A volte nella vita succedono delle cose che non riesci assolutamente a decifrare, cose che sul momento ti lasciano un senso di vuoto e di sconforto. Questo è accaduto ad Alex Zanardi il 15 settembre del 2001, giusto quattro giorni dopo un altro evento che ebbe una ripercussione sul mondo come poche altre volte era successo nella storia dell’era moderna. All’Eurospeed Lauswitz, in Germania, dove già aveva perso la vita Michele Alboreto, Zanardi dopo un rifornimento ai box in una gara che stava dominando perse inaspettatamente il controllo della sua vettura rendendosi protagonista di un incidente spaventoso. La sua auto si spaccò in due e la vettura di un altro concorrente gli tranciò di netto le gambe, portandolo ad un passo dalla morte. Incredibilmente, dopo due settimane di coma farmacologico, Alex ce la fece, pur sapendo che non avrebbe mai più camminato sui suoi arti inferiori.
C’è un modo di dire che indica la perdita di ogni speranza, ovvero “questa cosa mi ha proprio tagliato le gambe”. Evidentemente Zanardi non ha fatto suo questo modo di dire, perché è ripartito proprio da quel momento iniziando una carriera che l’avrebbe portato a conquistare quella che è la cosa più ambita per uno sportivo: un oro olimpico. La sua carriera da normodotato del resto non era certo stata indimenticabile. Dopo l’inizio nei kart e la lunga trafila che è propria alla maggioranza dei ragazzi che magari ha il sogno nel cassetto di guidare un giorno “la rossa di Maranello”, approda finalmente in Formula 1 nel 1991, all’età di venticinque anni, quando Eddie Jordan gli chiede di sostituire Michael Schumacher (non proprio uno sconosciuto). Al debutto un ottimo nono posto e la conferma come terza guida, poi il passaggio alla Lotus e un brutto incidente a Spa (si, a volte la sorte sembra veramente prenderti per i fondelli). Una serie di risultati deludenti lo costrinse ad abbandonare la Formula 1 per passare alla Cart (quella per cui vanno pazzi gli statunitensi).
Dopo un fugace “come-back” nel mondo dei Gran Premi ci fu la seconda “fuga” verso il Cart, che però gli sarebbe costato tanto per il suddetto incidente. Addio motori? Non per lui. Grazie a delle protesi (fortunatamente siamo nel nuovo millennio e la tecnologia può fare miracoli) torna a guidare e non solo, perché ottiene alcune incredibili vittorie dimostrando che evidentemente l’abilità nella guida risiede nell’animo e non nel fisico. La svolta decisiva però arriva quando decide di partecipare a manifestazioni per disabili una volta terminata la carriera di pilota. Sceglie l’handbike (bicicletta dove pedali appunto con le mani) e si scopre un vero talento. Esordisce col botto con un quarto posto alla Maratona di New York del 2007 ed è un crescendo fino alla vittoria nel campionato italiano nel 2010, l’argento nella crono mondiale del 2011 e il successo con record del percorso alla Maratona di Roma. Fino all’evento più recente. Si presenta alle Paralimpiadi di Londra 2012 per la prova su strada e per quella a cronometro, con esito uguale: ORO. Più un argento nella staffetta a squadre. D’obbligo renderlo portabandiera della cerimonia di chiusura.
Ora, sembra assurdo pensare che una disgrazia come quella capitata a Zanardi possa trasformare un pilota dalla carriera quasi anonima in un supercampionissimo olimpico e una vera e propria icona dello sport, ma soprattutto un vero e proprio orgoglio del nostro paese. Sembra assurdo ma è così. Anche un accadimento tremendo da sopportare può essere visto come un punto di partenza piuttosto che come uno d’arrivo a condizione di avere un’infinita voglia di vivere e un’infinita voglia di dimostrare al destino che se ti volta le spalle puoi fregartene e fare a modo tuo, diventando una leggenda in barba alla cattiva (ma agli occhi degli altri) sorte.
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