In Inghilterra è un’icona da sempre, anche se otto anni fa è venuto a mancare. Qui da noi però è un personaggio troppo poco conosciuto ed è un sacrilegio per ogni amante del calcio, visti i suoi numeri e i suoi straordinari record. Parliamo di Brian Clough, centravanti e successivamente allenatore inglese, che ha realizzato cose attualmente difficili da eguagliare. Ma andiamo con ordine.Continua a leggere…
Autore: fonzie182
Raul, il colchonero che ha fatto la storia dei nemici
A volte la storia gioca degli strani scherzi. A quanti genitori è capitato che i propri figli diventassero quello che non volevano? Senza addentrarci nel sociale ed attenendoci squisitamente all’ambito sportivo, ci riferiamo ad una “offesa” che a tanti papà capita di subire: il proprio figlio diventa tifoso della squadra sbagliata, magari i rivali di sempre. A qualcuno però va anche peggio. Il padre di Raul Gonzalez Blanco, calciatore che è riuscito ad ottenere numerosi riconoscimenti e a rendersi famoso col suo nome piuttosto che col cognome (meraviglia del balompié spagnolo), lo ha visto addirittura diventare la bandiera, il simbolo, il fulgido esempio della grandezza dei “nemici giurati”. Già, perchè tanto Raul quanto suo padre sono da sempre tifosissimi dei “colchoneros” (così chiamati da quando venne istituita la maglia biancorossa, perché divise del genere erano facilmente ricavabili dai fondi dei materassi, cosa questa che valse ai giocatori e ai tifosi della squadra il suddetto soprannome) e speravano di fare la storia del team della capitale. Raul infatti inizia la sua carriera ufficiale nelle giovanili dell’Atletico Madrid, firmando all’età di tredici anni per la squadra del cuore, dove da esterno di centrocampo segna 55 gol nella sua prima stagione e 65 nella seconda (di cui otto in una sola partita) vincendo sempre il campionato di categoria.Continua a leggere…
Una partita che si gioca… un quarto di secolo fa
Erano gli anni ottanta. Tutto era diverso. C’era ancora l’Unione Sovietica, il Muro di Berlino era ancora in piedi, passava la cometa di Halley, i Duran Duran spopolavano fra le ragazzine, Berlusconi comprava il Milan, esplodeva una centrale nucleare a Chernobyl e Maradona entrava nella leggenda con la “Mano de Dios” ed un gol pazzesco contro l’Inghilterra. Ma se si chiede ad un napoletano quale avvenimento ricorda del 1986, qualsiasi appassionato di calcio citerà la vittoria a Torino del 9 novembre. Il team di Ottavio Bianchi giocò un match memorabile andando a espugnare il “Comunale” (per oltre metà ospitante tifosi azzurri) per tre a uno, dopo aver rimontato l’iniziale vantaggio bianconero firmato da Laudrup con i gol di Ferrario (uno che andava nella metà campo avversaria tre volte all’anno), Giordano e Volpecina. Cosa significò per i napoletani lo spiega meravigliosamente Maurizio De Giovanni, un bravo scrittore partenopeo, nel suo libro “Juve-Napoli 1-3. La presa di Torino“. Quelli che per anni erano stati i “nemici di sempre” erano stati battuti. La ricca Juventus, dei ricchissimi e potentissimi Agnelli, simbolo del nord industrioso contro il sud meno sviluppato e che cercava una rivalsa nel mondo pallonaro.
Difficile non vedere un déjà-vu con quanto sta accadendo oggi, nel 2012. Entrambe le squadre appaiate in cima alla classifica, la Juventus considerata come la favorita numero uno al titolo, la giornata di campionato quasi uguale (ottava adesso, nona un quarto di secolo fa), la stessa speranza di coloro che intraprenderanno il viaggio verso il nuovissimo “Juventus Stadium“, capolavoro di architettura per visuale e comfort ma decisamente piccolo e che non potrà ospitare i quasi trentamila napoletani come nel 1986, nemmeno il dieci per cento. Intendiamoci, ci sono tante cose diverse. L’attuale squadra bianconera è decisamente la più forte del paese, forte di uno scudetto vinto meritatamente lo scorso anno, di una rosa molto competitiva, di un allenatore che per quanto bistrattato è senza dubbio bravissimo, ma soprattutto di un record di imbattibilità che dura da oltre un anno. La differenza con il Napoli sembra molto più marcata rispetto a quanto accadde anni fa. Però… c’è chi rivede in Cavani il fervore che soltanto il più grande giocatore di tutti i tempi, Diego Armando Maradona, aveva saputo dare ad un intero popolo. I suoi scudieri non sono Giordano, Carnevale e De Napoli, ma Pandev, Hamsik e Maggio.
No, decisamente non è una partita come le altre. Potrebbe anche non decidere nulla, è ovvio, siamo appena ad ottobre e questa lotta a due potrebbe anche spezzarsi in favore di qualcuno. Ma è da ingenui pensare che sabato 20 ottobre qualsiasi tifoso napoletano non si paralizzerà a seguire i propri beniamini, sognando quello che qualcuno vorrebbe tanto rivivere e quello che qualcuno vorrebbe vivere per la prima volta. Dall’altro lato ci sono la consapevolezza di essere la squadra più vincente della storia italiana a livello di scudetti (ventotto, ma come si evince da battute sempre più frequenti per qualcuno sono di più) e la pressione dello scomodo ruolo di favorito, ma anche per gli juventini sarà una gara tutta da seguire, proprio perché un testa a testa del genere non capita tanto spesso (soltanto nella stagione 1974-1975 Juventus e Napoli avevano battagliato per il titolo, andato poi a Bettega e compagni) e perché c’è appunto una imbattibilità da difendere. Voglia di vincere da ambo le parti dunque, con la consapevolezza che magari anche questa partita entrerà negli annali della storia del calcio, e magari qualcuno ci scriverà un libro per raccontare quanto accaduto in terra piemontese alle nuove generazioni.
Sfide del genere fanno solamente bene al nostro calcio, ultimamente fin troppo in ribasso. Se ci si ricorda che si tratta comunque di sport e non di questioni vitali, allora ci si può decisamente abbandonare a questa passione anche con settimane di anticipo. Che i tifosi delle due squadre si godano l’incontro, così come probabilmente faranno anche quelli di tutte le altre compagini, perché tutti vogliono veder fare la storia.
Alex Zanardi, l'uomo che sconfisse il destino
A volte nella vita succedono delle cose che non riesci assolutamente a decifrare, cose che sul momento ti lasciano un senso di vuoto e di sconforto. Questo è accaduto ad Alex Zanardi il 15 settembre del 2001, giusto quattro giorni dopo un altro evento che ebbe una ripercussione sul mondo come poche altre volte era successo nella storia dell’era moderna. All’Eurospeed Lauswitz, in Germania, dove già aveva perso la vita Michele Alboreto, Zanardi dopo un rifornimento ai box in una gara che stava dominando perse inaspettatamente il controllo della sua vettura rendendosi protagonista di un incidente spaventoso. La sua auto si spaccò in due e la vettura di un altro concorrente gli tranciò di netto le gambe, portandolo ad un passo dalla morte. Incredibilmente, dopo due settimane di coma farmacologico, Alex ce la fece, pur sapendo che non avrebbe mai più camminato sui suoi arti inferiori.
C’è un modo di dire che indica la perdita di ogni speranza, ovvero “questa cosa mi ha proprio tagliato le gambe”. Evidentemente Zanardi non ha fatto suo questo modo di dire, perché è ripartito proprio da quel momento iniziando una carriera che l’avrebbe portato a conquistare quella che è la cosa più ambita per uno sportivo: un oro olimpico. La sua carriera da normodotato del resto non era certo stata indimenticabile. Dopo l’inizio nei kart e la lunga trafila che è propria alla maggioranza dei ragazzi che magari ha il sogno nel cassetto di guidare un giorno “la rossa di Maranello”, approda finalmente in Formula 1 nel 1991, all’età di venticinque anni, quando Eddie Jordan gli chiede di sostituire Michael Schumacher (non proprio uno sconosciuto). Al debutto un ottimo nono posto e la conferma come terza guida, poi il passaggio alla Lotus e un brutto incidente a Spa (si, a volte la sorte sembra veramente prenderti per i fondelli). Una serie di risultati deludenti lo costrinse ad abbandonare la Formula 1 per passare alla Cart (quella per cui vanno pazzi gli statunitensi).
Dopo un fugace “come-back” nel mondo dei Gran Premi ci fu la seconda “fuga” verso il Cart, che però gli sarebbe costato tanto per il suddetto incidente. Addio motori? Non per lui. Grazie a delle protesi (fortunatamente siamo nel nuovo millennio e la tecnologia può fare miracoli) torna a guidare e non solo, perché ottiene alcune incredibili vittorie dimostrando che evidentemente l’abilità nella guida risiede nell’animo e non nel fisico. La svolta decisiva però arriva quando decide di partecipare a manifestazioni per disabili una volta terminata la carriera di pilota. Sceglie l’handbike (bicicletta dove pedali appunto con le mani) e si scopre un vero talento. Esordisce col botto con un quarto posto alla Maratona di New York del 2007 ed è un crescendo fino alla vittoria nel campionato italiano nel 2010, l’argento nella crono mondiale del 2011 e il successo con record del percorso alla Maratona di Roma. Fino all’evento più recente. Si presenta alle Paralimpiadi di Londra 2012 per la prova su strada e per quella a cronometro, con esito uguale: ORO. Più un argento nella staffetta a squadre. D’obbligo renderlo portabandiera della cerimonia di chiusura.
Ora, sembra assurdo pensare che una disgrazia come quella capitata a Zanardi possa trasformare un pilota dalla carriera quasi anonima in un supercampionissimo olimpico e una vera e propria icona dello sport, ma soprattutto un vero e proprio orgoglio del nostro paese. Sembra assurdo ma è così. Anche un accadimento tremendo da sopportare può essere visto come un punto di partenza piuttosto che come uno d’arrivo a condizione di avere un’infinita voglia di vivere e un’infinita voglia di dimostrare al destino che se ti volta le spalle puoi fregartene e fare a modo tuo, diventando una leggenda in barba alla cattiva (ma agli occhi degli altri) sorte.
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Questi (gol) fantasmi
Sabato 26 febbraio in Milan-Juventus si è verificato un episodio che ha fatto parlare molto. Sul punteggio di uno a zero per i rossoneri non è stato concesso un valido gol al ghanese Sulley Muntari, col pallone che aveva ampiamente varcato la linea di porta prima di essere respinto dal portiere juventino Buffon. Incredibilmente il guardalinee non ha notato nulla ed il gioco è andato avanti. Ora, non importa quanto sia finita la partita e nemmeno chi abbia subito un torto arbitrale. La questione centrale è l’utilizzo della tecnologia per dissipare i dubbi a proposito dei cosiddetti “gol fantasma”, ma non soltanto. Il presidente della Uefa Michel Platini si è detto contrario, così come il numero uno della Fifa Joseph Blatter, ma ultimamente sembra essersi aperto qualche spiraglio, specie per quanto concerne lo svizzero. Ma l’aiuto della moviola può davvero rendere migliore il calcio? Innanzitutto è da premettere che negli altri sport a livelli alti viene utlizzata. Nel basket l’istant-replay può essere richiesto anche dagli arbitri (un campionato venne deciso così, con un incredibile finale thrilling nella finale fra Milano e Bologna), nel football americano lo può chiedere un allenatore rinunciando ad un time-out in più, nel rugby c’è addirittura un arbitro che viene chiamato in causa solo durante controversie del genere.
Quali rimedi allora per il mondo pallonaro? Si parla di sperimentare i sensori nelle porte, come accade con buon successo nell’hockey su ghiaccio ed anche di istituire in pianta stabile i due arbitri dietro le porte (come accade per le sole competizioni europee). Passi avanti, senza dubbio, ma è ancora presto per far cantare vittoria ai seguaci di Aldo Biscardi. Eliminare le polemiche ed i sospetti in un mondo diventato fin troppo poco credibile dopo calciopoli sembra essere un motivo sufficiente per accogliere questa proposta, ma sono in tanti coloro che si oppongono a questa novità. Le loro ragioni sono comunque da ascoltare. C’è chi dice che in fondo le decisioni errate sono numericamente parlando nettamente inferiori a quelle corrette (ad esempio subito dopo il gol-fantasma di Muntari sono stati “visti bene” quelli di Sculli, Izco e soprattutto Borini) e che è proprio quello il bello del calcio, che è il sale della contesa. C’è chi (e anche io sono parte di costoro) storce un po’ il naso perchè romanticamente parlando pensa che se la moviola deve essere usata in Serie A allora bisognerebbe farlo anche in Terza Categoria (cosa irrealizzabile per ovvie ragioni) visto che le regole sono uguali indipendentemente da chi giochi e dove giochi. C’è anche chi dice che anche con l’uso della tecnologia le cose rimarrebbero inalterate e le polemiche rimarrebbero comunque (ma d’altra parte la frase “Non la vogliono altrimenti non possono più fare imbrogli” è fin troppo inflazionata.
Il dibattito è già molto acceso perchè indubbiamente siamo di fronte ad una questione tremendamente spinosa. Forse la cosa più democratica sarebbe davvero far decidere alla gente, capire cosa vuole il tifoso (che ricordiamolo…è colui che permette all’intero sistema calcistico mondiale di continuare ad andare avanti) ma non è certamente cosa facile. “Sperimentare” dovrebbe essere la parola d’ordine. Potrebbe andar male ma potrebbe anche andar bene e sinceramente nel calcio moderno per come vanno le cose un tentativo si potrebbe anche fare. Ne potrebbe beneficiare il senso di giustizia che radica in ogni tifoso (quando non è avvantaggiata la sua squadra magari….), i dirigenti delle varie federazioni che oramai hanno una credibilità pari alla mia ad un esame di fisica nucleare, ed anche gli arbitri, che eviterebbero clamorose figuracce ai fischietti (tipo questa, accaduta in America Centrale e che continua ad ispirare pura ilarità). Dite la vostra, che ne pensate riguardo alla moviola in campo?
Totò alla riconquista dell'azzurro
“Ma figurati se quest’anno continua a segnare come l’anno scorso…è impossibile”.
Se avete partecipato ad una qualsiasi asta di fantacalcio ad inizio stagione (e se vi piace il calcio al 90% fate anche il fantacalcio) avrete per forza sentito questa frase più e più volte, e da un bel po’ di tempo. Chi è colui che in barba a tali considerazioni e alla legge dei grandi numeri rimane imperterrito nelle primissime posizioni (quasi sempre in vetta) alla classifica di cannonieri della Serie A italiana?
Facilissimo: Antonio Di Natale.
Sì, vecchietto, nato a Napoli nel 1977 ma… ventinove gol due anni fa, ventotto l’anno scorso, dodici in sedici partite quest’anno (e in passato i numeri sono comunque molto positivi). Su cosa si deve ragionare? Su un fatto molto semplice: Giuseppe Rossi si è infortunato gravemente e tornerà solo in primavera, Antonio Cassano ha avuto un problema al cuore e i tempi di recupero sono ancora un po’ incerti. Quindi è così difficile che per Totò si riaprano le porte della nazionale italiana in vista del prossimo campionato europeo che si disputerà nel prossimo giugno in Polonia e Ucraina?
Il nostro commissario tecnico Cesare Prandelli ha già dimostrato di tenerlo in grande considerazione, dichiarando pubblicamente: “Lo chiamo a febbraio per l’amichevole con gli USA. Voglio vederlo con Balotelli, potrebbero essere la soluzione. Sono entrambe punte di movimento e possono muoversi come Rossi e Cassano. Totò ha già fatto Europeo e Mondiale, ma può anche essere maturato. Non si può prescindere da uno che per tre anni consecutivi sta lì ai vertici della classifica cannonieri”. Assolutamente condivisibile. Come giustamente dice Prandelli, sarebbe ingiusto non riconoscergli questo merito, anche perchè non si tratta di qualcuno che bisogna convincere a tornare in azzurro, anzi. A inizio ciclo si è voluto puntare su giocatori nuovi, svecchiare un gruppo che aveva completamente fallito nel mondiale sudafricano e dare soddisfazione ai tifosi che chiedevano la testa di molti. Di Natale però ha sempre dimostrato di essere uno che sa stare al suo posto, specialmente in nazionale, e dunque averlo come alternativa è più che condivisibile.
Proviamo anche a vedere quali potrebbero essere i motivi per cui non convocarlo. L’età? Assolutamente no. Può essere un fattore quando si tratta di comprare un calciatore ma non quando si parla di convocarlo in nazionale, e questo solo per cominciare. Puyol ha la sua stessa età ma se la Spagna non lo convocasse tutti rimarrebbero stupiti (e se ne possono fare altri di esempi del genere). Il ruolo? Relativamente, trovare cinque attaccanti che meritino il viaggio in Polonia più di lui è veramente arduo attualmente e soprattutto Totò ha dimostrato di essere in grado di fare la seconda punta. Il suo score in nazionale? Dieci gol in poco più di trenta presenze non è male come bottino, specie se si considera che non sempre ha giocato dall’inizio come invece fa nell’Udinese. Il fatto che manchi negli appuntamenti importanti? Beh ai mondiali sudafricani essere fra i “meno peggio” era facile rispetto allo schifo totale di quella sciagurata spedizione, ma lui non mi è dispiaciuto. Poi ovviamente molti ricorderanno il rigore fallito contro la Spagna nel 2008, ma allora di cosa parliamo? Vogliamo gettare la croce addosso a Roberto Baggio per USA ’94?
Ora non vogliamo sostenere che debba necessariamente essere un punto fermo dello scacchiere di Prandelli, che per inciso ha fatto benissimo fino ad adesso, ritrovando compattezza e smalto (regalando anche un bel gioco a dirla tutta). Sarebbe delittuoso però sostenere che Di Natale non meriti anche lui una chance per far parte dei ventitré ragazzi che avranno il difficilissimo compito di riportare quella coppa in Italia, dove manca da ben quarantaquattro anni (l’Inter è riuscita grosso modo dopo lo stesso tempo a tornare in vetta all’Europa). Sperando che possa continuare così, ci schieriamo decisamente da quelli che appoggiano il suo ritorno in azzurro. Vamos Totò!!
Alla ricerca del ranking perduto: le italiane a caccia del passaggio del turno
L’urna ha nuovamente parlato. Il sorteggio degli ottavi di Champions League ed i sedicesimi di Europa League ha stabilito chi saranno le avversarie delle italiane. Partiamo dalla competizione più importante. Tutto sommato è andata abbastanza bene. Gli spauracchi spagnoli, Barcellona e Real Madrid, sono stati evitati da Napoli e Milan, che voleranno a braccetto (anche se a distanza di una settimana) a Londra. Sicuramente poteva andare meglio, ma misteriosi presagi indicavano che l’Apoel Nicosia, squadra miracolata con un primo posto nel girone a dir poco clamoroso, sarebbe toccata ad una francese (infatti se la vedrà col Lione, dopo lo scandalo del sette a uno in trasferta a Zagabria con tanto di occhiolino truffaldino). Chelsea per la truppa di Mazzarri e Arsenal per quella di Allegri, con la speranza di estromettere già agli ottavi tutte le squadre inglesi dalla competizione. Si, difficile, ma non impossibile. Il Milan parte senza dubbio favorito, sia perchè la lezione col Tottenham (dove era fuori mezza squadra) è stata appresa e sia perchè i “gunners”…non sono più quelli di una volta. Il Napoli invece deve fare un’impresa, contro una squadra sicuramente più forte ma che perde pezzi causa litigi (Torres verrà ceduto, Drogba ed Anelka non vedono l’ora di cambiare aria causa dissapori con Villas Boas). Con le spagnole gli azzurri partivano battuti in partenza, con i “blues” invece le chance ci sono.
L’Inter paradossalmente ha pescato male. Da prima nel girone poteva avere un accoppiamento più facile mentre invece troverà il Marsiglia, squadra talentuosa che ha in attacco i figli di Abedì Pelè, in panchina una vecchia volpe come Didier Deschamps e soprattutto tanti santi in Paradiso a causa della provenienza. I nerazzurri però possono farcela quindi non è da folli sperare in un tre su tre. Il tutto anche per guadagnare punti nel maledetto Ranking Uefa che ci ha fatto perdere la quarta squadra in Champions per qualche anno. E le tedesche? Nostre principali avversarie? Il Bayer Leverkusen può solo mordersi le mani per aver gettato nel water il primo posto, trovandosi adesso…contro il Barcellona. Discorso opposto per il Bayern Monaco, che trova il sorprendente Basilea. Si, possiamo fare più punti di tedesche ed inglesi. Difficile fare meglio delle spagnole, visto che sono candidate alla vittoria finale, ma fortunatamente la figura di melma del Villarreal ed il flop del Valencia attutiscono la cosa.
Ma l’esame non sarebbe completo se non si contasse anche la competizione minore, quella dove da anni facciamo letteralmente schifo e che ha fatto precipitare il nostro ranking: l’Europa League. Tralasciando la Roma (stendiamo un velo pietoso) sono da applaudire le affermazioni di Udinese e Lazio, che approdano ai sedicesimi. Nell’urna avrebbero potuto trovare incredibilmente le due squadre di Manchester ma così non è stato. Anzi, proprio il City e lo United hanno avversari durissimi (rispettivamente Porto ed Ajax) e che in un certo senso ci aiuta. Già, perchè bisogna guardarsi anche dalle portoghesi, che l’anno scorso erano in tre su quattro in semifinale ed in futuro potrebbero darci noie. Quindi meglio “gufare” le tre lusitane rimaste (e si, anche il Benfica in Champions) e tifare per capitolini e friulani. Come hanno pescato? Benino. Il Paok Salonicco per Guidolin e l’Atletico Madrid (che era proprio nel girone dell’Udinese) per Reja. Bianconeri favoriti, biancocelesti perlomeno alla pari. Se affronteranno la competizione come hanno fatto finora ci sono ottime speranze. Sunto: le inglesi potrebbero arrivare in fondo, le francesi fortunatamente hanno già toppato alla grande, le spagnole…dipende molto dalla Lazio (appunto). C’è sempre un modo per rendere interessante qualsiasi sfida in campo europeo, basta ricordarsi che se arrivi quarto in campionato poi ti mangi le mani pensando a quando sfottevi gli amici tifosi di altre squadre eliminate nelle coppe.
L'urna ha parlato. Vediamo di risponderle.
L’urna ha parlato. Cosa ha detto? Beh, grosso modo qualcosa del tipo “All’Europeo difficilmente becchi nuovamente la Nuova Zelanda”. Esatto, proprio così. Sperare in un girone abbordabile in un campionato europeo è da folli, specie dove su quattro teste di serie ben due sono i paesi ospitanti. Sgomberiamo il campo dagli equivoci. Solo sedici squadre, tutte europee e concentrare in quattro gironi (il discorso sarà diverso dal prossimo europeo, che sarà a ventiquattro squadre). Niente formazioni caraibiche o oceaniche. Intendiamoci, la figura di me…lma è sempre dietro l’angolo e purtroppo lo sappiamo benissimo, ma è indiscutibile il fatto che quel girone del mondiale sudafricano fosse ridicolo (difatti siamo usciti per osceni demeriti nostri, non certo perchè “kiwi” e slovacchi si siano dimostrati meglio del previsto). Nell’europeo devi entrare in forma subito, non passo dopo passo, solo così si può sperare di vincere.
Avere un girone del genere potrebbe essere un vantaggio. Ma andiamo a vederlo nel concreto.
Spagna (prima nel ranking Fifa), Irlanda (ventunesima) e Croazia (ottava). Naturalmente il ranking lascia il tempo che trova (i croati davanti a noi è quantomeno discutibile) ma ci dice che bisogna lottare da subito. L’esordio è con la Spagna. Campioni in carica e vincitori anche della Coppa del Mondo. Sono i più forti? Assolutamente si. Mezzo Barcellona e mezzo Real Madrid, ovvero le due squadre migliori al mondo attualmente. Il gap non è così ampio come certa stampa ridicola vuol far credere, ma bisogna rispettare chi parte in pole-position. Guardiamo il lato positivo: se dovessimo perdere c’è ancora speranza di rialzarsi e di recuperare (e dipenderebbe da noi) ma se invece ne usciamo indenni la strada sarebbe veramente in discesa. Hanno un firmamento di stelle, ma come abbiamo già sottolineato in passato siamo in crescita costante e Prandelli sta lavorando stupendamente.
Ci sarà poi l’Irlanda del Trap. Vecchia volpe, e sebbene “Cat is not in the sack” bisognerà sudare anche contro di loro. Perchè? Esattamente per quello, per il Trap. Non hanno supercampioni ma tanti buoni giocatori (uno su tutti il fortissimo Duff, campioncino spesso sottovalutato) che però giocano un calcio incredibilmente concreto, improntato al risultato e non al bel gioco che non serve a niente ed è solo fine a sé stesso. Partiamo logicamente favoriti ma guai a sottovalutarli. Infine la Croazia. Che dire sui croati, per la prima volta arrivano ad una competizione senza vere “stelle” circondate da comprimari, ma chi li ha visti giocare avrà notato due cose: innanzitutto che sono un gruppo compattissimo, assai poco slavo (del resto sono gli unici dell’ex-Jugoslavia ad essersi qualificati), e poi che hanno due cosiddetti enormi (vedasi il tre a zero rifilato ai turchi in casa loro nei playoff). In pratica possono essere una grande sorpresa o un flop clamoroso.
Un cosa è sicura, si tratta di quattro squadre che sanno giocare a calcio. Preparatevi a partite molto combattute, magari anche non spettacolari ma che sapranno emozionare. Fare meglio dell’ultimo torneo importante sarà facilissimo, ma si spera che i nostri ragazzi possano arrivare fino in fondo.
La meglio gioventù. Rieccola.
Ora c’è un gruppo nuovo, capace di fare sfracelli. Cinque vittorie su cinque, con sedici gol fatti e solo due subiti. In più, un gioco brillante ed a tratti anche spettacolare. Ma vuol dire anche che abbiamo giovani di grande talento? Assolutamente si. Facciamo qualche esempio ruolo per ruolo. In porta c’è Carlo Pinsoglio, da molti descritto come il nuovo Buffon (si vabbè, il nuovo-tal dei tali oramai è una espressione inflazionata) ma che sicuramente ha grosse doti: cresciuto nel vivaio juventino si è messo in mostra anche a Viareggio, ma adesso si è consacrato nel Pescara di Zeman (e se un portiere si dimostra bravo in una squadra del boemo è tutto dire!). In difesa un terzetto nerazzurro con Santon (che oramai conosciamo bene perchè in nazionale maggiore ha già giocato e che adesso è passato al Newcastle) e soprattutto Caldirola e Faraoni (occhio perchè a breve imparerete a conoscerli). Senza dimenticare Camporese della Fiorentina e Crescenzi del Bari. A centrocampo Marrone della Juventus è il nuovo che avanza, a breve lo vedremo fare ottime cose in Serie A, ma di fianco a lui sembrano promettere bene anche Bertolacci del Lecce (ricorderete che ha già castigato la Juventus lo scorso anno) e Saponara dell’Empoli. Inoltre ci sono tre o quattro ragazzi che sembrano partire a fari spenti ma potrebbero accenderli ed abbagliare tutti. Le primizie però sono tutte in attacco. Paloschi e Destro in Serie A ci giocano con continuità e sopratutto il secondo sembra essere uno dal gol facile, mentre l’atalantino Gabbiadini sembra in fase di maturazione. C’è anche il “Faraone” El Shaarawy, che ha già segnato un gol con la maglia del Milan (tra l’altro alla miglior difesa della Serie A fino ad oggi, quella dell’Udinese) e che viene visto da molti addirittura come l’erede di Kakà. Infine un ragazzo che sta facendo sognare i tifosi del Napoli, anche se gioca a Pescara: Lorenzo Insigne. Zeman lo ha scoperto lanciandolo nel calcio che conta e lui l’ha ripagato con numeri incredibili. Diciannove gol in trentatré partite a Foggia, sette in dodici presenze finora in terra abruzzese. Aggiungeteci anche una valanga di assist e tirate le somme.
Tanti giovani promettenti. Se anche solo tre o quattro diventassero giocatori di prim’ordine la nostra nazionale potrebbe arricchirsi in maniera veramente importante per i prossimi dieci anni. Alla faccia di chi dice che di talenti nel nostro calcio giovanile non ce ne sono.
Per me va bene, si può giocare la finale di Champions League all'Allianz Arena
Si è parlato tanto dell’Allianz Arena, lo stadio dove gioca il fortissimo Bayern Monaco. Personalmente ho avuto l’opportunità di conoscere l’impianto a trecentosessanta gradi, in quanto essendomi recato in Germania in qualità di giornalista per seguire il match fra i padroni di casa ed il Napoli (valido per il girone di Champions League) ho potuto testimoniare cosa sia l’organizzazione tedesca. Vi racconto com’è andata.
L’impianto lo avevo già visto il giorno prima arrivando dall’aeroporto, ma vederlo illuminato con colori così “caldi” (in questo caso il rosso del Bayern) è impressionante. Il mio autobus mi lascia fuori il settore ospiti, visto che viaggiavo con dei tifosi, quindi inizio ad incamminarmi chiedendo dove fosse la tribuna stampa. La polizia sembra non saperlo, finchè un agente non mi dice (in perfetto inglese) che si trova duecento metri più in là. Cammino assieme al cameraman ma in pratica ci ritroviamo nella zona parcheggi. Immensi, facilmente accessibili in quanto tutto attorno allo stadio non ci sono abitazioni ma tantissime rampe che conducono all’interno (in pratica sia per entrare che per uscire ci vogliono cinque minuti, anche se ci sono sessantamila spettatori). Ammiro la cosa, ma devo ancora risolvere il problema. All’ingresso dei parcheggi ci sono gli steward e ne noto una che entra di diritto nella top-five delle donne più belle che abbia mai visto. Vi tralascio i particolari, ma lei ci lascia passare e ci troviamo nelle rampe interne, che sono come uno di quei quadri dove non capisci se quelle scale sono in salita o in discesa. Ad un certo punto ci ritroviamo in alto e vediamo lo stadio… sotto di noi!
Scendiamo una rampa lunghissima ed arriviamo in un piazzale dove ci sono mille stand che vendono magliette, gadget, cibarie (ovviamente nessun abusivo). Il clima è disteso e festoso, quasi quasi mi fermerei a dare uno sguardo. Fuori ad un cancello trovo l’unico tedesco che non parla inglese, ma per fargli capire che siamo giornalisti comincio a nominare quotidiani tedeschi. Lui capisce e sempre in tedesco mi dice dove andare; io faccio lo stesso in italiano ma capisco dai gesti. Finalmente arriviamo all’entrata della tribuna stampa… e qui comincia la meraviglia. Dopo aver detto il cognome loro ti lasciano passare con una card attraverso dei tornelli stile metropolitana e ti consegnano un braccialetto. Mentre il mio cameraman lascia la telecamera agli incaricati (gentilissimi e celeri) in quanto non avendo i diritti possiamo trasmettere solo dopo il termine dell’incontro, io mi faccio dare i dati per il wi-fi (incredibilmente potente, anche nei bagni). Accediamo alla sala-buffet, ma sarebbe riduttivo chiamarla così. Una tavolata enorme piena di ogni tipo di cibo, bibite a volontà, tavolini e poltrone comodissime. Siamo tantissimi là dentro, ma anche se entrassero altre trecento persone ci sarebbe posto per tutti. Le hostess si avvicinano in continuazione chiedendo “italiano?”, e già questo basterebbe. Mi servo e mi accomodo accanto a Luca Marchegiani, che mi saluta come se sapesse chi sono.
Mentre mi guardo attorno e seguo le immagini sui maxischermi posti attorno alla sala, mi dimentico completamente della partita. Quando mi sveglio dall’incanto vado in tribuna stampa prendendo posto una fila avanti ai telecronisti. Scatenato come sempre Raffaele Auriemma, cronista del Napoli, ma forse lo è ancora di più il suo omologo tedesco. Arriva il foglio delle formazioni, mentre sui maxischermi partono le immagini di circostanza. Settore ospiti già pieno, stadio semivuoto. La vista del campo è eccellente, potrei colpire la gente in panchina lanciando il mio portatile. Una ragazza che vende ciambelle (quelle annodate, che sembrano giganteschi pretzel) mi spiega come funziona per comprare le bibite: in pratica ti danno una card ricaricabile con la quale fai gli acquisti, niente soldi in contanti. Naturalmente sono già pienissimo, dopo aver abusato del buffet, quindi non mi occorre niente.
C’è una umidità pazzesca, sembra di vedere una nuvola che ti viene addosso. Avete presente quei ristoranti che d’estate spruzzano quelle goccioline sui tavolini all’esterno per rinfrescare? Ecco, uguale. Si sta bene però, al coperto e con la tribuna riscaldata. Inizia la partita, sulla quale sorvolerò, ma la cornice è splendida. Calorosa e colorata la curva tedesca (stupenda la scenografia pre-gara), rovente come sempre il settore ospiti. Nell’intervallo penso che è così che si dovrebbe vedere una partita di calcio, ma quando partono le immagini dei gol da tutti gli altri campi me ne convinco ulteriormente. A fine partita riscendo nella mixed-zone per le interviste e mi accorgo che rispetto a quella alla quale sono abituato siamo anni luce avanti. C’è spazio per tutti ed intervistare i protagonisti è un gioco da ragazzi. Raccolgo i pareri di Rummenigge (in perfetto italiano, un vero signore) e Dzemaili. Dopo, finito il lavoro, mi accingo ad uscire, ma c’è tempo per un’altra sorpresa: mi lasciano un souvenir. C’è poco da dire, hanno avuto il mio consenso. La finale della Champions League 2011/2012 si può giocare all’Allianz Arena.
Chiudo con una top-five dei momenti più toccanti della trasferta.
1) Lo speaker tedesco che annuncia il gol. Dopo il consueto “Al minuto tot ha segnato…Marioooo..” ed il pubblico “Gomeeez!” (tre volte) c’è un qualcosa si particolare. Lo speaker dice “Scusate…mi potreste dire il punteggio? Bayern?”. Il pubblico “Unooo”. “Napoli?” “Zero”. “Grazie!”. “Prego!”. Discorso surreale.
2) L’organizzazione del negozio ufficiale. Preso d’assalto da una miriade di tifosi (in un negozio in Italia manco si sarebbe riusciti ad entrare) non perdono la calma ed in cinque minuti entri, compri ed esci tramite un sistema a catena di montaggio.
3) All’entrata dell’HB, la più famosa birreria del mondo, il mio cameraman mi chiede: “Ci saranno napoletani?”. Aprendo la porta veniamo accolti da un boato: “Juventino pezzo di…”. Si, decisamente c’erano.
4) Passa il pullman a prenderci in albergo per portarci in aeroporto dall’hotel: strada a senso unico, traffico bloccato per 6-7 minuti, una fila lunghissima di macchine si crea dietro di noi. Nemmeno un colpo di clacson.
5) Sull’autobus che ci porta dal gate all’aereo (questo a Napoli, prima della partenza) un tizio chiede ad un amico (e diceva sul serio, ve lo giuro) “Senti, ma sull’aereo se mi sento male posso aprire il finestrino?”.