Il ritorno del figliol prodigo dei videogiochi: Duke Nukem

In tredici anni ne possono succedere di cose. Si susseguono due governi e mezzo, in Italia pure di più; iniziano guerre, si cancellano Stati; muoiono milioni di persone; escono libri, film e dischi che cambiano la cultura sociale; si completa la mappa del genoma umano; si scoprono nuove stelle e pianeti, e nuove tecnologie per studiarle e un giorno raggiungerle.
Nel mondo dei videogiochi, tredici anni sono un’eternità. Il tempo di produzione medio di un videogioco, oggigiorno, orbita attorno ai due o tre anni, un po’ meno se è un gioco mediocre o semplicemente breve, un po’ di più se è più longevo o complicato. Ci sono casi di videogiochi usciti anche cinque anni dopo il loro annuncio ufficiale, videogiochi che spesso vengono derisi e che non si dimostrano quasi mai all’altezza dell’aspettativa maturata.
Ma tredici anni, ragazzi, sono veramente tanti.
Sono talmente tanti che sono convinto che una buona percentuale dei lettori di questo articolo lo hanno aperto solo perché non avevano mai sentito quel nome strano inserito nel titolo: Duke Nukem.

Duke3DDuke Nukem è un nome assai caro ai videogiocatori di vecchia data.
Il primo videogioco della Apogee (poi diventata 3D Realms) a portare a video questo personaggio è datato 1991, e il suo seguito 1993, quando il sistema operativo era ancora il DOS. Erano due platform di buona qualità, ma non furono quei titoli a sparare Duke nelle alte sfere dell’immaginario collettivo, bensì il loro seguito: Duke Nukem 3D, nel 1996.
Duke Nukem 3D è un FPS (first person shooter, sparatutto in prima persona), filone floridissimo e mai passato di moda, inaugurato dall’ID Software nel 1992 con Wolfenstein 3D, e reso famoso dal loro capolavoro – Doom – dell’anno successivo.
Quello che ha reso Duke Nukem diverso da tutti gli altri – e a oggi imitato senza successo, con l’unica eccezione di Serious Sam (Croteam, 2001), se proprio vogliamo – più che il gameplay, più che l’introduzioni di armi  e nemici stranissimi e divertentissimi, più che le nuove tecnologie (piani inclinati, morfologia dinamica delle mappe, eccetera…), più che la grafica realistica (per l’epoca), è stato proprio la superba caratterizzazione del suo protagonistaDuke3D, un maranza palestrato dai biondi capelli a spazzola e dagli occhiali scuri perennemente inforcati, dalla morale elastica e dal gretto maschilismo, che non ha paura di sporcarsi le mani macellando alieni brutti e malvagi in tutti i modi possibili, né si vergogna a flirtare occasionalmente con spogliarelliste e professioniste del sesso facile. Un incrocio esplosivo tra Johnny Bravo, Zapp Brannigan e Rambo. Sarcasmo e ironia permeano ogni secondo di questo capolavoro, assieme a violenza e volgarità gratuita. Nel gioco si possono trovare gli insigni cadaveri di Luke Skywalker, Indiana Jones, Terminator e lo Space Marine del già citato Doom, tutti evidentemente periti nel tentativo di combattere gli alieni, e Duke non perde occasione di deriderli per il loro fallimento. Duke è uno che dichiara, prima di combattere un boss di fine livello: “ti taglierò la testa e ti cacherò giù per il collo!”, e a fine combattimento, difatti, non ci viene risparmiato l’intermezzo video in cui dimostra di essere di parola.
Immortali le sue frasi da sborone, che qualsiasi videogiocatore degno di questo nome conosce a memoria: “It’s time to kick ass and chew bubblegum… And I’m all outta gum.”, “Eat shit and die!”, “Come get some!” (citando “La casa”), “Damn, those alien bastards are gonna pay for shooting up my ride.”, “Nobody steals our chicks and lives!”, “My boot, your face: the perfect couple.” e tante, tante, tantissime altre.

Duke Nukem 3D è una pietra miliare della storia dei videogiochi, e per tanti anni i videogiocatori hanno atteso il momento dell’uscita del Duke Nukem Manhattan Projectsuo seguito, Duke Nukem Forever, annunciato nel 1997. Passati i tre canonici anni, la gente ha cominciato a lamentarsi. Passati altri tre, nel 2002, ha cominciato a insultare, tant’è che per tenere buono l’audience la 3D Realms sfornò Duke Nukem: Manhattan Project, un platform 3D con gameplay 2D… Carino e divertente quanto volete, ma pur sempre un palliativo. Nel frattempo alla software house continuavano ad arrampicarsi sugli specchi dichiarando che Duke Nukem Forever veniva ogni volta riscritto per un motore grafico migliore, più potente e aggiornato. Cambiò engine almeno quattro volte; difficile tenere il conto esatto. La gente cominciò a chiamarlo “Duke Nukem For Never”.
Passarono gli anni, passarono i motori grafici, e passarono notizie-bufala, pesci d’aprile e quant’altro, ma il quarto capitolo di Duke Nukem non uscì mai.
Nel 2009 arrivarono pure i problemi organizzativi per la 3D Realms, che non tratto qui: vi rimando alle notizie di GamesVillage (1 e 2), se vi interessa.

Arriviamo ai giorni nostri, per la precisione a ieri, 3 settembre 2010.
Apro Facebook e mi ritrovo QUESTO:

Duke Nukem ForeverIn pratica al PAX (Penny Arcade Expo, una mostra di videogiochi fondata dai creatori del celebre webcomic) è stata presentata una versione giocabile di Duke Nukem Forever.
Inutile cercare di descrivere il flusso di sensazioni che ho avuto, e che avranno avuto sicuramente anche tutti gli altri videogiocatori di vecchia data del globo, all’apprendere la notizia. Un buon riassunto potrebbe essere “un misto di gioia e incredulità”, tant’è che ancora adesso non so se crederci davvero o meno.
Sono seguite a ruota notizie ufficiali e dichiarazioni stampa: Duke Nukem Forever esiste, uscirà nel 2011, pubblicato dalla 2K Games e realizzato dalla Gearbox Software, ovvero dagli autori del fantastico Borderlands, un FPS maranza e volgare, esattamente tutto quello che deve essere Duke Nukem, quindi di buon auspicio.

Mi sono dilungato più del dovuto, ma raccontare la storia di uno dei capolavori assoluti dei videogiochi alle nuove leve mi sembrava d’obbligo.
Non mi resta che invitare i vecchi giocatori a rigiocarsi Duke Nukem 3D, e ai nuovi invece a scoprirlo per la prima volta. Come fare?
Esistono due programmi capace di fare il porting del gioco originale sui moderni sistemi operativi: EDuke32 e xDuke. Sono entrambi aggiornatissimi (a testimoniare quanto amore sia rimasto tuttora per il gioco, a distanza di tredici anni), per cui girano su tutto, da Ubuntu a Windows7.
Nonostante però questi programmi siano gratuiti, Duke Nukem 3D è lungi dall’essere un abandonware, per cui dovrete procurarvi una copia. Io la mia ce l’ho ancora su cd-rom (uno dei primi giochi a uscire solo su cd e non su floppy!) nella confezione originale, ma se voi non siete così vecchi potete acquistarla per 5,99 dollari (meno di 5 euro) sui bei siti di retroware, ad esempio GOG (si trova anche Manhattan Project).
I possessori di Xbox, invece, possono acquistare sia Duke Nukem 3D che Manhattan Project dall’Xbox Live Arcade, per 800 Microsoft point (9,63€) cadauno.

Duke Nukem ForeverALL HAIL TO THE KING!

PS: personalmente, sono un po’ dispiaciuto del fatto che, alla fine, Duke Nukem Forever esca davvero. Voglio dire, quel titolo era ormai diventato un simbolo, un’icona, un modo di dire, un esempio da riportare nell’istruzione dei figli. “Se non ti dai da fare, farai la fine di Duke Nukem Forever!”, come a dire “non riuscirai mai a finire quello che hai iniziato”.
Secondo me sarebbe più giusto, per il bene dell’immaginario collettivo, della psicologia culturale e dei meme, che il nuovo capitolo di Duke Nukem cambiasse titolo, e lasciasse quel “For Never” a rappresentare l’idea globale di un qualcosa di eternamente incompleto.
Ma scommetto che Duke non sarebbe d’accordo: mi staccherebbe la testa e mi cacherebbe giù per il collo.

Duke e Lara

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La fisica nei videogiochi

Immaginate di trovarvi all’interno di un’astronave alla deriva nello spazio. L’aria al suo interno resa oramai irrespirabile dalla putrefazione del materiale biologico sparso in ogni dove, che probabilmente una volta era il suo equipaggio. L’energia che va e viene, pareti in metallo arrugginite, luci intermittenti, terrore. Come quello che può cogliere un uomo che percepisce il pericolo ma non lo vede. Ad ogni lampo di luce bluastra, le vostre mani stringono sempre più forte l’impugnatura della vostra pistola al plasma. Improvvisamente, un urlo squarcia il silenzio mortale che vi aveva avvolto fino a quel momento e uno strano, abominevole, ibrido tra un uomo e qualcos’altro, compare in fondo al corridoio che avevate appena imboccato, aggrappandosi alle pareti di metallo con i suoi artigli. Voi gli scaricate inutilmente addosso l’intero caricatore della vostra pistola e iniziate a fuggire in preda al panico, seguendo un percorso bene o male casuale all’interno dei contorti condotti, finché una forza tremenda vi scaraventa contro il soffitto con una violenza tale da spezzarvi l’osso del collo. L’ultima espressione che rimane sul vostro volto non è di paura, ma di sorpresa. Che diamine, se dovevate morire, sarebbe stato meglio farlo combattendo contro un dannatissimo schifo spaziale, piuttosto che per colpa di una piastra gravitazionale difettosa!

Quel che è successo è che siete stati vittima di una delle ultimissime innovazioni all’interno dei videogiochi: la fisica. Eh sì, perché una volta le cose erano decisamente più semplici…

STREET FIGHTER E L’ARTE DEL VOLO UMANO

Ve lo ricordate “super street fighter 2 turbo”? Tonnellate di personaggi e supermosse, una sorta di storia che ci desse la scusa per rullare kartoni a destra e a manca e alla fin fine tanto sano divertimento. Sì, perché una volta si era meno smaliziati, anche meno pretenziosi. Un salto equivaleva a decollare verso mondi infiniti, per atterrare di ginocchio per terra dopo aver eseguito il calcio. Poco male se prendevamo o meno l’avversario. Noi si era senza peso, leggiadri anche nel prender mazzate, ma tanto robusti da poter generare piccoli bang sonici semplicemente sfregando i pugni tra di loro. Insomma, quando la potenza dei calcolatori era quella che era, c’era da distribuire bene le risorse a disposizione, e di certo il calcolo della fisica di gioco non era tra le priorità. Alla fin fine il potere intrattenitivo di un videogioco sta anche nel fatto che è possibile creare mondi con delle regole tutte loro, in grado di far compiere al nostro personaggio imprese impensabili e incredibili, e di conseguenza attraenti per la fantasia di un giovincello, magari cresciuto a furia di film di arti marziali, libri di fantascienza o puntate di Ken il guerriero. Poi qualcosa è cambiato. Hanno iniziato a comparire le prime schede grafiche, che alleggerivano il carico di lavoro sul processore principale, permettendogli così di dedicarsi ad altro. Iniziarono a comparire giochi che presentavano un mondo sempre più realistico. Da un lato il progresso grafico aumentava l’immersione del giocatore all’interno del contesto del videogioco, dall’altro i continui passi avanti nelle simulazioni del mondo rendevano i videogiochi delle sfide sempre più difficili e appaganti, per un pubblico di giocatori che è andato tendenzialmente invecchiandosi sempre più, tant’è che i blockbuster maggiori sono solitamente quei titoli che fanno del realismo e dell’accuratezza dei dettagli il loro punto di forza, e sono indirizzati ad un pubblico decisamente adulto. Pensate a titoli come Dead Space, in cui ci sono situazioni di gravità anomala che vi costringono a mutare radicalmente il vostro approccio nei confronti dell’ambiente, o altri come Stalker, in cui il calcolo della balistica delle armi (con i proiettili che perdono di quota e velocità man mano che viaggiano) è affiancato da una vera e propria simulazione ambientale, che coinvolge non solo la fisica del mondo, ma anche l’impatto del tempo atmosferico o l’intelligenza artificiale delle creature che abitano le zone nelle vicinanze di Chernobyl. Insomma, una volta la fisica veniva riscritta in maniera tale da permettere al videogiocatore di compiere azioni altrimenti impossibili, e si poteva un po’ pensare che il mondo stesso di gioco fosse definito in funzione del personaggio e dei nemici che l’avrebbero popolato. Oggi l’approccio è l’esatto opposto, in virtù della ricerca del realismo, che tuttavia non deve mai essere troppo esasperato ovviamente… Siamo pur sempre cazzutissimi agenti segreti infaticabili e in grado di portare con noi un carico di armi e munizioni pressoché illimitato, altrimenti come potremmo salvare il mondo da soli?

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Videogioco violento in società violenta

C’è sempre una novità in agguato pronta a corrompere le menti dei giovani. È toccato alla TV, al cinema, alla musica, ai fumetti e persino ai libri. Ma negli ultimi anni  il dito viene periodicamente puntato sui videogiochi in generale e, più nello specifico, su quelli cosiddetti “violenti”. Fin dai primi anni ottanta, dai tempi di innocenti ma sanguinolenti giochini come “Soft and Cuddly” per lo Zx Spectrum, l’opinione pubblica si interroga sul tema della violenza digitale, accompagnata da uomini di legge e politici offesi dai contenuti considerati scabrosi, diseducativi ed immorali di giochi come Carmageddon, Silent Hill, Resident evil, Grand Theft Auto, solo per citarne alcuni. La domanda che tutti si pongono è: “I videogiochi, ed in particolare quelli violenti, fanno male?” Proverò a dare una risposta esauriente nel corso dell’articolo.

Cominciamo con un dato di fatto: è dal 2001 che il fatturato annuale del mondo dei videogame supera ampiamente quello del cinema. Si tratta di un medium ormai maturo che tratta tutte le tematiche tipiche della nostra cultura, al pari di altre forme di intrattenimento che godono di maggiore considerazione nell’opinione pubblica, come appunto il cinema o la letteratura. La ragione per cui esistono è semplicemente questa: hanno un mercato, c’è gente che li apprezza, li compra, ci gioca. E, numeri alla mano, si tratta di una fetta estremamente ampia della nostra società: lo stereotipo del videogiocatore adolescente, rinchiuso nella sua stanzetta, solitario ed asociale, non ha più motivo di esistere. Ormai si videogioca in ogni fascia culturale e di età ed esistono giochi per tutti i gusti. Che si desideri un passatempo poco complesso – casual game come campo minato e solitari, il sempre più diffuso Farmville e buona parte dei titoli per Nintendo DS come i vari Brain trainer ne sono un esempio – oppure essere un eroe che lotta per veder trionfare il bene, un pilota di aerei militari, un detective alle prese con un caso di omicidio, quasi ogni fantasia umana può essere soddisfatta da un videogame.

Partendo da queste basi, ci si chiede per quale motivo videogiochi con contenuti violenti abbiano un così grande successo commerciale. A San Marino si trova il “Museo della Tortura”, che contiene al suo interno simpatici gingilli che in ogni epoca sono stati utilizzati dall’uomo per straziare carne ed anima dei propri simili. Nel medioevo le torture di piazza erano considerate un’attrazione, morte e dolore erano compagne fedeli di ogni individuo, adulto o bambino che fosse. L’uomo è sempre uguale a sé stesso, il passare dei secoli e la rivoluzione tecnologica hanno modificato soltanto i mezzi con cui filtrare il senso della realtà, ma non hanno portato rivoluzioni positive o negative nel costituirsi dell’essere umano. Il nostro è oggi come allora un mondo grondante di sangue, governato da persone violente e regolato dalla legge del più forte, che ci piaccia o meno. È sufficiente accendere la televisione per rendersi conto che basta il più futile dei motivi perché una persona faccia del male ad un proprio simile. In un mondo del genere, per molti il videogioco violento diventa una forma di catarsi, uno sfogo della propria natura, in parte (inevitabilmente) violenta essa stessa, che non produce in alcun modo un’estensione nella realtà dei propri istinti. In pratica, un individuo sano di mente non proverà mai a sparare o investire qualcuno soltanto perché gli è piaciuto farlo impugnando un joypad o un mouse.

Questo ovviamente vale per un individuo adulto. Cosa potrebbe succedere invece ad un bambino, posto davanti ai forti stimoli di un videogioco di questo genere? Molto prima che vi si apponesse il suffisso “video” esistevano (ed esistono ancora oggi, anche se forse vengono fatti meno frequentemente) i giochi, quelli da fare in strada. Giochi di guerra, cowboy contro indiani, poliziotti contro malviventi; chi non li ha provati almeno una volta nel cortile sotto casa? A volte capita che a passatempi del genere si aggiunga la violenza fisica: spinte, calci e zuffe assortite. Senza parlare della violenza psicologica: i bambini spesso sanno essere crudeli, essendo privi di mediatori culturali in grado di sfavorire la discriminazione, e notano ogni più piccolo difetto offendendo, deridendo e allontanando i loro stessi compagni di giochi. Questi giochi si protraggono da sempre, eppure secondo l’immaginario comune non sono considerati diseducativi. C’è differenza tra il simulare violenza dal vivo e il simularla tramite un videogioco? Se giochi violenti non hanno trasformato tutti i nostri antenati più o meno lontani in mostri assetati di sangue, perché dovrebbe farlo il semplice replicare su uno schermo le stesse azioni?

La verità è che sarebbe compito di un buon genitore mediare queste esperienze, insegnare il lecito ed il non lecito, ciò che è male e ciò che è bene, in sintesi EDUCARE. Si tratta di un compito estremamente difficile, ma reso possibile dal fatto che ha vissuto esperienze simili crescendo, quindi può trasferire a suo figlio il bagaglio di conoscenze che ha accumulato, nel tentativo di renderlo ogni giorno migliore. Ma cosa succede quando queste esperienze tendono a diventare invece estremamente diverse? Di fronte alla nascita di nuove forme di intrattenimento i genitori moderni si sono trovati spiazzati, trattandosi di un qualcosa a loro completamente sconosciuto. Molti si sono adattati, imparando a conoscere questi nuovi passatempi per essere in grado di scegliere quelli più adatti alla crescita psicologica del proprio bambino; i restanti hanno preferito scagliarsi contro un mondo che non comprendono, preferendo dare ad altri la colpa delle proprie mancanze.  È infatti molto più comodo abbandonare un figlio di fronte alla tv o ad un videogioco senza curarsi del contenuto di cui sta fruendo, piuttosto che impegnarsi ad entrare nel suo mondo per poter scegliere in maniera consapevole. Ma è davvero così difficile per un genitore capire quali videogiochi possano aiutare nel difficile compito educativo senza provocare danni?


Questo è il punto centrale della questione. Esistono da anni organi preposti alla valutazione dei prodotti videoludici (in Europa il PEGI) che possono vietare un gioco ai minori di una certa età, scrivendo inoltre sulla confezione se sono presenti  violenza, sesso, utilizzo di droghe, gioco d’azzardo e finanche linguaggio scurrile. Cosa c’è di più semplice che leggere direttamente sul gioco che si sta per acquistare quali ne sono i contenuti e decidere di conseguenza? Ma alla madre che sente piagnucolare il proprio pargolo perché gli compri un GTA qualsiasi questo non importa, per lei si tratta soltanto di giochini e non di prodotti culturali, che in quanto tali possono modificare l’esperienza di vita al pari – se non di più, data la componente interattiva – di un libro o di un film. I mezzi  di comunicazione approfittano di questa ignoranza, cavalcando volentieri  le legittime paure di ogni genitore e dando la colpa ai videogiochi di omicidi e fatti di cronaca violenta che ne vedano i protagonisti come fruitori: il massacro di Columbine, la strage nel campus in Virginia, gli omicidi di Winnenden, il recente accoltellamento di Torino sono solo alcuni degli innumerevoli esempi nei quali si è preferito percorrere questa strada, maggiormente redditizia in termini di clamore generato, invece che interrogarsi seriamente sul profondo disagio psicologico dei giovani protagonisti. Così come giudici, avvocati, politici approfittano della situazione per uscire dall’anonimato e conquistare voti e consensi.

Tornando alla domanda posta ad inizio articolo, i videogiochi violenti fanno male? La risposta è sì, ma solo se messi nelle mani di individui ancora da formare e privi della corretta supervisione. Perché tentare di eliminarli, quando esistono strumenti che permettono di tenerli lontani da coloro che realmente possono esserne influenzati in maniera negativa? Si impedisce forse ad un regista, uno scrittore, un fumettista, un pittore di inserire scene violente nelle proprie opere? Purtroppo sembra far parte della natura umana il cercare di impedire agli altri di vivere esperienze che non si è in grado di comprendere. Io ho provato di tutto. Ho spaccato la testa ai passanti con una mazza da baseball. Fatto saltare arti a soldati nemici con un machete. Accoltellato donne e vecchi. Estratto la spina dorsale al mio avversario. Fatto esplodere auto ed interi edifici. Abbattuto aerei ed elicotteri. Bruciato foreste piene di vita con bombe al napalm. Assassinato migliaia di persone. E non ho ancora smesso. Avete paura di me? Dovreste invece aver paura della vostra ignoranza: è quella ad uccidere davvero.

Bibliografia

  • Petrone, L. – Dalla violenza virtuale alle nuove forme di bullismo. Strategie di prevenzione per genitori, insegnanti e operatori – Magi, 2008
  • William T. Vollmann – Come un’onda che scende e che sale – Mondadori, 2007
  • Tanoni, I. – Videogiocando s’impara. Dal divertimento puro all’insegnamento-apprendimento – Erickson, 2003
  • Bartolomeo, Annella & Simone Caravita – Il bambino e i videogiochi. Implicazioni psicologiche ed educative –  Edizioni Carlo Amore, 2005
  • Ciofi Rolando & Dario Graziano –  Giochi pericolosi? Perché i giovani passano ore tra videogiochi on line e comunità virtuali – Franco Angeli, 2003
  • Durkin & Barber – Not so doomed: Computer game play and positive adolescent development – Applied Developmental Psychology, 2002
  • Greenfield, P. M. – Mente e media. Gli effetti della televisione, dei computer e dei video-giochi sui bambini – Armando Editore, 1995
  • Nardone, R – I nuovi scenari educ@tivi del videogioco – Junior, 2007
  • Herz, J. C. – Joystick nation. How videogames ate our quarters, won our hearts, and rewired our minds – Little Brown and Co., 1997
  • Ceccherelli, A. – Oltre la morte. Per una mediologia del videogioco – Liguori, 2007
  • Anderson, Gentile,  Buckley – Violent video game effects on children and adolescents. Theory, research, and public policy – Oxford University Press, 2007
  • Goldstein, J. – Does playing violent videogames cause aggressive behaviour?” – Cultural Policy Chicago, 2005
  • Ghezzo, P. – Videogiochi e minori. Miti, valori e modelli di comportamento – IIMS, 2007
  • Jones, G. – Killing Monsters: Why Children Need Fantasy Games, Superheroes and Make-Believe Violence – Basic Books, 2005
  • Harvey, C. – Grand Theft Auto. Motion eMotion – Edizioni Unicopli, 2005
  • Alinovi, F. – Mi gioco il cervello. Nascita e furori dei videogiochi – Liocorno, 2000
  • Kermol E. & Pira F. – Videogiocando. Pro e contro i nuovi divertimenti dei bambini – Cleup, 2001

La caduta del Lich King

The Lich King on the Frozen ThroneSi possono fare davvero molte critiche a World of Warcraft, ma nessuna di queste gli toglierà il primato di gioco online più giocato nella storia dei videogiochi.
È uscita oggi la patch 3.3.2, che sblocca finalmente l’ultima parte della Icecrown Citadel, la fortezza ghiacciata del Lich King, ovvero l’ex principe di Lordaeron, Arthas Menethil.
Siamo quindi al punto. Se c’è un momento in cui ha senso giocare a WoW, è questo. A sette anni da “Warcraft 3: Reign of Chaos”, e a cinque dalla sua inaugurazione ufficiale, WoW conta ormai più di 12 milioni di utenti attivi. Per questi 12 milioni di avventurieri, il momento in cui tutte le loro fatiche per farmare l’equipaggiamento, lo sbattimento di organizzare una parte della loro vita per poter partecipare ai raid più remunerativi, le sofferenze e i rosicamenti di cinque lunghi anni di gioco, stanno per essere finalmente ripagate: da oggi avranno la possibilità di uccidere il Re Lich.

Ma chi era Arthas Menethil? Arthas è senz’altro l’icona della Blizzard stessa. Ci ha tessuto intorno il suo universo nello stesso modo in cui George Lucas ha intessuto quello di Star Wars intorno a Darth Vader. In Warcraft 3 abbiamo giocato l’ascesa del giovane principe di Lordaeron, e attraverso un preciso percorso di corruzione, l’abbiamo guidato nelle mani del Male: i demoni delle Outland prima, lo stesso Ner’Zhul – il Lich King in persona – poi. È quindi arrivato il momento della redenzione?

Ripercorriamo insieme la bellissima storia di Arthas, cioè la storia della Blizzard stessa, attraverso un po’ di filmati-chiave tratti dai vari videogiochi.

Il profeta Medivh avverte King Terennas, padre di Arthas, di una minaccia incombente, ben più grave dell’orda di Thrall (Warcraft 3).

Arthas tradisce il suo mentore, il paladino Uther Lightbringer, uccidendo tutti gli abitanti di Stratholme per “salvarli” da un destino peggiore (versione originale di W3 + versione dell’istanza “The Culling of Stratholme” di WoW: WotLK).

Arthas, sotto controllo mentale del Lich King stesso, e sotto il consiglio perverso di Kel’Thuzad, arriva a Northrend ed entra in possesso di Frostmourne, la spada maledetta del Lich King (Warcraft 3).

Arthas incrocia Illidan e i due si battono in un duello mortale (Warcraft 3: The Frozen Throne).

Arthas torna a Lordaeron e uccide il proprio padre, il Re Terennas (Warcraft 3).

Con il piano del Lich King pienamente riuscito, la Scourge distrugge il reame di Lordaeron e corrompe metà del continente di Azeroth. Mentre gli eroi superstiti di Alleanza e Orda si affiancano per difendere l’albero della vita del Monte Hyjal dagli attacchi dei demoni della Burning Legion, guidati da Archimonde, Arthas torna a Northrend, entra nella Icecrown Citadel e si fonde con l’anima stessa di Ner’Zhul indossando la sua armatura, diventando il Lich King (Warcraft 3: The Frozen Throne).

Passano gli anni e i piccoli avventurieri crescono, giocando a World of Warcraft. Nel 2004 esce il mmorpg, nel 2007 la sua prima espansione, “The Burning Crusade”, in cui gli avventurieri hanno la possibilità di fare i conti con l’ex cacciatore di demoni Illidan e i suoi alleati, Kael’Thas degli elfi del sangue e Lady Vashj, nonché alcuni demoni della Burning Legion del calibro di Magtheridon e Kil’Jaeden.
Nel 2008 esce finalmente Wrath of the Lich King, un’espansione che affonda pienamente le mani nel lore di Warcraft, soprattutto in “Reign of Chaos”. L’espansione viene presentata da questo trailer:

Bolvar Fordragon è stato reggente di Stormwind, la nuova capitale dell’Alleanza dopo la distruzione di Lordaeron, per tutto il tempo in cui Re Wrinn è rimasto disperso.
Al suo ritorno, Bolvar è andato a Northrend, a dare filo da torcere al Lich King in persona. Questo è quello che succede giocando a WoW:WotLK, se si seguono le quest che Bolvar assegna:

Il trailer della patch 3.3, che ha introdotto il dungeon della Icecrown Citadel.

E ora lo scoop: il filmato che WoW:WotLK mostra alla sconfitta di Arthas.
Tirion Fordring, un veterano della Seconda Guerra e uno dei primi cinque Cavalieri della Silver Hands, ha fondato l’Argent Crusade unendo le forze di Argent Dawn e Silver Hands, dopo gli eventi della battaglia di Light’s Hope Chapel.
In WotLK conduce gli avventurieri direttamente al Frozen Throne, al cospetto del Lich King, e lo affronta armato della leggendaria spada Ashbringer, donatagli da un redento Darion Mograine.

Cosa ci riserverà adesso la Blizzard? Permettere l’uccisione di Arthas, incarnazione dell’intero lore di Warcraft, sembra un azzardo. La Blizzard sembra aver giocato la sua carta migliore, e probabilmente il record di 12 milioni di account non sarà destinato ad aumentare, dato che i fan di Warcraft 3 saranno ampiamente accontentati.
La prossima espansione, chiamata “Cataclysm” vede come nemico principale Deathwing, un drago nero che si porta dietro anche lui un sacco di lore, ma che non ha mai avuto realizzazione in un videogioco.
Riuscirà la Blizzard a trovare nuove idee e a dare nuova linfa al suo capolavoro, senza resuscitare Arthas Menethil? Chi vivrà, vedrà.

Per appronfondire la storia di Warcraft e dei suoi bellissimi personaggi, consultate la WoWWiki.

Team Fortress 2: IL gioco definitivo

Oggi parliamo di un argomento più leggero, visto che si avvicinano le feste, siamo tutti in vacanza, perché non distrarsi un po’ con un bel videogame?

Nel 2007 Valve ha pubblicato, tramite la sua piattaforma Steam, il gioco Team Fortress 2, in assoluto uno dei best seller degli ultimi anni.

Ma che cos’è TF2?
Team Fortress 2 è un FPS (First Person Shooter), acronimo che si può tradurre come “sparatutto in prima persona” (per tutti quelli che masticano poco di PC gaming). Ambientato negli anni ’60, il gioco vede due fazioni (i B.L.U. e R.E.D.) che si scontrano in diverse modalità di gioco al fine di portare a casa la vittoria. E’ un gioco multiplayer, dove ciò che conta più di tutto è la collaborazione con gli altri elementi della propria squadra. Certo, nessuno vi vieta di entrare in uno dei numerosi server e cominciare a sparare a caso per ammazzare più gente possibile, ma il vero divertimento è senza dubbio la collaborazione con i vostri teammate, magari con la chat vocale attivata. Analizziamo le caratteristiche del gioco nel dettaglio.

Classi
Il giocatore può scegliere di interpretare una delle nove diverse classi che fanno parte del gioco, ognuna con le sue peculiarità e la sua gamma di vantaggi/svantaggi. Eccone una breve descrizione.

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Scout:
lo scout è una classe leggera, veloce, fastidiosa. Il suo compito è quello di correre in continuazione, rompere le scatole a tutti gli altri giocatori, e cercare di conquistare i punti di controllo (analizzeremo i CP dopo). Le sue armi fanno poco danno, ma sono pericolosissime se sapute usare. Fucili a canne mozze, pistole, e la sua inseparabile mazza da baseball, che nella sua variante “Sandman” permette di stordire gli avversari per alcuni secondi, se questi vengono colpiti dalla palla annessa.

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Soldato:
Classe pesante e lenta. Il soldato ha come arma principale il  lanciarazzi, che spara missili lenti (anche se nell’ultimo update è presente un nuovo lanciarazzi più veloce), ma fatali. Un bravo soldato lo riconoscerete dal fatto che continua a fare rocket-jump (ossia saltare sfruttando l’esplosione dei suoi stessi razzi) e colpirvi senza che voi neanche riuscite a capire da dove. Massiccio, potente, fondamentale per gli attacchi frontali in quanto anche molto resistente, il soldato è la perfetta classe d’attacco.

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Piro:
il Pyro è un po’ lo psicopatico del gioco. Armato di lanciafiamme, il suo compito consiste nel dare fuoco a più gente possibile nei 3 o 4 secondi che riesce a rimanere in vita. Il suo bruciatore primario, inoltre, offre la possibilità di rimbalzare tutta la roba che gli scaricano addosso (esclusi i proiettili veri e propri). E’ inoltre il nemico principale della Spia, in quanto le sue fiamme incendiano il nemico per parecchi secondi (danneggiandolo nel frattempo), rendendo così vani i tentativi di mimetizzazione del terribile 007 francese.

Demoman
Demoman:
un nero, scozzese, ubriaco, senza un occhio e con un sacco di granate appresso. C’è da dire altro? Il Demoman è il distruttore, si occupa di sfasciare le costruzioni avversarie (le sentrygun dell’Ingegnere), e di sparare da distanze inenarrabili granate a caso. E sì, prima o poi vi ammazzerà, senza manco vedervi, sparando pipebomb come se piovesse. Porta con sé inoltre un altro tipo di granate, le cosiddette “sticky”, che come suggerisce il nome si attaccano sullo scenario, ed esplodono a comando. Nell’ultimo update (online questi giorni) gli hanno dato anche una bella spada a due mani e uno scudo. Un vero “badass”!

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Grosso:
un ciccione sovietico, dal cervello piccolo, ma dal cuore enorme. Lento, il più lento di tutti, ma resistentissimo, il Grosso si trascina dietro una enorme minigun da 200 proiettili, che scarica sull’avversario in 12 secondi netti. E’ l’apripista, regge tantissimo i colpi, non richiede molto cervello. Il suo migliore amico (sono simbionti) è il Medico. Un Grosso con un buon Medico dietro è una specie di carrarmato semovente. Stategli alla larga, e lasciate fare il lavoro sporco a spie e cecchini.

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Ingegnere:
il simpatico Ingegnere è colui che si occupa di costruire strumenti di supporto per la truppa. Ogni ignegnere può costruire una Sentry (che si occupa di sparare in automatico ai nemici che arrivano nel raggio d’azione), un Dispenser (che cura gli alleati che si avvicinano, e li rifornisce di munizioni) e il Teleport (un teletrasporto, per spostarvi da un punto all’altro della mappa). Fondamentale come classe di supporto, il bravo Engi sposta il fronte della battaglia man mano che la squadra avanza. In difesa si deve preoccupare delle Spie, che non perderanno occasione per rompergli le uova nel paniere, e non solo.

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Medico:
se avete giocato un paio d’ore su un server, al primo match perso qualcuno avrà sicuramente detto “eh ma con il Medico avremmo vinto”. Il Medico è la classe di cui tutti hanno bisogno, ma che nessuno vuole fare. Il suo compito è quello di curare i compagni di squadra con una pistola che spara un raggio curante. La cosa simpatica è che caricata una barra per un certo tempo, il medico può sparare l’invulnerabilità ad un suo commilitone per un tempo limitato, mossa fondamentale per sfondare le linee nemiche e far saltare quella torretta che vi ha proprio stressato la serata. Nella sua variante Kritzkrieg, la pistola curatrice invece dell’invulnerabilità dona dieci secondi di colpi 100% critici. Un mare di danno. Se vedete un medico, uccidetelo. PRIMA il Medico. Ricordatelo.

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Cecchino:
siete delle carogne? Vi piace stare rintanati in un angolo della mappa e beccare la gente da ottanta chilometri senza manco sporcarvi la giacca? Il Cecchino è la classe che fa per voi. Fondamentale in difesa, nelle mani di chi lo sa usare è un incubo anche in attacco. Come arma alternativa ha un simpaticissimo arco che stravolge completamente il suo ruolo, spostandolo sulla media distanza (l’arco è più lento e meno preciso del fucile) e regalandogli l’emozione della battaglia. Per qualche minuto. Poi tornerà a headshottarvi da ottanta chilometri.

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Spia:
e qui il gioco cambia completamente. La spia ha la possibilità di travestirsi da membro della squadra avversaria, e può diventare invisibile. Grazie a queste capacità, la Spia si può inserire dietro le linee nemiche e cominciare ad accoltellare tutti alle spalle, bullandosi in francese. Altra simpatica feature di classe, la Spia porta con sé il cosiddetto Sapper, uno strumento che è in grado di mettere fuori uso gli edifici dell’Ingegnere. Per non parlare dei simpatici gingilli da 007 tra cui scegliere, come ad esempio il Dead Ringer, che vi permette di fingervi morti. E giù coltellate.

Modalità di gioco
I Rossi e i Blu si sfidano nel gioco in diverse mappe, nelle seguenti modalità di gioco.

CTF: il classico cattura la bandiera. Qui da catturare però c’è l’intelligence, una valigetta che si trova nelle rispettive basi in mappe speculari. Compito dei giocatori è andare nella base avversaria, fregare la valigetta, e tornare sani e salvi alla propria base, segnando un punto. Tutto questo schivando razzi, granate, coltellate, scout con la mazza da baseball, colpi del cecchino ecc ecc. Fondamentale è il gioco di squadra.

CP: Capture Point. Le squadre si dividono in attaccanti (Blu) e difensori (Rossi). Gli attaccanti hanno il compito di conquistare dei punti situati nelle diverse zone della mappa, standoci sopra. I rossi devono impedirlo, fino allo scadere del tempo. Semplice no? Naturalmente ci sono tutte le varianti del caso. Gli Scout ad esempio conquistano i punti al doppio della velocità rispetto a tutte le altre classi. La tattica è tutto in questi casi.

tf2_10th_classPayload: la mia modalità preferita. Gli attaccanti devono spostare un carrello con una bomba da un punto A ad un punto B, passando per diversi checkpoint intermedi. Il carrello si muove ogni volta che un membro degli attaccanti si avvicina. I difensori naturalmente devono impedire il percorso. Immaginatevi la scena tipo: Grosso, Soldato, Medico di supporto attorno al carrello, e di fronte i difensori che gli scaricano addosso tutto l’arsenale per fermarli, mentre le Spie degli attaccanti accoltellano questi ultimi alle spalle, i Pyro incendiano. Insomma, una confusione assurda, il vero e proprio divertimento di un gioco così frenetico. Esiste anche la variante Payload Race, dove i carrelli sono due, e i percorsi si incrociano, con le due squadre che tentano di portarle ai rispettivi traguardi.

Arena: Qui non c’è rigenerazione. Se muori, devi aspettare la fine del match. Vince naturalmente la squadra che rimane in vita (o che conquista il punto finale). I round di solito sono molto brevi, ed è in queste mappe che si vede davvero chi sa giocare.

Team_Fortress_2_ScreenshotKOTH: l’ultima modalità introdotta è la King of the Hill (dominatore della collina). C’è un unico punto da conquistare e da tenere “dal proprio lato” per tre minuti, mentre l’altra squadra deve provare a fermarvi e a fare lo stesso. Il punto tendenzialmente si trova al centro della mappa, che diventa una bolgia infernale di esplosioni e gib che saltano ovunque.

Territorial Control: unica mappa ufficiale con questa modalità è Hydro. Ci sono zone diverse di una stessa mappa da conquistare tramite CP, e man mano la battaglia si sposta in altre zone limitrofe della stessa mappa. La modalità meno riuscita forse, ma che vi frega, c’è una sola mappa.

Tecnica
Tecnicamente il gioco, risalendo a due anni fa, gira anche su macchine non troppo potenti/aggiornate. Il punto forte di TF2 è senza dubbio la sua grafica stile cartoon, che vi conquisterà dal primo momento, unita all’umorismo che permea tutto il gioco. Il cuore pulsante che batte nelle linee di codice di gioco è il motore grafico di Half Life 2, seppure debitamente aggiornato e rimodernato.  Quindi se avete già giocato HL2, vi girerà anche TF2. Le immagini parlano da sole.

Conclusioni
UberChargeTeam Fortress 2 è senza dubbio il gioco più divertente che mi sia capitato di provare online. Aperto a tutte le tipologie di giocatori, da quelli superskillati che vi ammazzano con il Soldier senza manco farvi toccare terra a quelli che escono con il Pyro bruciando a caso, vi ritroverete sempre più spesso a pensare la fatidica frase “l’ultima e poi stacco”. Il vero punto forte, come detto già all’inizio, è il fatto che il gioco è in costante aggiornamento, e la Valve non si limita solamente a rilasciare Patch, ma sempre più spesso costruisce dei veri e propri eventi intorno agli update, con la pubblicazione di contenuti nuovi(vedi la guerra tra Demo e Soldier che si è consumata proprio in questi giorni), fumetti, concorsi e chi più ne ha più ne metta. La cosa che colpisce di più è proprio l’attenzione al dettaglio, il non lasciare nulla al caso. Ma, cosa ancora più fondamentale, TF2 è un gioco divertente, permeato da un umorismo assolutamente indovinato, con le rivalità (Spia vs Cecchino) e le amicizie (Medico e Grosso) del caso. Per non parlare dei filmati che introducono le varie classi, i cosiddetti Meet The…, vere e proprie perle di animazione 3D, da far impallidire la Pixar.

Per questo weekend il gioco sarà disponibile gratuitamente tramite la piattaforma Steam, e in offerta d’acquisto al ridicolo costo di 7,45€. Sarebbe veramente un peccato perdere questa occasione, perché per un prezzo minimo vi portate a casa mesi e mesi di divertimento ininterrotto. Fidatevi.

Vi lascio con uno dei “Meet The…” ufficiali, e vi rimando alla bellissima guida del nostro Obi-Fan Kenobi (la versione 5.2 è aggiornata a due patch fa. Controllate lo stesso indirizzo nelle prossime settimane per la versione più recente! ndObi) per tutti i dettagli sul gioco, che per ovvi motivi di spazio non abbiamo potuto trattare nell’articolo. Buon divertimento, e se passate sui server, io sono *PLA* Griso… Il mio lanciafiamme vi aspetta.