La vera crisi dell'avvocatura



Libero professionista
: colui che svolge un’attività economica, a favore di terzi, volta alla prestazione di servizi mediante lavoro intellettuale. L’etimologia  deriva da “professare” cioè essere fedele a degli statuti ordinistici o regolamentanti una attività, mentre il termine freelance deriva dal termine medievale britannico usato per un mercenario (free-lance ovvero lancia-indipendente o lancia-libera), cioè, un soldato appunto professionista che non serviva un signore specifico, ma i suoi servigi potevano essere al servizio di chiunque lo pagasse.

Avvocato: dal latino advocatus, sostantivo derivante dal participio passato del verbo advoco = ad-vocatum = chiamato a me, vale a dire “chiamato per difendermi”, cioè “difensore”. Libero professionista che svolge attività di assistenza e consulenza giuridica e/o legale a favore di una parte.

Lavoro subordinato: informalmente detto lavoro dipendente, indica un rapporto nel quale il lavoratore cede il proprio lavoro (tempo ed energie) ad un datore di lavoro in modo continuativo, in cambio di una retribuzione monetaria, di garanzie di continuità e di una parziale copertura previdenziale.Continua a leggere…

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La disoccupazione adulta, altro che giovanile

Disoccupazione giovanile: un incubo il primo termine, una consolazione il secondo. Soprattutto se dentro quei dati pensi di essere contemplato pure tu – trentenne – e anche tu, quarantenne che ti illudi di essere ancora giovane e credi inutilmente di avere tutta la vita davanti. Già, perché in Italia a quarant’anni ti considerano ancora un ragazzo. Non i dati però. I numeri non mentono e la carta d’identità neanche.Continua a leggere…

Fiat, Pomigliano verso un nuovo stop

Non c’è pace a Pomigliano: l’ennesimo tonfo del mercato dell’auto, probabilmente, farà scattare l’ennesimo blocco delle produzioni a novembre. Se questa decisione venisse confermata dai vertici della Fiat, significherebbe il quarto stop da agosto nella grande fabbrica di Pomigliano – produttrice della nuova Panda – la cui catena di montaggio è attualmente ferma fino alla ripresa prevista per il giorno 8 ottobre. C’è quindi ancora il rischio di una forte cassa integrazione e i sindacati, anche se ancora una volta in maniera non unitaria, daranno battaglia. Nei giorni scorsi c’è stata una manifestazione del comitato di lotta dei cassintegrati che sono scesi in piazza con cortei e blocchi stradali, sotto le sigle della Fiom, della Confederazione Cobas e dello Slai Cobas.

Nel 2010, dopo tante manifestazione e un’infinità di polemiche, i vertici dell’azienda e i sindacati trovarono l’accordo riguardante la produzione della nuova Panda. Furono tanti i contrasti anche tra gli operai all’interno dell’azienda. La situazione sembrava essere più tranquilla ma ora, con il rischio di una nuova lotta sindacale e una nuova Cassa Integrazione per gli operai, è tornato un clima di grande tensione. Nei giorni scorsi Fim, Uilm, e Fismic hanno convocato le assemblee di tutti i lavoratori, ma senza la Fiom. Non sarà dunque possibile organizzare un’assemblea unitaria per discutere della situazione in cui si trova il settore automobilistico.

Questa decisione di alcune organizzazioni sindacali ha suscitato la reazione della Fiom che aveva più volte invocato un’assemblea unitaria, ma le altre sigle sindacali hanno risposto che, visto che nel 2010 la Fiom rifiutò di sottoscrivere l’accordo per la nuova Panda, non ci sono le condizioni per dar vita a un percorso unitario.

Insomma, le polemiche relative al 2010, quando ci fu anche un referendum su cui dovettero esprimersi gli operai, non sono mai state veramente dimenticate. Dall’altro lato i vertici dell’azienda continuano a ripetere che gli operai non saranno dimenticati e che la priorità della Fiat è quella di salvaguardare il loro posto di lavoro: dichiarazioni, però, a cui non crede più nessuno.

Tutte queste polemiche non vanno certo nell’interesse degli operai, che alla fine saranno gli unici a pagare le conseguenze di questa drammatica situazione in cui lo stabilimento di Pomigliano si trova da anni. Soltanto la Fabbrica Italia Pomigliano conta 2150 dipendenti, mentre nella Fiat Group Automobiles i lavoratori, indotto compreso, sono circa 3000, la maggioranza dei quali è in cassa integrazione da molto tempo.

Vedremo cosa succederà nei prossimi giorni, ma di sicuro non mancheranno altre polemiche strumentali che, come sempre, andranno contro i veri interessi degli operai.

 

Il paese dei dinosauri

L’ultimo rapporto Almalaurea sulla condizione occupazionale dei laureati è stato presentato a marzo. Sebbene l’anno accademico sia ormai agli sgoccioli, è bene tenere a mente qualche risultato dell’indagine, riguardante principalmente il profilo dei laureati del 2010 e la loro occupazione nel 2011.

Con la crisi, i laureati occupati nelle professioni più qualificate sono diminuiti, contrariamente non solo a quanto avvenuto negli altri paesi occidentali ma soprattutto alla logica. In parole povere: meno posti di lavoro sono disponibili e – paradossalmente – meno contano il titolo di studio e il merito. Di fronte a certi dati il buon senso e la razionalità cedono il passo. Pura miopia da parte di chi dovrebbe assumere o precisa scelta imprenditoriale dettata da una contrazione della spesa a scapito della qualità e dell’efficienza della produzione? Verrebbe da rispondere “entrambe” ma, riflettendo, la seconda è una diretta espressione della prima.

Una seconda conclusione rilevante del rapporto riguarda il numero di laureati, nettamente inferiore rispetto agli altri paesi OCSE (20 laureati su 100 di età compresa tra 25 e 34, contro una media di 37). Questo dato delude ma non stupisce: d’altronde, se la laurea non conta più, perché fare sacrifici per anni, sempre a patto di poterseli permettere?

Cosa fa il nostro paese per valorizzare la laurea e l’istruzione? Sceglie di non finanziare università, cultura, ricerca e sviluppo. Siamo agli ultimi posti nelle graduatorie europee per percentuale di PIL investita in questi settori. Si parla di paese, non di Stato, perché solamente poco più della metà di questi finanziamenti proviene dalle imprese. Questo è un ulteriore indice della miopia con cui il settore privato guarda al futuro e alla sua stessa sopravvivenza.

Aumenta la percentuale di laureati disoccupati a un anno dal conseguimento del titolo, fra gli specialistici ancora più che fra i triennali. Al contempo diminuisce la retribuzione media dei laureati, pari a 1105 euro per i triennali e 1080 euro per gli specialistici. Ennesimo paradosso: chi ha studiato di più ha meno possibilità di trovare un lavoro e per di più guadagna di meno!

La meritocrazia? Un miraggio. Quello che dovrebbe essere il faro di ogni paese, soprattutto di quelli che si autodefiniscono avanzati, si è ridotto a un lumicino di tanto in tanto esibito per attirare le farfalle. Come si fa a parlare di meritocrazia quando, ultimo in ordine di tempo fra i troppi esempi adducibili, si è riusciti a scongiurare un taglio di 200 milioni di euro di finanziamenti all’università, ma non un altro, di 210, a numerosi enti di ricerca? E questi ultimi dovrebbero anche ringraziare, visto che inizialmente si era serenamente pensato di sopprimerli.

Il quadro si completa e si comprende meglio pensando all’età media della classe dirigente italiana, la quale non comprende solo politici (espressione di una società più che “causa dei mali”) ma professori universitari, manager, imprenditori, magistrati e via discorrendo. Famosa è la scena dell’esame universitario ne “La meglio gioventù”: le parole del professore non sono un invito né un auspicio, ovviamente, ma si delineano ogni giorno più chiaramente nella sfera di cristallo dell’Italia.

Rapporto Istat, tanti numeri e poche speranze.

L’Italia è un paese penalizzato dalle turbolenze internazionali, ma paga anche il prezzo dei propri ritardi sociali e culturali. E’ quanto emerge dal rapporto annuale Istat, pubblicato lo scorso 23 maggio sul quotidiano “Il Mattino”. Al sud una famiglia su quattro è povera e la qualità dei servizi sociali è nettamente inferiore alla media nazionale. In termini pro capite il reddito delle famiglie è del 4% in meno rispetto al 1992 e del 7% in meno rispetto al 2007. È aumentata, invece, l’incidenza delle prestazioni sociali erogate dallo stato. Nel 2000 il livello dei prezzi in Italia era pari al 95% di quello della media dell’Unione Europea, mentre in Germania superava la media di dieci punti. Oggi, dopo un’inflazione cumulata, sia l’Italia che la Germania sono al di sopra di quattro punti. In pratica ciò vuol dire che gli italiani si sono allineati ai tedeschi soltanto per quanto riguarda il costo della vita, ma non per la produttività. Per quanto riguarda il lavoro, i tradizionali punti di forza resistono, anche se in alcuni settori siamo un po’ indietro. La specializzazione manifatturiera, ad esempio, rimane quella degli anni ’70, con il ruolo delle imprese che si riduce sempre di più. L’economia resta basata sull’export.

Anche il mercato del lavoro ha subito delle notevoli trasformazione negli ultimi venti anni. Il numero degli occupati è cresciuto di 1,3 milioni di unità, mentre il tasso di occupazione è passato dal 53,7% al 56,9%. Le retribuzioni contrattuali sono ferme dal 1993. All’interno di questa tendenza generale, però, qualcosa è cambiato. Il numero dei maschi occupati è sceso, mentre l’occupazione femminile è aumentata di 1,7 milioni di unità, quasi esclusivamente nel centro-nord. Tuttavia, il tasso di occupazione femminile resta il più basso rispetto alla media europea. Ciò anche perché le neomamme che mantengono il posto di lavoro sono soltanto il 77%. In pratica, il 23% delle donne che partoriscono preferisce lasciare il lavoro, oppure, come spesso accade, le aziende preferiscono non proseguire il rapporto di lavoro con le neomamme.

L’economia sommersa, più comunemente conosciuta come lavoro nero, è in leggero calo. Sono diminuiti anche gli occupati al sud: circa 200.000 inmeno rispetto al 1995.

La novità più rilevante è la diffusione delle nuove tipologie contrattuali più flessibili, in particolare tra i giovani. Il numero degli occupati a tempo determinato è cresciuto del 48% e si trovano in questa tipologia lavorativa oltre un terzo di coloro che hanno tra i 18 e i 29 anni. Gli investimenti per la ricerca sono dell’ 1,26% in meno rispetto alla media dell’Unione Europea.

Infine, ci sono delle novità anche riguardo al risparmio. Gli italiani hanno sempre avuto una forte propensione al risparmio, ma negli ultimi anni questa tendenza si è affievolita. Negli ultimi quattro anni la propensione al risparmio è scesa dal 12,6% all’8,8%.

La situazione generale è abbastanza drammatica e la gente comincia a perdere anche le speranze. Secondo alcuni sondaggi gli italiani non hanno alcuna fiducia nelle attuali forze politiche.

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Scuola, il caos continua

Ormai la scuola italiana non ha più pace e ora è scattata anche la rivolta dei presidi. I dirigenti scolastici assunti l’1 settembre 2010 hanno un trattamento economico di serie B. Nella loro busta paga, infatti, non c’è l’indennità accessoria variabile che consiste in 854 euro lordi al mese, una cifra stabilita dal Contratto Integrativo Regionale (CIR), basata sui fondi stanziati dall’amministrazione centrale, divisi su base regionale in rapporto al numero di dirigenti. Il CIR viene firmato di anno in anno, proprio in base ai fondi. I soldi in ballo consistono in un tesoretto di 18,7 milioni di euro, calcolato in base a un numero inferiore di dirigenti scolastici rispetto all’organico attuale. L’anno scorso non è stato trovato l’accordo tra i sindacati e il direttore scolastico regionale. In pratica, la situazione è paradossale: ci sono dirigenti che percepiscono l’indennità definita da vecchi contratti e altri che non percepiscono nulla perché l’indennità non è stata ancora determinata. I presidi neoassunti hanno uno stipendio ridotto; i vecchi presidi, invece, rischiano di dover restituire le somme percepite in più rispetto alla contrattazione regionale. Alcuni dirigenti scolastici, in contatto con la direzione provinciale del Tesoro, hanno inviato la proposta (atto unilaterale introdotto dall’ex ministro Renato Brunetta) all’UCB (Ufficio Centrale di Bilancio) nel giugno scorso senza, però, avere risposta. L’esito di questa proposta si conoscerà soltanto nei prossimi mesi. Chi non ha percepito nulla si troverà con gli arretrati; chi, invece, ha percepito di più (circa 1200 persone), dovrebbe essere costretto a versare di più.

A tutto ciò si aggiunge l’incertezza di quei docenti che hanno maturato l’uscita dal servizio il 31 dicembre 2011. La materia riguardante i pensionamenti del personale della scuola è molto complessa e, per giunta, c’è un certo ritardo nell’emanazione della circolare ministeriale che dovrebbe chiarire la posizione di chi è intenzionato ad andare in pensione. Questo ritardo è dovuto ad un pasticcio del Governo nell’emanazione del decreto Milleproroghe. In questo decreto, con la nuova normativa si è regolarizzata per tutti i lavoratori la data del 31 dicembre. Per quanto riguarda la classe docente, il momento del pensionamento era calcolato in data 1 settembre. Lo spostamento della data di pensionamento obbliga molti lavoratori che avevano maturato il diritto al pensionamento in data 1 settembre a un periodo forzato di lavoro. Sembra certo, invece, che per i pensionati a domanda si applichino le disposizioni pre-vigenti, vale a dire il sistema delle quote oppure 40 anni di servizio; per le donne vale ancora il dato anagrafico. Tutto ciò, però, se il diritto al pensionamento è stato maturato con i requisiti richiesti al 31 dicembre 2011. I docenti nati nel 1952 sono i più penalizzati perché il ritardo nel pensionamento li spingerebbe a lavorare per altri 5-6 anni. Si spera che dal ministero dell’Istruzione arrivi presto una circolare che possa finalmente chiarire i tanti punti controversi.

Ovviamente, a tutto ciò bisogna aggiungere i problemi endemici della scuola italiana: strutture fatiscenti, mancanza di assistenza agli studenti portatori di handicap, docenti eternamente precari e tanti altri problemi mai risolti. Si spera che un giorno la scuola italiana possa uscire dallo stato di oggettiva difficoltà in cui si trova e mettersi al passo delle altre scuole europee.

(pre)Cari Amici #5 – La Società da costruire

[stextbox id=”custom” big=”true”]Torniamo a parlare di precariato e lo facciamo presentandovi Daniele Mariani, autore del libro “L’elogio dell’indignazione“. La redazione di Camminando Scalzi ha proposto a Daniele di riadattare per la blogzine l’ultimo capitolo del libro; il post va così ad arricchire la rubrica (pre)Cari Amici, che raccoglie le storie di precariato inviateci da voi lettori.

A questo link trovate le altre storie pubblicate negli scorsi mesi su Camminando Scalzi.[/stextbox]

Cosa faccio, diciamo, non è una novità rispetto al panorama giovanile attuale. Chi sono, posso rispondere con un più semplice “cosa pensavo che sarei potuto essere”: ho quasi trent’anni e ho sempre immaginato questo capitolo della mia vita come un momento dove chiudevo serenamente il mio periodo giovanile, o per meglio dire il tempo delle “cazzate” e mi incamminavo verso l’era delle scelte (tutto questo ovviamente se paragonato alla vita dei miei genitori), e invece paradossalmente sembra che le uniche scelte di senso fatte fino a oggi, anche se inconsapevoli, le abbia vissute nel periodo compreso tra l’infanzia e la fine dell’università, dove appunto c’era qualcun altro a scegliere per me. Non perché ora non sappia scegliere, né perché non abbia preso decisioni, ma semplicemente perché qualsivoglia scelta sia stata intrapresa non era, per usare lessico da risorse umane,  “corrispondente al profilo richiesto”.  Molte domande hanno affollato la mia testa sul come andare avanti, su cosa inventarmi, se valeva la pena perseguire la stessa strada o cambiare completamente per ricominciare da capo… per quanto però mi impegnavo a cercare una risposta, una soluzione, sentivo che il problema non era prevalentemente rispetto a ciò che avrei potuto avere, trovare o cercare, bensì rispetto a chi sono; perché sentivo che il lavoro non era la soluzione. Allora ho smesso di guardare in avanti (un po’ per non alimentare false speranze, un po’ per imparare a godermi il presente, un po’ per non rinunciare al piacere delle sorprese) e ho cominciato a guardarmi intorno: vedevo tanti “me”, non nell’accezione di un ego smisurato, bensì nella comunione di intenti, esperienze e sensazioni. Così, come un viaggio a ritroso, ho iniziato a guardarmi dentro, e allora ho trovato le cause di questo mio peregrinare senza meta tra me e il mondo: “Siamo definiti una generazione fortunata perché non abbiamo vissuto la guerra, perché non soffriamo la fame e conduciamo vite agiate; la guerra però l’abbiamo avuta dentro le nostre famiglie, ci sono giovani che soffrono di bulimia o anoressia, mentre il comfort ci ha reso schiavi della noia. Siamo stati educati dalla televisione, cresciuti a “pane e lieto fine”; i sogni però non sono stati rifugio sufficiente dalla problematicità e la realtà non ha offerto un’alternativa concreta alla fantasia. Ci hanno insegnato il rispetto, facendoci innamorare della bellezza del Creato e delle genti; però sottostiamo tutti a regole economiche che non solo hanno inquinato il mondo, ma i cuori, seminando odio da oriente a occidente. Ci hanno fatto credere che la società si divide in vincenti e perdenti, che si può essere di successo anche senza saper fare niente, e di essere alternativi sempre e comunque; nessuno però ci ha detto che i veri eroi non sono perfetti come nei media, ma sono quelli che faticano quotidianamente, cadono e si rialzano… e magari muoiono lavorando.

Pensavo che modernità significasse anche tutela degli indifesi; qui anziani e bambini sono lasciati a loro stessi; da altre parti ci sono bambini che “giocano” a fare il soldato in sporche guerre, altrove sono diventati essi stessi giocattoli per adulti. Pensavo che pari opportunità significasse una società con ruoli che prescindessero dal genere; alcune donne invece hanno dovuto rinnegare la propria femminilità per stare al passo del “branco”, mentre altre hanno dovuto sbattere in vetrina solamente la propria femminilità; al resto non è stata data altrettanta visibilità.

Ci hanno detto «Studia», così noi giovani abbiamo collezionato tanti “pezzi di carta”; poi ci hanno “parcheggiati” in tirocini sottopagati, regredendo a fare manovalanza da ufficio; infine ci richiedono esperienze lavorative qualificanti ma non ci hanno dato la possibilità di qualificarci. Volevo essere giornalista ma non basta per sopravvivere; credere nell’amore ma oggi tutto dura quanto un’emozione; vivere secondo valori ma sembra che ora i valori siano mossi solo dall’interesse. Il vero precariato è stata la condizione esistenziale di contraddittorietà che abbiamo vissuto e con cui siamo cresciuti, non la misera ricerca del lavoro. Non domandateci più che tipo di lavoro sogniamo, non ricordateci il lavoro che cerchiamo e non troviamo, non fateci lavorare ancora di fantasia per inventarci un lavoro. Chiedeteci solo che società vorremmo costruire”.

Daniele Mariani

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Licenziamenti facili, ecco la soluzione

In questi giorni concitati, il Governo si trova a far fronte ai problemi finanziari di un Paese sempre più senza una guida solida e forte. Tra le varie idee brillanti che sono saltate fuori, spiccano gli emendamenti approvati in Commissione Bilancio che prevedono deroghe alla legislazione lavorativa vigente e ai contratti collettivi nazionali.

Nella pratica i contratti lavorativi potranno essere trattati e discussi anche in deroga alle attuali leggi vigenti, compreso il discorso sui licenziamenti. Questo in cosa si traduce? Le aziende avranno la possibilità di “licenziare” più facilmente i propri dipendenti (restano fuori dalle deroghe solo le donne vicine a matrimonio e gravidanza) attraverso accordi con i sindacati interni. Secondo Susanna Camusso di CGIL, questa è legge è “anticostituzionale”, e mira a distruggere l’autonomia dei sindacati nazionali. In concreto è un modo per aggirare completamente il contratto nazionale collettivo. Se l’azienda riesce ad accordarsi internamente con le rappresentanze sindacali, potrà arbitrariamente e senza alcun referendum interno modificare i vigenti contratti nazionali. Sarà, quindi, anche più facile licenziare.

L’articolo 18 diventa così sempre più labile, ed è inevitabile sottolineare come questa maggioranza continui a penalizzare i lavoratori, inseguendo la chimera della ripresa economica. Rimane un mistero per noi (che non ne capiamo molto di economia, ma qualcosa lo intuiamo), ma anche per gli addetti ai lavori, come una “maggiore mobilità” (chiamiamola così) possa risollevare le sorti della nostra economia. Dare più potere alle aziende significherà inevitabilmente togliere sempre più libertà ai lavoratori, libertà conquistate negli anni con dure lotte faticose. E chi ci assicura che le aziende non si accorderanno internamente per modificare i contratti con i loro stessi sindacati-rappresentanti “di comodo”? Chi impedisce ad un’azienda di mettere i lavoratori gli uni contro gli altri dicendo “o ne licenziamo tot, o si chiude”? Insomma, sembra l’ennesimo enorme pastrocchio, poco incisivo dal punto di vista del rilancio economico e assolutamente mutilante nei confronti dei diritti dei lavoratori.

Nel frattempo leggiamo che le misure anti-evasione e in generale le sanzioni per chi si fa beffe del Fisco diventano addirittura più “morbide”. Spariscono le dichiarazioni dei redditi online in nome della privacy, non c’è più l’obbligo di allegare alla dichiarazione dei redditi gli estremi dei conti correnti bancari e dei rapporti con gli operatori finanziari, rimane soltanto il carcere per i grandi evasori, ma in maniera non retroattiva. Insomma, si poteva pescare nell’immenso mare dell’evasione fiscale, dei milionari che non pagano le tasse e vanno a farsi le vacanze in Costa Smeralda, magari gli stessi milionari che sono a capo di aziende che un domani potranno decidere la vita dei singoli lavoratori in base a come gira il mercato.

E invece si è preferito ancora una volta limitare i diritti della gente comune, di chi deve portare il pane a casa e rischia ogni giorno di più di rimanere senza lavoro. Tra contratti a progetto, cocopro, licenziamenti facili e chi più ne ha più ne metta, il lavoro in Italia diventa sempre più una chimera irraggiungibile.

Tirocini retribuiti: un esempio da seguire…

S’intitola “Giovani sì” il progetto avviato nella Regione Toscana per cercare di dare una spinta di miglioramento alle nuove generazioni, oggi schiacciate dalla mancanza di lavoro e di prospettive.

Un totale di oltre 334 milioni di euro stanziati, tra il 2011 e il 2013, per avviare una serie di interventi di sostegno all’occupazione e all’imprenditoria giovanile, con contributi per l’affitto e l’acquisto della casa.

Lo scorso 9 maggio la Giunta della Regione Toscana ha ad esempio approvato una “carta dei tirocini e stage di qualità“, che definisce le linee guida per la stesura di una legge regionale che si pone l’obiettivo di evitare l’abuso di questi “percorsi formativi”: troppo spesso utilizzati dalle aziende col solo scopo di accaparrarsi manodopera capace e competente a costo zero.

Come si legge nel blog del progetto Giovani sì, “la Regione Toscana cofinanzia tirocini e stage presso le imprese, con borse di studio (a titolo di rimborso) di 400 euro mensili. Di questi, 200 sono a carico dell’azienda e 200 della Regione. Sono esclusi stage e tirocini curriculari promossi da università, istituzioni scolastiche, centri di formazione professionale. Il giovane che accede al tirocinio deve essere inoccupato o disoccupato/in mobilità.

Se l’azienda, alla fine del tirocinio, decide poi di assumere il giovane (di età compresa fra i 18 e i 30 anni) con un contratto a tempo indeterminato, la Regione mette a disposizione incentivi pari a 8 mila euro, che saranno elevati a 10 mila euro in caso di tirocinanti appartenenti alle categorie previste dalla legge sul diritto al lavoro dei disabili”.

Nel 2010 in Toscana sono stati attivati circa 15 mila stage, circa 4000 in più rispetto al 2008, e l’esperienza personale mi dice che molti di questi non abbiano realmente coinvolto persone inesperte, alle prese con la prima esperienza lavorativa…

Questa norma servirebbe dunque a garantire una base economica ai giovani stagisti che vivono in questa regione, ma soprattutto a sensibilizzare ed educare le aziende che spesso abusano di questo strumento.

E dopo che la Toscana avrà approvato la sua legge sulla retribuzione degli stage, la speranza sarà quella di assistere a un contagio nazionale di questa politica.

Un primo passo è stato quasi compiuto: sintomo di un problema che finalmente comincia a essere avvertito anche da coloro che non ne sono direttamente coinvolti…

Che qualcosa stia davvero cambiando?

Polso di Puma – Non c'e' solo chi cerca lavoro

Il giovane attuale secondo me è un po’ traviato ormai.

Ma non riesce più ad ammetterlo, questo è il vero problema.

È come chiedere a qualcuno se ha votato l’attuale presidente del consiglio… Nessuno lo ammette!

Sono quelle cose strane ma che accadono e sono incontrollabili. Vi sto parlando del fatto che ormai questo neolaureato, questo diplomato, questo scuola-dell’obbligato, non puo’ più guadagnare mille euro al mese! Non può fare l’inserviente o l’operatore ecologico, non può usare le mani per lavorare!

Tra un aperitivo, una serata in discoteca, uno status su facebook da casa e uno dall’iphone è ormai sfuggito il senso del lavoro (“che non c’è“, voi direte), ma più di tutto il senso delle proprie possibilità. Ok è una banalità il fatto che tutti vivano al di sopra delle proprie possibilità; che la competizione, l’apparire appiattisce i bisogni – che diventano uguali per tutti i ceti – e che non tutti possono affrontare certe spese ma lo fanno lo stesso. Ma secondo me le banalità non vanno lasciate stare lì, a zonzo.

Allora ricapitoliamo: la gente si lascia condizionare e vuole tutto quello di cui non ha bisogno per un continuo apparire simile al vicino, al capo, a quello della tv.

Bene.

BENE?

Male! Ma le cose peggiori sono quando a essere travolti da questo tipo di crisi sono i famosi ragazzi “con la testa a posto”. Che si sentono fuori dal gregge. Si sentono così fuori che non possono fare quello che fanno gli altri. Si sentono superiori, si sentono limitati, sentono che la propria terra non offre niente, sentono che devono fuggire, sentono che devono avere posti di responsabilità, pensano che la responsabilità del matrimonio o di un figlio è pesante senza aver fatto ancora carriera, pensano, come insegna mediobanca, che il mondo giri intorno a loro.
Questo di sicuro non era un atteggiamento dei nostri genitori. Questa arroganza, questo protagonismo… Mi puzza!

Nel film “il padrino” c’è la frase mitica: “il potere logora chi non ce l’ha“. E ok, può essere.

Ma quanti esempi conosciamo di gente che invece di potere ne ha e ne viene logorata?

Ci sono persone capaci, persone fortunate e persone che impiegano la loro vita nel raggiungimento dei loro obiettivi. Onore a loro.
La mia potrebbe essere una questione stupida, ingenua.

Ma mi chiedo: se fossimo tutti più consapevoli di essere normali, se iniziassimo a pensare tutti di dover fare una vita da onesto lavoratore per 40 anni, vivremmo meglio?

Oppure i sogni aiutano a vivere?

Il punto è che questo nostro mondo nel quale dobbiamo essere tutti straordinari, tutti dobbiamo ostentare la nostra unicità, inevitabilmente ci rende tutti uguali. E allora tutte le ragazze si descrivono pazzerelle,  tutti i ragazzi pensano di essere bulletti o imprenditori in erba, mentre dietro di loro c’e’ tanta tanta insicurezza.

Il molosso
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Gli articoli della rubrica “Polso di Puma” sono reperibili anche sul blog www.polsodipuma.blogspot.com

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