Brian Clough: miglior bomber e miglior allenatore di sempre?

In Inghilterra è un’icona da sempre, anche se otto anni fa è venuto a mancare. Qui da noi però è un personaggio troppo poco conosciuto ed è un sacrilegio per ogni amante del calcio, visti i suoi numeri e i suoi straordinari record. Parliamo di Brian Clough, centravanti e successivamente allenatore inglese, che ha realizzato cose attualmente difficili da eguagliare. Ma andiamo con ordine.Continua a leggere…

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Raul, il colchonero che ha fatto la storia dei nemici

Raul Gonzalez BlancoA volte la storia gioca degli strani scherzi. A quanti genitori è capitato che i propri figli diventassero quello che non volevano? Senza addentrarci nel sociale ed attenendoci squisitamente all’ambito sportivo, ci riferiamo ad una “offesa” che a tanti papà capita di subire: il proprio figlio diventa tifoso della squadra sbagliata, magari i rivali di sempre. A qualcuno però va anche peggio. Il padre di Raul Gonzalez Blanco, calciatore che è riuscito ad ottenere numerosi riconoscimenti e a rendersi famoso col suo nome piuttosto che col cognome (meraviglia del balompié spagnolo), lo ha visto addirittura diventare la bandiera, il simbolo, il fulgido esempio della grandezza dei “nemici giurati”. Già, perchè tanto Raul quanto suo padre sono da sempre tifosissimi dei “colchoneros” (così chiamati da quando venne istituita la maglia biancorossa, perché divise del genere erano facilmente ricavabili dai fondi dei materassi, cosa questa che valse ai giocatori e ai tifosi della squadra il suddetto soprannome) e speravano di fare la storia del team della capitale. Raul infatti inizia la sua carriera ufficiale nelle giovanili dell’Atletico Madrid, firmando all’età di tredici anni per la squadra del cuore, dove da esterno di centrocampo segna 55 gol nella sua prima stagione e 65 nella seconda (di cui otto in una sola partita) vincendo sempre il campionato di categoria.Continua a leggere…

Una partita che si gioca… un quarto di secolo fa

Erano gli anni ottanta. Tutto era diverso. C’era ancora l’Unione Sovietica, il Muro di Berlino era ancora in piedi, passava la cometa di Halley, i Duran Duran spopolavano fra le ragazzine, Berlusconi comprava il Milan, esplodeva una centrale nucleare a Chernobyl e Maradona entrava nella leggenda con la “Mano de Dios” ed un gol pazzesco contro l’Inghilterra. Ma se si chiede ad un napoletano quale avvenimento ricorda del 1986, qualsiasi appassionato di calcio citerà la vittoria a Torino del 9 novembre. Il team di Ottavio Bianchi giocò un match memorabile andando a espugnare il “Comunale” (per oltre metà ospitante tifosi azzurri) per tre a uno, dopo aver rimontato l’iniziale vantaggio bianconero firmato da Laudrup con i gol di Ferrario (uno che andava nella metà campo avversaria tre volte all’anno), Giordano e Volpecina. Cosa significò per i napoletani lo spiega meravigliosamente Maurizio De Giovanni, un bravo scrittore partenopeo, nel suo libro “Juve-Napoli 1-3. La presa di Torino“. Quelli che per anni erano stati i “nemici di sempre” erano stati battuti. La ricca Juventus, dei ricchissimi e potentissimi Agnelli, simbolo del nord industrioso contro il sud meno sviluppato e che cercava una rivalsa nel mondo pallonaro.

Difficile non vedere un déjà-vu con quanto sta accadendo oggi, nel 2012. Entrambe le squadre appaiate in cima alla classifica, la Juventus considerata come la favorita numero uno al titolo, la giornata di campionato quasi uguale (ottava adesso, nona un quarto di secolo fa), la stessa speranza di coloro che intraprenderanno il viaggio verso il nuovissimo “Juventus Stadium“, capolavoro di architettura per visuale e comfort ma decisamente piccolo e che non potrà ospitare i quasi trentamila napoletani come nel 1986, nemmeno il dieci per cento. Intendiamoci, ci sono tante cose diverse. L’attuale squadra bianconera è decisamente la più forte del paese, forte di uno scudetto vinto meritatamente lo scorso anno, di una rosa molto competitiva, di un allenatore che per quanto bistrattato è senza dubbio bravissimo, ma soprattutto di un record di imbattibilità che dura da oltre un anno. La differenza con il Napoli sembra molto più marcata rispetto a quanto accadde anni fa. Però… c’è chi rivede in Cavani il fervore che soltanto il più grande giocatore di tutti i tempi, Diego Armando Maradona, aveva saputo dare ad un intero popolo. I suoi scudieri non sono Giordano, Carnevale e De Napoli, ma Pandev, Hamsik e Maggio.

No, decisamente non è una partita come le altre. Potrebbe anche non decidere nulla, è ovvio, siamo appena ad ottobre e questa lotta a due potrebbe anche spezzarsi in favore di qualcuno. Ma è da ingenui pensare che sabato 20 ottobre qualsiasi tifoso napoletano non si paralizzerà a seguire i propri beniamini, sognando quello che qualcuno vorrebbe tanto rivivere e quello che qualcuno vorrebbe vivere per la prima volta. Dall’altro lato ci sono la consapevolezza di essere la squadra più vincente della storia italiana a livello di scudetti (ventotto, ma come si evince da battute sempre più frequenti per qualcuno sono di più) e la pressione dello scomodo ruolo di favorito, ma anche per gli juventini sarà una gara tutta da seguire, proprio perché un testa a testa del genere non capita tanto spesso (soltanto nella stagione 1974-1975 Juventus e Napoli avevano battagliato per il titolo, andato poi a Bettega e compagni) e perché c’è appunto una imbattibilità da difendere. Voglia di vincere da ambo le parti dunque, con la consapevolezza che magari anche questa partita entrerà negli annali della storia del calcio, e magari qualcuno ci scriverà un libro per raccontare quanto accaduto in terra piemontese alle nuove generazioni.

Sfide del genere fanno solamente bene al nostro calcio, ultimamente fin troppo in ribasso. Se ci si ricorda che si tratta comunque di sport e non di questioni vitali, allora ci si può decisamente abbandonare a questa passione anche con settimane di anticipo. Che i tifosi delle due squadre si godano l’incontro, così come probabilmente faranno anche quelli di tutte le altre compagini, perché tutti vogliono veder fare la storia.

Euro 2012: riparla il campo, riparliamo anche noi

Ad inizio della scorsa stagione tentammo una ipotetica griglia di partenza in puro stile Formula 1 per analizzare quello che sarebbe stato il campionato vinto meritatamente dalla Juventus di Antonio Conte. Alcune previsioni si sono rivelate azzeccatissime, altre meno, a dimostrazione del fatto che i pronostici lasciano il tempo che trovano. Ma siccome il bello del mondo pallonaro è proprio questo ce ne possiamo fregare e ritentare lo stesso anche in ottica Euro 2012. Dopo un periodo nerissimo del nostro movimento calcistico, conciso con l’ennesimo scandalo legato alle scommesse, si può tornare a parlare di calcio giocato, lasciando che i tribunali facciano (speriamo, sarebbe veramente un’occasione da non perdere) piazza pulita di chi inquina questo sport già di per sé non proprio lindo come i pavimenti di un hotel a cinque stelle. Fare paragoni con quanto accaduto nel 2006 è simpatico e sicuramente non privo di fondamento, ma meglio lasciar perdere la cabala e concentrarsi sui dati oggettivi. Andiamo quindi ad azzardare la griglia delle sedici magnifiche, premettendo che il livello di un europeo è per certi versi anche più difficile di un mondiale, perchè non ci sono Arabia Saudita e Corea del Nord a fare da materasso, ma tutte squadre che hanno sudato sette camice per arrivare in Polonia ed Ucraina.

Prima fila: la finale dello scorso mondiale era assolutamente quella più giusta ed i valori in cima non sono poi così diversi. La Spagna parte in pole position nonostante qualche pecca in più rispetto al passato: mancherà un fuoriclasse come Puyol ed il bomber di sempre David Villa (entrambi infortunati) ma Del Bosque ha a disposizione un bacino importante in difesa e soprattutto sembra aver recuperato “El niño” Torres, che fu proprio il protagonista dell’Europeo del 2008. Otto vittorie su otto nelle qualificazioni, ventisei gol fatti e solo sei subiti. Aggiungiamoci anche che l’ossatura è composta da giocatori di Real Madrid e Barcellona, ovvero le squadre più forti del pianeta. Può bastare direi. Al suo fianco ancora l’Olanda, che ha giocatori importanti come Robben, Sneijder e soprattutto Van Persie (che potrebbe scatenarsi in questa competizione), ma paga il fatto di essere una delle squadre più “sfigate” della storia. Altro neo è la totale incapacità di vincere ai calci di rigore (quel che accadde a Euro 2000 per loro non è una eccezione, ma la regola), ma a parte questo la rosa è completa (oddio, un portiere forte magari) ed esprimono il miglior gioco del continente.

Seconda fila: Germana senza dubbio, e molto molto vicina alle prime due. Tanti giovani che non sono più promesse bensì certezze. Gente dai piedi buoni e tanti “naturalizzati” indovinati. Molto dipenderà da Gomez, che può far sfracelli e deve dimostrare di saper fare come Klose, ovvero segnare a raffica con la maglia della nazionale. Punto debole sembra essere la difesa, a volte troppo perforabile e poco sicura, ma ci sono sia i nomi sia il fatto di essere appunto “tedeschi”, ovvero freddi come non mai, capaci di arrivare fino in fondo quasi sempre e…sempre vincenti dal dischetto. Accanto a loro, ma con un secondo e mezzo automobilistico di distacco ci siamo noi. Già, noi. Le scelte fatte da Prandelli hanno convinto quasi tutti. Forse una vera prima punta sarebbe servita ma il nostro commissario tecnico ha deciso di puntare su attaccanti rapidi e che soprattutto giocano con la squadra. Siamo la miglior difesa delle qualificazioni ed è un punto basilare nel calcio moderno. Per l’attacco…dipenderà molto da Cassano e Balotelli, che se si sono ricordati di mettere il cervello in valigia (nel caso di SuperMario quel che ne rimane) possono veramente, ma veramente fare grandi cose. Ave Cesare, lavora bene.

Terza fila: Francia e Inghilterra. Le separa la manica, le unisce il gruppo D. I transalpini si sono finalmente liberati di Domenech (e non è poco) ma Blanc dovrà dimostrare ancora tanto. Certo, Benzema, Ribery ed altri sono fuoriclasse e quindi si può fare bene, ma è troppo tempo che toppano di brutto agli appuntamenti importanti e c’è ancora un clima di sfiducia verso di loro. Sono comunque in grado di vincere il girone e di giocarsela bene ai quarti. Gli inglesi invece arrivano all’appuntamento con qualche acciaccato di troppo, ma soprattutto senza Capello. Che vuol dire? Vuol dire che solo giocando all’italiana i sudditi di Sua Maestà sono in grado di vincere qualcosa (Di Matteo docet) e che se continuano a preferire il tipico gioco britannico…peggio per loro e meglio per noi. La squadra però è solida e può sicuramente dire la sua, anche se avrà un accoppiamento difficile nei quarti (se ci arriva).

Quarta fila: Portogallo e Russia. Perchè i lusitani così indietro? Eh semplice, perchè nel loro girone hanno Olanda e Germania, quindi il loro percorso è immensamente più difficile rispetto a tutte le altre squadre che sognano la finale. Cristiano Ronaldo è il miglior giocatore del nostro continente ma purtroppo non ha compagni alla sua altezza, anche se giocatori di livello importante ce ne sono. Se passano il girone possono anche arrivare in fondo però, visto l’accoppiamento possibile nei quarti. Per quanto riguarda la Russia invece c’è da dire che ha una buonissima difesa (seconda per reti subite, dopo l’Italia) ma manca un vero bomber. Talenti come Arshavin sono in declino ma potrebbero stupire come hanno già fatto quattro anni fa.

Quinta fila: Polonia e Svezia. I polacchi giocano in casa ed il sorteggio gli ha regalato il girone più abbordabile possibile (si, anche io penso sia tutto preparato a tavolino, ma tant’è), ma soprattutto non sono scarsi come austriaci e svizzeri che nonostante lo stesso trattamento quattro anni fa fecero quattro punti in due finendo fuori subito. La loro possibilità è arrivare ai quarti, ma difficilmente andare oltre. Gli svedesi sono guidati da uno dei calciatori più chiacchierati del nostro paese, ovvero il re dei bomber Zlatan Ibrahimovic, che ha attorno una squadra che gioca per lui ma anche con lui. In nazionale ha sempre fatto meno capricci (vai a capire perchè) e quindi potrebbero essere la vera e propria mina vagante, non soltanto del loro gruppo, ma in generale.

Sesta fila: Ucraina e Irlanda. Gli ucraini come i polacchi giocano in casa ma l’urna li ha aiutati molto molto meno. Sono poco conosciuti, non sono niente male ma hanno un gruppo sulla carta troppo tosto per far bastare la regola della squadra locale aiutata da tutto e tutti. Soprattutto non avendo fatto le qualificazioni si ritroveranno in una realtà a loro sconosciuta, senza dimenticare che non sarà come per le squadre di club, imbottite di brasiliani ed altri stranieri a noleggio. L’Irlanda del Trap invece…piace. Non ha grossi campioni da un bel pezzo, ma quella vecchia volte di Giovanni una sorpresa può sempre regalarla. Il girone è duro perchè c’è la superfavorita Spagna ed anche una Italia tutta da decifrare, ma si può cercare il miracolo.

Settima fila: Croazia e Danimarca: i croati hanno perso il giocatore più importante, ovvero il bomber Olic, vedendo così crollare le loro quotazioni. Squadra tosta, ma il talento è quello che è e se non si registrano praticamente da subito rischiano una imbarcata colossale. I danesi invece…poverini. Se qualcuno di loro è anticlericale credo che non si saranno contate le bestemmie dopo il sorteggio. Sono un buonissimo team e sarebbero stati sicuramente qualche fila avanti, ma onestamente passare il gruppo B è una impresa che davvero rasenta l’impossibile.

Ottava fila: Repubblica Ceca e Grecia. Bentornati ai cechi che finalmente si riaffacciano nel calcio che conta, ma i tempi d’oro sono sicuramente andati. Cammino troppo altalenante nelle qualificazioni e troppa discontinuità di risultati. Nonostante questo però per assurdo hanno chance di andare ai quarti, semplicemente perchè sono nel girone nettamente più scarso. Stesso discorso si può fare per gli ellenici, ma per loro basta dire questo: i miracoli nel calcio ti succedono una volta sola e non ci sarà un altro Charisteas.

Una Coppa ritrovata

Probabilmente in molti ricorderanno un famoso Reggina-Chievo, partita valida per gli ottavi di finale della Coppa Italia 2006-2007, giocata ad ora di pranzo in infrasettimanale per esigenze televisive (e già qui si può sorridere) e che vide nel settore ospiti uno degli striscioni più memorabili visti in uno stadio di calcio.

Tre, e ribadiamo tre, tifosi del Chievo che avevano attraversato tutto il paese esposero un drappo con su scritto: “Non avevamo un ca… da fare“. Eloquente, non c’è che dire. Già, perchè quello fu un segnale chiarissimo di come la manifestazione fosse diventata davvero un fastidio. Per tutti, le grandi e le piccole. Le grandi per un calendario già intasato dalle competizioni continentali e le piccole perchè non avevano rose adatte a così tante partite. Un primo cambiamento avvenne già l’anno successivo, con la prima finale in gara unica da tempo immemore: Roma-Inter 2-1, in uno stadio “Olimpico” stracolmo. Da qui la decisione di far disputare sempre la finale a Roma in stile Wembley (evidentemente c’è sempre un modello inglese da seguire!). Sul fatto che si giochi sempre nello stesso stadio e che sia quello di due delle principali squadre di Serie A che hanno l’opportunità di giocare la finale in casa se ne può discutere perchè difatti è una stupidaggine colossale (a Wembley infatti non gioca nessun club) ma l’idea di fondo è corretta.

L’allora presidente della Lega Calcio Matarrese esportò nel 200/2009 il modello della Coppa di Francia, con una serie di turni preliminari in gara unica (chi gioca in casa lo decide il sorteggio) e con le “teste di serie” (le prime otto classificate del campionato precedente) che subentrano negli ottavi di finale giocando nel proprio stadio, “obbligando” le big a disputare solo cinque match (finale compresa, visto che solo le semifinali rimangono con la vecchia formula andata-ritorno) per alzare la Coppa. Sembra aver funzionato. Match molto più spettacolari e molta più voglia di andare avanti nella competizione (ok, non come in altri paesi ma è già qualcosa). Per un curioso fenomeno solo l’anno scorso si è avuta una finale senza una squadra romana impegnata (quindi fino a quel momento era ovvio avere lo stadio pieno) ma l’invasione pacifica dei palermitani ha dimostrato che ottantamila persone sono fattibili anche se sono impegnati due team che arrivano dai capi opposti del nostro paese.

Anche l’edizione attuale sembra confermare l’andazzo. Si sono viste partite molto spettacolari, come Milan-Lazio, Napoli-Inter e Juventus-Roma, più la sorpresa Siena arrivata fino alle semifinali e ad un passo da una incredibile qualificazione all’Europa League (la Coppa Italia assegna un posto nella seconda competizione europea). Memorabile anche la doppia sfida fra le attuali dominatrici del campionato di Serie A, Milan e Juventus, conclusasi solamente ai tempi supplementari dopo due incontri “veri”. E la finale? Napoli-Juventus. Si, siamo ad aprile e se ne parla già da settimane. Richiesta di biglietti oltre ogni più rosea aspettativa, con consequenziale polemica del presidente azzurro De Laurentiis che voleva far disputare l’atto finale a Milano. Polemiche sul sistema di vendita (la tessera del tifoso andrà anche in pensione ma continua a far discutere oltremisura) e su eventuali prelazioni, così è facile prevedere una vera e propria “caccia al tagliando”.

La Coppa Italia sembra aver riacquistato l’antico prestigio dunque. Ci sono altre proposte per cercare di renderla ancora più appetibile, come ad esempio assegnare un posto in Champions League a chi la vince, ma per il momento può andar bene così. Con buona pace di quei meravigliosi tre tifosi del Chievo.

Questi (gol) fantasmi

Sabato 26 febbraio in Milan-Juventus si è verificato un episodio che ha fatto parlare molto. Sul punteggio di uno a zero per i rossoneri non è stato concesso un valido gol al ghanese Sulley Muntari, col pallone che aveva ampiamente varcato la linea di porta prima di essere respinto dal portiere juventino Buffon. Incredibilmente il guardalinee non ha notato nulla ed il gioco è andato avanti. Ora, non importa quanto sia finita la partita e nemmeno chi abbia subito un torto arbitrale. La questione centrale è l’utilizzo della tecnologia per dissipare i dubbi a proposito dei cosiddetti “gol fantasma”, ma non soltanto. Il presidente della Uefa Michel Platini si è detto contrario, così come il numero uno della Fifa Joseph Blatter, ma ultimamente sembra essersi aperto qualche spiraglio, specie per quanto concerne lo svizzero. Ma l’aiuto della moviola può davvero rendere migliore il calcio? Innanzitutto è da premettere che negli altri sport a livelli alti viene utlizzata. Nel basket l’istant-replay può essere richiesto anche dagli arbitri (un campionato venne deciso così, con un incredibile finale thrilling nella finale fra Milano e Bologna), nel football americano lo può chiedere un allenatore rinunciando ad un time-out in più, nel rugby c’è addirittura un arbitro che viene chiamato in causa solo durante controversie del genere.

Quali rimedi allora per il mondo pallonaro? Si parla di sperimentare i sensori nelle porte, come accade con buon successo nell’hockey su ghiaccio ed anche di istituire in pianta stabile i due arbitri dietro le porte (come accade per le sole competizioni europee). Passi avanti, senza dubbio, ma è ancora presto per far cantare vittoria ai seguaci di Aldo Biscardi. Eliminare le polemiche ed i sospetti in un mondo diventato fin troppo poco credibile dopo calciopoli sembra essere un motivo sufficiente per accogliere questa proposta, ma sono in tanti coloro che si oppongono a questa novità. Le loro ragioni sono comunque da ascoltare. C’è chi dice che in fondo le decisioni errate sono numericamente parlando nettamente inferiori a quelle corrette (ad esempio subito dopo il gol-fantasma di Muntari sono stati “visti bene” quelli di Sculli, Izco e soprattutto Borini) e che è proprio quello il bello del calcio, che è il sale della contesa. C’è chi (e anche io sono parte di costoro) storce un po’ il naso perchè romanticamente parlando pensa che se la moviola deve essere usata in Serie A allora bisognerebbe farlo anche in Terza Categoria (cosa irrealizzabile per ovvie ragioni) visto che le regole sono uguali indipendentemente da chi giochi e dove giochi. C’è anche chi dice che anche con l’uso della tecnologia le cose rimarrebbero inalterate e le polemiche rimarrebbero comunque (ma d’altra parte la frase “Non la vogliono altrimenti non possono più fare imbrogli” è fin troppo inflazionata.

Il dibattito è già molto acceso perchè indubbiamente siamo di fronte ad una questione tremendamente spinosa. Forse la cosa più democratica sarebbe davvero far decidere alla gente, capire cosa vuole il tifoso (che ricordiamolo…è colui che permette all’intero sistema calcistico mondiale di continuare ad andare avanti) ma non è certamente cosa facile. “Sperimentare” dovrebbe essere la parola d’ordine. Potrebbe andar male ma potrebbe anche andar bene e sinceramente nel calcio moderno per come vanno le cose un tentativo si potrebbe anche fare. Ne potrebbe beneficiare il senso di giustizia che radica in ogni tifoso (quando non è avvantaggiata la sua squadra magari….), i dirigenti delle varie federazioni che oramai hanno una credibilità pari alla mia ad un esame di fisica nucleare, ed anche gli arbitri, che eviterebbero clamorose figuracce ai fischietti (tipo questa, accaduta in America Centrale e che continua ad ispirare pura ilarità). Dite la vostra, che ne pensate riguardo alla moviola in campo?

Il Papero dai muscoli di stoffa

Voi cedereste un giocatore che in pratica segna una partita si e una no? Naturalmente in genere no, ma nel caso di Pato la cosa sembra non essere così sicura. Alexandre Rodrigues da Silva è conosciuto da tutti col nome della città dov’è nato, ovvero Pato Branco (in teoria dunque il papero non c’entra niente, ma vallo a spiegare a chi ama i soprannomi senza informarsi sul loro perchè), nel 1989. Tutta la sua trafila delle giovanili la vive con l’Internacional de Porto Alegre, ma si capisce praticamente subito che la sua permanenza in territorio carioca sarà di breve durata. Anche un mito brasiliano come Falcao esalta subito le sue doti, dichiarando che è pronto per i campionati europei. Ad avere l’occhio più vigile sono gli osservatori del Milan, che alla tenera età di diciassette anni lo acquistano per una cifra pari a ventidue milioni di euro, scatenando l’indignazione di qualcuno. Tra l’altro accade anche qualcosa di inusuale: a causa delle norme FIFA che impediscono i trasferimenti internazionali di minorenni, il team rossonero ha dovuto aspettare la riapertura invernale del mercato per tesserarlo ufficialmente. Infatti, fino al 3 gennaio 2008, ha potuto disputare con i rossoneri solo partite amichevoli. L’esordio avviene con il Napoli e giusto per zittire chi non credeva alla sua favola…segna immediatamente. A fine anno saranno nove reti in diciotto presenze.

Gli anni successivi continua a bucare reti in maniera impressionante, ma le sue presenze in campionato sono quasi pari alle assenze. Questo perchè il ragazzo si infortuna con una costanza disarmante. Muscoli fragili come stoffa che lo tradiscono continuamente e mettono a repentaglio il suo posto in squadra. Come fa a mantenerlo? Semplice. Ogni volta che gioca in quanto sano compie prodigi straordinari.

Chi non ricorda la meravigliosa doppietta messa a segno al “Santiago Bernabeu” contro il mirabolante Real Madrid nella vittoria per 3-2 del “diavolo”?

httpv://www.youtube.com/watch?v=IIfYFCZRk8s

Sono le cifre però a parlare per lui, con la media che è superiore ad un gol ogni due partite (nessuno in Italia riesce a tenere il suo passo). Il suo andirivieni con l’infermeria diventa una costante, tanto che i tifosi quasi non si stupiscono più. Attenendoci solo a quest’anno: segna un gol straordinario in trasferta contro la squadra più forte al mondo e nove giorni dopo si procura una distrazione muscolare al bicipite della coscia destra, porta il Milan ai quarti di finale di Coppa Italia con un gol nei supplementari contro il Novara ed esce a fine partita indolenzito (sembra una sciocchezza, in realtà vorrà dire un altro mese fuori).

Tutto qui? No. Incredibilmente c’è anche il lato tecnico. Da due anni a questa parte la incontrastata stella del Milan è lo svedese Zlatan Ibrahimovic, che per rendere al meglio ha bisogno di giocare di fianco ad una seconda punta, mentre Pato si è adattato a fare la prima. Si dice che non possano coesistere (Pato effettivamente rende al meglio quando Ibra non c’è, ma solo perchè diventa lui il principale terminale offensivo) e l’allenatore rossonero Allegri comincia a tenerlo fuori preferendogli Robinho e Cassano. Quindi a cosa si arriva? Si arriva all’idea di cedere Pato. Perchè? Per prendere Carlos Tevez, argentino talentuoso ma bizzoso e incostante del Manchester City. L’accordo, anzi, gli accordi ci sono, anche perchè il nuovo tecnico della squadra che dovrebbe comprare Pato (il Paris Saint-Germain) è Carlo Ancelotti, che lo stima tantissimo. Alla fine però salta tutto. Già, perchè c’è anche un lato sentimentale. Pato ha una vita amorosa fin troppo movimentata per un ragazzo della sua età. A vent’anni si sposa con l’attrice Stefhany Brito, a ventuno è già divorziato, a ventidue si fidanza con Barbara Berlusconi, figlia del presidente rossonero (e padrone di tante altre cose, ma non è qui che ne parleremo). Proprio il numero uno milanista sembra porre il veto alla sua cessione, scontentando chi voleva Tevez, chi non voleva Pato (Allegri?) e chi invece lo voleva (Ancelotti). La cosa più particolare però è l’incredibile spaccatura che si è creata nel popolo rossonero quando si era ventilata la cessione del numero sette. C’era chi era a favore e chi invece considerava il tutto una follia.

Citando Marzullo la domanda nasce spontanea: un giocatore che segna tantissimo, che sembra non rientrare nei piani del tecnico, che si infortuna spesso, che ha solo ventidue anni….è meglio cederlo o tenerlo stretto???

Totò alla riconquista dell'azzurro

“Ma figurati se quest’anno continua a segnare come l’anno scorso…è impossibile”.

Se avete partecipato ad una qualsiasi asta di fantacalcio ad inizio stagione (e se vi piace il calcio al 90% fate anche il fantacalcio) avrete per forza sentito questa frase più e più volte, e da un bel po’ di tempo. Chi è colui che in barba a tali considerazioni e alla legge dei grandi numeri rimane imperterrito nelle primissime posizioni (quasi sempre in vetta) alla classifica di cannonieri della Serie A italiana?

Facilissimo: Antonio Di Natale.

Sì, vecchietto, nato a Napoli nel 1977 ma… ventinove gol due anni fa, ventotto l’anno scorso, dodici in sedici partite quest’anno (e in passato i numeri sono comunque molto positivi). Su cosa si deve ragionare? Su un fatto molto semplice: Giuseppe Rossi si è infortunato gravemente e tornerà solo in primavera, Antonio Cassano ha avuto un problema al cuore e i tempi di recupero sono ancora un po’ incerti. Quindi è così difficile che per Totò si riaprano le porte della nazionale italiana in vista del prossimo campionato europeo che si disputerà nel prossimo giugno in Polonia e Ucraina?

Il nostro commissario tecnico Cesare Prandelli ha già dimostrato di tenerlo in grande considerazione, dichiarando pubblicamente: “Lo chiamo a febbraio per l’amichevole con gli USA. Voglio vederlo con Balotelli, potrebbero essere la soluzione. Sono entrambe punte di movimento e possono muoversi come Rossi e Cassano. Totò ha già fatto Europeo e Mondiale, ma può anche essere maturato. Non si può prescindere da uno che per tre anni consecutivi sta lì ai vertici della classifica cannonieri”. Assolutamente condivisibile. Come giustamente dice Prandelli, sarebbe ingiusto non riconoscergli questo merito, anche perchè non si tratta di qualcuno che bisogna convincere a tornare in azzurro, anzi. A inizio ciclo si è voluto puntare su giocatori nuovi, svecchiare un gruppo che aveva completamente fallito nel mondiale sudafricano e dare soddisfazione ai tifosi che chiedevano la testa di molti. Di Natale però ha sempre dimostrato di essere uno che sa stare al suo posto, specialmente in nazionale, e dunque averlo come alternativa è più che condivisibile.

Proviamo anche a vedere quali potrebbero essere i motivi per cui non convocarlo. L’età? Assolutamente no. Può essere un fattore quando si tratta di comprare un calciatore ma non quando si parla di convocarlo in nazionale, e questo solo per cominciare. Puyol ha la sua stessa età ma se la Spagna non lo convocasse tutti rimarrebbero stupiti (e se ne possono fare altri di esempi del genere). Il ruolo? Relativamente, trovare cinque attaccanti che meritino il viaggio in Polonia più di lui è veramente arduo attualmente e soprattutto Totò ha dimostrato di essere in grado di fare la seconda punta. Il suo score in nazionale? Dieci gol in poco più di trenta presenze non è male come bottino, specie se si considera che non sempre ha giocato dall’inizio come invece fa nell’Udinese. Il fatto che manchi negli appuntamenti importanti? Beh ai mondiali sudafricani essere fra i “meno peggio” era facile rispetto allo schifo totale di quella sciagurata spedizione, ma lui non mi è dispiaciuto. Poi ovviamente molti ricorderanno il rigore fallito contro la Spagna nel 2008, ma allora di cosa parliamo? Vogliamo gettare la croce addosso a Roberto Baggio per USA ’94?

Ora non vogliamo sostenere che debba necessariamente essere un punto fermo dello scacchiere di Prandelli, che per inciso ha fatto benissimo fino ad adesso, ritrovando compattezza e smalto (regalando anche un bel gioco a dirla tutta). Sarebbe delittuoso però sostenere che Di Natale non meriti anche lui una chance per far parte dei ventitré ragazzi che avranno il difficilissimo compito di riportare quella coppa in Italia, dove manca da ben quarantaquattro anni (l’Inter è riuscita grosso modo dopo lo stesso tempo a tornare in vetta all’Europa). Sperando che possa continuare così, ci schieriamo decisamente da quelli che appoggiano il suo ritorno in azzurro. Vamos Totò!!

Alla ricerca del ranking perduto: le italiane a caccia del passaggio del turno

L’urna ha nuovamente parlato. Il sorteggio degli ottavi di Champions League ed i sedicesimi di Europa League ha stabilito chi saranno le avversarie delle italiane. Partiamo dalla competizione più importante. Tutto sommato è andata abbastanza bene. Gli spauracchi spagnoli, Barcellona e Real Madrid, sono stati evitati da Napoli e Milan, che voleranno a braccetto (anche se a distanza di una settimana) a Londra. Sicuramente poteva andare meglio, ma misteriosi presagi indicavano che l’Apoel Nicosia, squadra miracolata con un primo posto nel girone a dir poco clamoroso, sarebbe toccata ad una francese (infatti se la vedrà col Lione, dopo lo scandalo del sette a uno in trasferta a Zagabria con tanto di occhiolino truffaldino). Chelsea per la truppa di Mazzarri e Arsenal per quella di Allegri, con la speranza di estromettere già agli ottavi tutte le squadre inglesi dalla competizione. Si, difficile, ma non impossibile. Il Milan parte senza dubbio favorito, sia perchè la lezione col Tottenham (dove era fuori mezza squadra) è stata appresa e sia perchè i “gunners”…non sono più quelli di una volta. Il Napoli invece deve fare un’impresa, contro una squadra sicuramente più forte ma che perde pezzi causa litigi (Torres verrà ceduto, Drogba ed Anelka non vedono l’ora di cambiare aria causa dissapori con Villas Boas). Con le spagnole gli azzurri partivano battuti in partenza, con i “blues” invece le chance ci sono.

L’Inter paradossalmente ha pescato male. Da prima nel girone poteva avere un accoppiamento più facile mentre invece troverà il Marsiglia, squadra talentuosa che ha in attacco i figli di Abedì Pelè, in panchina una vecchia volpe come Didier Deschamps e soprattutto tanti santi in Paradiso a causa della provenienza. I nerazzurri però possono farcela quindi non è da folli sperare in un tre su tre. Il tutto anche per guadagnare punti nel maledetto Ranking Uefa che ci ha fatto perdere la quarta squadra in Champions per qualche anno. E le tedesche? Nostre principali avversarie? Il Bayer Leverkusen può solo mordersi le mani per aver gettato nel water il primo posto, trovandosi adesso…contro il Barcellona. Discorso opposto per il Bayern Monaco, che trova il sorprendente Basilea. Si, possiamo fare più punti di tedesche ed inglesi. Difficile fare meglio delle spagnole, visto che sono candidate alla vittoria finale, ma fortunatamente la figura di melma del Villarreal ed il flop del Valencia attutiscono la cosa.

Ma l’esame non sarebbe completo se non si contasse anche la competizione minore, quella dove da anni facciamo letteralmente schifo e che ha fatto precipitare il nostro ranking: l’Europa League. Tralasciando la Roma (stendiamo un velo pietoso) sono da applaudire le affermazioni di Udinese e Lazio, che approdano ai sedicesimi. Nell’urna avrebbero potuto trovare incredibilmente le due squadre di Manchester ma così non è stato. Anzi, proprio il City e lo United hanno avversari durissimi (rispettivamente Porto ed Ajax) e che in un certo senso ci aiuta. Già, perchè bisogna guardarsi anche dalle portoghesi, che l’anno scorso erano in tre su quattro in semifinale ed in futuro potrebbero darci noie. Quindi meglio “gufare” le tre lusitane rimaste (e si, anche il Benfica in Champions) e tifare per capitolini e friulani. Come hanno pescato? Benino. Il Paok Salonicco per Guidolin e l’Atletico Madrid (che era proprio nel girone dell’Udinese) per Reja. Bianconeri favoriti, biancocelesti perlomeno alla pari. Se affronteranno la competizione come hanno fatto finora ci sono ottime speranze. Sunto: le inglesi potrebbero arrivare in fondo, le francesi fortunatamente hanno già toppato alla grande, le spagnole…dipende molto dalla Lazio (appunto). C’è sempre un modo per rendere interessante qualsiasi sfida in campo europeo, basta ricordarsi che se arrivi quarto in campionato poi ti mangi le mani pensando a quando sfottevi gli amici tifosi di altre squadre eliminate nelle coppe.

L'urna ha parlato. Vediamo di risponderle.

L’urna ha parlato. Cosa ha detto? Beh, grosso modo qualcosa del tipo “All’Europeo difficilmente becchi nuovamente la Nuova Zelanda”. Esatto, proprio così. Sperare in un girone abbordabile in un campionato europeo è da folli, specie dove su quattro teste di serie ben due sono i paesi ospitanti. Sgomberiamo il campo dagli equivoci. Solo sedici squadre, tutte europee e concentrare in quattro gironi (il discorso sarà diverso dal prossimo europeo, che sarà a ventiquattro squadre). Niente formazioni caraibiche o oceaniche. Intendiamoci, la figura di me…lma è sempre dietro l’angolo e purtroppo lo sappiamo benissimo, ma è indiscutibile il fatto che quel girone del mondiale sudafricano fosse ridicolo (difatti siamo usciti per osceni demeriti nostri, non certo perchè “kiwi” e slovacchi si siano dimostrati meglio del previsto). Nell’europeo devi entrare in forma subito, non passo dopo passo, solo così si può sperare di vincere.
Avere un girone del genere potrebbe essere un vantaggio. Ma andiamo a vederlo nel concreto.

Spagna (prima nel ranking Fifa), Irlanda (ventunesima) e Croazia (ottava). Naturalmente il ranking lascia il tempo che trova (i croati davanti a noi è quantomeno discutibile) ma ci dice che bisogna lottare da subito. L’esordio è con la Spagna. Campioni in carica e vincitori anche della Coppa del Mondo. Sono i più forti? Assolutamente si. Mezzo Barcellona e mezzo Real Madrid, ovvero le due squadre migliori al mondo attualmente. Il gap non è così ampio come certa stampa ridicola vuol far credere, ma bisogna rispettare chi parte in pole-position. Guardiamo il lato positivo: se dovessimo perdere c’è ancora speranza di rialzarsi e di recuperare (e dipenderebbe da noi) ma se invece ne usciamo indenni la strada sarebbe veramente in discesa. Hanno un firmamento di stelle, ma come abbiamo già sottolineato in passato siamo in crescita costante e Prandelli sta lavorando stupendamente.

Ci sarà poi l’Irlanda del Trap. Vecchia volpe, e sebbene “Cat is not in the sack” bisognerà sudare anche contro di loro. Perchè? Esattamente per quello, per il Trap. Non hanno supercampioni ma tanti buoni giocatori (uno su tutti il fortissimo Duff, campioncino spesso sottovalutato) che però giocano un calcio incredibilmente concreto, improntato al risultato e non al bel gioco che non serve a niente ed è solo fine a sé stesso. Partiamo logicamente favoriti ma guai a sottovalutarli. Infine la Croazia. Che dire sui croati, per la prima volta arrivano ad una competizione senza vere “stelle” circondate da comprimari, ma chi li ha visti giocare avrà notato due cose: innanzitutto che sono un gruppo compattissimo, assai poco slavo (del resto sono gli unici dell’ex-Jugoslavia ad essersi qualificati), e poi che hanno due cosiddetti enormi (vedasi il tre a zero rifilato ai turchi in casa loro nei playoff). In pratica possono essere una grande sorpresa o un flop clamoroso.

Un cosa è sicura, si tratta di quattro squadre che sanno giocare a calcio. Preparatevi a partite molto combattute, magari anche non spettacolari ma che sapranno emozionare. Fare meglio dell’ultimo torneo importante sarà facilissimo, ma si spera che i nostri ragazzi possano arrivare fino in fondo.