessioni sono state affrontate in mille modi diversi. Quello che a noi più interessa però è questa sorta di spostamento del potere decisionale nelle mani dello spettatore che, abbandonato dalla “sua” televisione nazionale, preferisce finanziare di tasca propria la trasmissione che desidera vedere. Sarà un successo? Lo è già stato. L’iniziativa di Servizio Pubblico ha di fatto messo in evidenza le dubbie decisioni della Rai che, trincerandosi dietro le solite scuse, vede parte del suo pubblico prendere coscienza su questa problematica e trovare una soluzione “faidate”. È il primo esempio di “pay-per-know”, pagare per essere informati. Certo, la cosa dovrebbe accadere già in maniera automatica con il fantomatico abbonamento Rai, ma visto che tutte le televisioni sono controllate in maniera diretta o indiretta dal solito personaggio che tutti conosciamo, per trovare un po’ di aria fresca bisogna andare altrove. L’informazione esce definitivamente dai confini dei canali tradizionali, viaggia sempre più veloce attraverso il web (che ancora una volta è stato il vero motore trascinante di Servizio Pubblico), diventa parte integrante della vita dell’individuo che la va a cercare e non la subisce più passivamente.

È un atto di modernità, è un atto di futuro che avanza, è l’inizio della fine di un’epoca dell’imposizione dell’informazione. E se già tanti passi erano stati compiuti sinora, con Servizio Pubblico e Comizi D’Amore viene posta l’ennesima pietra miliare nella lotta alla libertà di informarsi e di informare. È un punto di non ritorno, è l’inizio di una nuova epoca anche per il cittadino italiano, storicamente attore passivo dei media, che si “rivolta” e prende coscienza di sé. Questa forse è la vittoria più bella di quest’iniziativa che, comunque vada, ha cambiato per sempre le carte in tavola. Che sia arrivata anche per noi l’epoca di una rivoluzione intellettuale? Noi non lo sappiamo, ma di sicuro scommettiamo che Comizi D’Amore sarà un grande successo. Con buona pace dei vecchi tromboni che controllano i media, che si renderanno conto ogni giorno di più di essere ormai gli ultimi esemplari di una razza di dinosauri votata all’estinzione.

Per quanto possano provare a fermarlo, il futuro è là fuori,  ricco di speranze e di novità.

 

Vi lasciamo alcuni contatti per approfondire:

La home page di Servizio Pubblico 

La pagina Facebook con tutti gli aggiornamenti

Il canale youtube

httpv://www.youtube.com/watch?v=OH9DA0e2PUQ&list=UUq3QhkV1-S5KonNKUqQP8fw&index=12

 

 

 

 

 

Libertà di informazione, bye bye…

Il disegno di legge n. 1611, dai più conosciuto come “legge bavaglio” contro le intercettazioni, mette in gravissimo pericolo la libertà di informazione sul web e l’esistenza di tutti i blog e i siti che in Italia cercano di fare un’informazione alternativa.

Per i siti informatici, ivi

compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica, le dichiarazioni o le
rettifiche sono pubblicate, entro quarantotto
ore dalla richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilita` della notizia
cui si riferiscono."

Nel simpatico disegno che vuol porre fine alle intercettazioni (chissà come mai i politici ne hanno così tanta paura, eh?), al comma 29 dell’articolo 1, appare una norma che è destinata a distruggere gli ultimi scampoli di libertà che ci rimangono in rete. In pratica, se dovesse essere approvato (ma vista la fretta dell’esecutivo di pararsi il didietro, questo accadrà), obbligherà ogni blogger, autore o semplice utente a rettificare il contenuto pubblicato semplicemente dietro una segnalazione del diretto interessato.

Se già in passato lo strumento della querela (abusato e stra-abusato) teneva i bloggers con il fiato sospeso e il terrore di finire in tribunale (causa penale, ricordiamolo) per aver espresso una semplice opinione (con nessun “rischio” per la parte in causa, che quindi poteva querelare quanto voleva), adesso non servirà neanche tutta la trafila. O arriva la rettifica in 48 ore, oppure multe salatissime fino a 12.000 euro. Capirete che è nient’altro che un bavaglio, una censura assoluta che mette in pericolo qualsiasi contenuto online. Fermo restando che è sacrosanto il diritto di sentirsi diffamati e di ricorrere agli organi per difendersi da dichiarazioni false, sbagliate o offensive, ed è giusto che le persone siano tutelate in qualche modo, è sconvolgente l’idea che basterà segnalare qualsiasi contenuto per farlo rimuovere-rettificare in tempi rapidissimi, e senza discussioni.

Rimane ancora l’equiparazione tra blog e prodotti editoriali classici, che è forse a monte il primo problema da risolvere. Da un lato media che hanno dietro finanziamenti, protezioni sindacali, copertura legale, dall’altro i semplici cittadini (spesso giovani) che esprimono le loro opinioni, che raccontano delle storie, sprovvisti di alcun tipo di tutela. Capirete anche voi che “minacciare” velatamente un blog è semplice. Mentre un quotidiano, ad esempio, alla querela/richiesta di rettifica si mette lì e analizza, decide, si tutela, il blogger di turno è già attualmente costretto a battere in ritirata se non si vuole trovare a spendere denaro e tempo appresso ad una causa.

Se questo disegno di legge dovesse passare, oltre ai tremendi lati negativi della limitazione delle intercettazioni (di quanti casi non saremmo a conoscenza, oggi?), il blogger non potrà neanche più riflettere concretamente sulla possibilità di difendere le proprie idee. Devi rimuovere il contenuto entro due giorni, oppure ti becchi la multa. E chi decide se c’è vera diffamazione? Nessuno. Il passaggio è automatico: segnalazione – obbligo di rettifica. Sconvolgente. 

Questo potrebbe significare la morte totale della libertà di opinione sul web. Senza esagerare con gli allarmismi, appare molto concreta la possibilità che un blog o un sito, che dà fastidio a qualcuno semplicemente perché dice le cose con una voce fuori dal coro, possa essere tartassato di segnalazioni, articolo su articolo, e alla fine sarebbe costretto a chiudere. La Cina con il suo controllo totale della rete non è poi così lontana, pensateci.

Una classe politica vecchia, rimasta nella preistoria, con decine di scheletri nell’armadio, si protegge togliendo giorno per giorno ogni libertà ai cittadini. Si sono resi conto molto bene che la rete non ha scudi, non ha specchietti per le allodole, non è, in poche parole, controllabile. Non è come la TV, dove sei obbligato a vedere quello che dicono loro. Non è come i giornali, dove sei obbligato a leggere quello che dicono loro. No. La rete dà la parola alle persone, ai semplici cittadini, a chi vota quella gente e a chi li manda a governare (spesso male) e a fargli ottenere le loro pensioni d’oro e le loro poltrone. E questo evidentemente non è più tollerabile.

Non resta che la sensazione di schifo di fronte a idee così arretrate, fuori dal tempo, che ci costringeranno a vivere in un Paese sempre meno libero. Sono curioso di sapere voi lettori cosa ne pensate a riguardo. Io sono ormai senza parole.