Nel mare ci sono i coccodrilli – Recensione

[stextbox id=”custom” big=”true”]Una nuova autrice su Camminando Scalzi
Vi presentiamo oggi Claudia Caldarola, docente di lettere che esordisce su Camminando Scalzi con la recensione del libro “Nel mare ci sono i coccodrilli” di Fabio Geda. Buona lettura![/stextbox]

“Nel mare ci sono i coccodrilli, e potrebbe esserci qualunque cosa, in quel buio scuro” – è questa la convinzione di Hussein Alì, compagno di viaggio di Enaiatollah Akbari, il protagonista della storia vera raccontata da Fabio Geda. Hussein ha paura del mare, non lo conosce, e teme soprattutto di essere divorato dai coccodrilli.

A tre anni di distanza da “Per il resto del viaggio ho sparato agli indiani”, Fabio Geda, educatore e animatore culturale torinese, nel 2010 è tornato a raccontare la storia di un ragazzino costretto dagli eventi a intraprendere un lungo e faticoso viaggio.

“Nel mare ci sono i coccodrilli” è la storia vera di Enaiatollah Akbari, un bambino di dieci anni di etnia hazara, che intraprende un lungo e avventuroso viaggio dal suo paese, Nava, in Afghanistan, per sfuggire ai pashtun che reclamano la sua vita come risarcimento per un carico perso dal padre durante un trasporto. È sua madre a spingerlo ad allontanarsi dalla sua casa per sottrarlo alle minacce dei pashtun, dai quali lo divide l’appartenenza al gruppo religioso: loro, i pashtun, sunniti, Enaiatollah e la sua famiglia, sciiti. “La speranza di una vita migliore è più forte di qualunque sentimento”, dice Enaiatollah, cercando di spiegare a noi europei, lontanissimi nelle nostre esperienze quotidiane da tutto ciò che egli va raccontando, quanto possa essere dolorosa la scelta di una madre che, pur di offrire a suo figlio la speranza di un futuro differente, non esita ad affidarlo ai “trafficanti di uomini”.

Sin dall’incipit di questo libro irrompe la voce narrante del ragazzino, che, ormai stabilitosi in Italia, all’età di ventun’anni racconta in una sofferta e dettagliata narrazione le sue incredibili vicende:  dall’Afghanistan fino in Italia, Enaiatollah ha affrontato pericoli, disagi, fatiche. Un lungo dialogo tra Fabio ed Enaiatollah è la struttura portante di questo libro: la voce di Geda interviene solo sporadicamente per sottolineare alcuni punti o sollecitare chiarimenti al suo interlocutore, lasciando spazio ai ricordi del ragazzo.

Pakistan, Iran (con due ritorni forzati in Afghanistan), Turchia, Grecia, e infine Italia: queste le tappe del suo cammino. Tra lunghe soste in vari paesi, durante le quali il ragazzo si guadagna da vivere lavorando duramente, e pericolose traversate a bordo di vari mezzi di trasporto, Enaiatollah incontra una varia umanità: silenziosi ma risoluti trafficanti che speculano sulla pelle dei ragazzi e degli uomini in fuga, in preda alla solitudine e alla disperazione; uomini che si fanno partecipi delle sofferenze altrui, ma che non hanno la possibilità di aiutare concretamente tutti coloro che ne avrebbero bisogno; compagni di viaggio più o meno solidali, ognuno con la propria vicenda di sofferenza alle spalle. Tra le tante avventure narrate, ce n’è una che colpisce in maniera duratura la sensibilità del lettore: la lunga traversata a piedi delle montagne tra Iran e Turchia, in compagnia di curdi, pachistani, iracheni, bengalesi; ventisette giorni di cammino, dodici persone su settantasetteche perdono la vita lungo il tragitto, vittime della fame, della stanchezza, del freddo.

Enaiatollah ce l’ha fatta, e oggi sente la necessità di raccontare il suo passato; noi allo stesso tempo proviamo il desiderio di ascoltare le sue parole. Il suo racconto ci mostra, da un lato, ciò che l’uomo è in grado di provocare quando perde di vista la sua umanità, quando persegue esclusivamente l’interesse; d’altra parte, la presenza di Enaiatollah tra di noi, al sicuro, accolto da una famiglia italiana e finalmente libero di studiare, è anche il segno dell’esistenza di uomini e donne che non si sottraggono alla richiesta d’aiuto di chi si trova in difficoltà.

Enaiatollah ha vinto: i talebani che, una mattina d’autunno, hanno chiuso la sua scuola e ucciso il suo maestro – “Il mullah Omar ha deciso di chiudere le scuole hazara”, dicono – nulla hanno potuto contro la sua voglia di vivere e il suo desiderio di avere un futuro migliore, di imparare. I talebani, ci spiega Enaiatollah, non sono solo afghani: tra di loro ci sono pachistani, marocchini, egiziani, senegalesi, tutti ignoranti che impediscono ai bambini di studiare affinché non capiscano che non fanno ciò che fanno in nome di Dio, ma per i loro sporchi interessi.

Dalla voce di Enaiatollah Akbari giunge fino a noi una lucidissima e semplicissima analisi del senso dell’essere “umani”. In questa storia riconosciamo la storia di tutti coloro che sono costretti a lasciare la loro casa per andare in cerca di un futuro migliore, e che, da quel momento, orfani delle loro radici, si perdono nel grande mare dell’umanità: se riusciranno a raggiungere la loro mèta, non sarà solo grazie alla fortuna, alla tenacia e al coraggio, ma anche alla mano tesa di chi avrà visto in loro il proprio fratello.

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Tagli alle spese militari, ma le missioni proseguono

Non si sa quando termineranno ma, di sicuro, continueranno. Stiamo parlando delle cosiddette “missioni umanitarie” dei nostri soldati all’estero. Dopo le solite polemiche legate ai costi delle missioni, giovedì 7 luglio il Consiglio dei Ministri ha approvato il rifinanziamento, anche se ha posto una tregua: in pratica, circa duemila militari rientreranno da Libia, Libano e Balcani e ci sarà anche un taglio di 120 milioni alle spese per il prossimo semestre: da 811 a 620 milioni. I tagli riguardano soprattutto la Libia, dove si passa dai 142 milioni del primo semestre ai 58 del secondo. La nave ammiraglia Garibaldi sarà ritirata con i suoi 884 uomini e tre aerei che, tuttavia, saranno sostituiti da alcuni velivoli che partiranno dalle basi italiane. Dall’Afghanistan non andrà via un solo soldato e sono stati stanziati 15 milioni in più per la sicurezza dei nostri militari. Inizialmente, la Lega aveva posto il veto sul rifinanziamento, ma ha accolto con soddisfazione il decreto, anche se non sono mancate polemiche tra il leader del carroccio, Umberto Bossi, e il ministro della Difesa Ignazio La Russa. Si tratta di una sorta di compromesso che alla fine accontenta tutti: da un lato il segretario leghista che da qualche giorno veste i panni del (presunto) pacifista, dall’altro il ministro della Difesa che voleva a tutti i costi che le missioni proseguissero.

A ogni modo, ancora una volta è stato deciso che i nostri soldati devono continuare a rischiare la vita in zone molto pericolose, dove tra l’altro non sono mai stati visti benissimo da una parte delle popolazioni locali, come dimostra l’alto numero di militari uccisi a seguito di attentati. Ormai è da tempo che i soldati italiani vivono in zone di guerra, anche se ipocritamente le loro missioni vengono definite “di pace”. In realtà il rischio di morire è molto alto, ma gli ordini governativi sono quelli di dover continuare, a rischio di perdere la vita. In Afghanistan sono tantissimi gli italiani morti in un paese che stenta a conoscere la democrazia e dove i talebani, nonostante le promesse istituzionali, non sono mai stati definitivamente sconfitti. Insomma, le “missioni di pace” proseguono più che mai e proseguiranno ancora per molto tempo. Tutto ciò può far fare bella figura all’Italia davanti agli altri paesi del mondo, ma nei fatti i nostri soldati continuano a rischiare la vita allo scopo di contribuire a portare la democrazia in paesi in cui questa difficilmente riuscirà a entrare nei meccanismi della politica locale, senza considerare poi i costi molto alti che lo stato italiano deve fronteggiare e che, forse, potrebbero servire per questioni interne che interessano maggiormente al popolo italiano.

Osama Bin Laden è stato ucciso: giustizia è fatta?

Non si parla d’altro oggi. Il web, i media, i giornali, la notizia rimbalza da una parte all’altra del globo. In USA si fa festa grande, si canta l’inno nazionale. “Giustizia è fatta!” le parole di Barak Obama (via | Repubblica.it). Sono passati quasi dieci anni da quel tragico undici settembre rimasto nella storia e impresso nelle memorie di tutti i cittadini del mondo. Quei due aerei che si schiantano sulle Torri Gemelle, le centinaia di morti, l’inizio di una guerra infinita contro il terrorismo mediorientale, l’invasione del Pakistan, dell’Afghanistan, dell’Iraq. E Osama Bin Laden era rimasto vivo, l’unico colpevole non ancora catturato, per ben dieci anni. Naturalmente sono stati in tanti quelli che hanno pensato che in realtà il capo di Al Qaida fosse morto da tempo, che in realtà non fosse più lui a muovere le redini dell’organizzazione terroristica che ha messo in ginocchio i formidabili Stati Uniti d’America. Fino a perdersi nelle nebbie dei complottisti, che hanno spesso visto in Bin Laden una scusa plausibile per permettere a USA e Occidente di imperversare nelle terre del Medio Oriente, alla ricerca dell’oro nero e di investimenti multimiliardari.

Vero o meno che sia -sono già tantissime le perplessità a riguardo, come raccontato in questo articolo di Agoravox– la notizia è che, nel concreto, da oggi Bin Laden non esiste più. È stato “giustiziato” da un commando Usa proprio in Pakistan, dopo anni di indagini, una grande caccia durata forse troppo, o forse fatta durare troppo. Probabilmente non lo sapremo mai, e poco interessa in fondo.

Il terrorismo è stato sconfitto? Giustizia è fatta? Difficile pensarlo e crederlo. Bin Laden giustiziato rappresenta un’incredibile mossa pubblicitaria, che travalica l’evento in sé, diventa propaganda, diventa l’obbiettivo raggiunto dall’amministrazione Obama dove le precedenti amministrazioni repubblicane targate Bush avevano fallito. E ci si rende conto di quanto in realtà l’americano avrà sempre la fondina con l’arma carica, poco importa di che schieramento si tratti. Si chiude oggi un ciclo storico fatto di una battaglia al terrorismo senza quartiere, che ha visto nascere e proseguire guerre infinite che hanno fatto migliaia di morti. Un ciclo che si chiude virtualmente, visto e considerato che da domani sarà tutto uguale a prima, con qualche voto in più e un’icona, un villain, in meno. Senza considerare il concreto rischio martirio (e infatti pare che la salma di Osama verrà sepolta in mare, per evitare pellegrinaggi fondamentalisti).

Rimangono ancora tante domande, a cui probabilmente non troveremo mai risposta, se non chissà tra quanti anni. Ne rimane una che va fatta e ognuno di noi potrà poi rispondere come meglio crede: era davvero necessario un’esecuzione immediata e sommaria senza processo? Portiamo la democrazia e la libertà in posti in cui è negata, e uccidiamo uno dei più grossi criminali della storia dell’umanità con un colpo in testa, appena ritrovato dopo dieci anni di ricerche?

Giustizia è fatta?

Meridiano Zero – Egitto: il popolo conta ancora qualcosa

C’è una Tienanmen a un passo da qui e in pochi se ne sono accorti. Tutti presi dal Sexygate, dalle intercettazioni e dal bunga bunga, dalle raccomandazioni, dai festini e da quello che succede nella casa più spiata d’Italia (non quella del Grande Fratello, quella di Arcore), il riordino dell’assetto mediorientale è passato, o comunque sta passando, in secondo piano.

Il connubio Italia-Egitto si è sintetizzato nei kebab, nei resort di Sharm el Sheik e nelle giovani adolescenti tirate fuori dalle questure perché nipoti di Mubarak. Già, proprio lui che, in questi giorni, è assediato dal suo stesso popolo, che gli urla a gran voce di dimettersi. L’ennesimo regime sotto scacco, che segue da vicino le rivolte Algerine e Albanesi. Cosa attendersi ora? E perché ora? La prossima nazione sarà la Libia. Il vecchio Gheddafi, con i suoi cavalli e le sue cavalle con le mostrine, farà posto presto o tardi al figlio, molto più occidentalizzato, al passo con i tempi e più simpatico agli Stati Uniti. Il vecchio troverà sicuramente posto in una dependance di Arcore. Il perché, a mio avviso, è da ricercarsi nel cambio di rotta che stanno prendendo gli Stati Uniti nei confronti di Israele; il partner storico, dopo le disfatte in Iraq e Afghanistan e la difficoltà nelle trattative in Palestina, inizia a essere indigesto, soprattutto alla compagine democratica che, a differenza di quella repubblicana, ha pochi interessi in ballo con le major delle armi&similia. L’America guarda oltre, guarda alle economie cinesi e indiane, cercando di ridisegnare dei confini dentro le quali stringerle: a oriente tra filippine, giappone e siam, a occidente in questo nuovo “medioriente” capitanato da un Egitto in piena rivoluzione.
La prova l’abbiamo avuta pochi giorni fa, quando l’Egitto ha dovuto chiedere l’autorizzazione a Israele per far avanzare i carrarmati nella pianura del Sinai, zona demilitarizzata, autorizzazione concessa e che ha fatto infuriare Hillary. Mentre in America chiedono elezioni e che Mubarak si dimetta per il bene del (suo) paese, Frattini cambia idea come una banderuola cambia direzione in un giorno di vento. Poche ore prima assicura appoggio a Mubarak, poche ore dopo chiede le sue dimissioni, evidentemente informato di aver detto una cazzata. L’esercito è stretto tra due fuochi. Da una parte Mubarak che chiede la soppressione delle rivolte, dall’altro un popolo che chiede ciò che è giusto: giustizia e democrazia. Il Cairo è nel caos. Piazza Tahir è la nuova Tienanmen e il popolo egiziano è la dimostrazione chiara, lampante, splendida, che il popolo conta ancora qualcosa.

Noi, invece, mangiamo popcorn e seguiamo il nostro personale sexygate.

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Il Corano al rogo.

Ha fatto molto discutere in questi giorni la propagandistica azione annunciata dal pastore Terry Jones, che in occasione del triste anniversario dell’undici settembre, aveva annunciato di voler dare fuoco ai libri sacri della religione musulmana.

Di chiaro stampo provocatorio, e di totale cattivo gusto, la protesta è nata in risposta all’idea (ipotetica al momento) di far nascere una moschea nei pressi di Ground Zero, idea che aveva fatto storcere il naso ai maggiori integralisti delle religioni cattoliche. Immediate le reazioni di moltissime autorità in tutto il mondo che hanno, giustamente, condannato l’atto senza se e senza ma. Nel Paese delle grandi libertà, in quegli stessi Stati Uniti che si sono fatti portatori di salvezza e di modernizzazione nel Medio Oriente a suon di missili e proiettili, oggi il clima è completamente diverso rispetto agli anni passati. Una provocazione del genere non è passata per niente inosservata; la stessa Casa Bianca è intervenuta, e in queste ore il presidente Obama sta decidendo, con il suo staff, se intervenire direttamente sulla questione, contattando il furbo reverendo Jones. Quest’ultimo ha inoltre auspicato un incontro con l’imam di New York, Abdul Rauf Feisal, al fine di discutere sul pomo della discordia rappresentato dalla costruzione della suddetta moschea.

Non si sono fatte attendere le reazioni neanche nel calderone mediorientale, e da molti esponenti politici e religiosi del bacino islamico. La paura è quella, più che concreta, di ritorsioni negli ambienti più caldi, ad esempio l’Afghanistan o il Pakistan, dove le truppe americane sono di stanza. Si teme per la vita dei soldati, soprattutto considerata la poca cordialità dei gruppi estremisti islamici.

L’iniziativa è un’ovvia provocazione, un modo per far parlare di sé, assolutamente fuori da ogni logica. Il risultato però è stato garantito, visto che la notizia ha fatto il giro del mondo, mettendo in campo la mobilitazione di tantissime autorità. L’amministrazione americana si trova di fronte a un brutto episodio da gestire, a pochi giorni dall’annuncio di una riduzione drastica delle truppe americane dislocate nelle aree calde. E ora questo fulmine a ciel sereno. L’interpol mette in guardia cittadini e ospiti negli altri paesi, la paura di una ritorsione da parte di Al Qaeda è grande, ed è anche molto concreta. E i parallelismi con altre “furbe” idee del genere sono semplici: molti hanno citato il rogo nazista dei libri ebraici, primo atto di una folle pulizia razziale che rimane indelebile nei cuori dell’umanità intera.

La violenza espressa da questo gesto, seppure soltanto annunciata, è di proporzioni enormi. È una miccia che brucia; lentamente, seppur non ancora accesa, ma inesorabilmente foraggia l’odio, aumenta la lontananza tra le due culture, e mette in una posizione di completa criticabilità tutta la cultura occidentale. La speranza è che il gesto venga presto dimenticato, ignorato, ed etichettato come una balzana idea di qualcuno che voleva farsi un po’ di pubblicità gratuita. E ben vengano le manifestazioni (pacifiche, s’intende) di protesta contro questo gesto, ma che diventino segnale di una critica costruttiva, di un avvicinamento piuttosto che di un arroccarsi sulle rispettive posizioni.

Non è in questa maniera che ci si confronta con le altre culture lontane dalla nostra (intesa come Occidentale). Forse impegnarsi un po’ più nella conoscenza e nell’approfondimento aiuterebbe a sconfiggere l’ignoranza che è genitrice di questa e di altre proposte balzane.

Uno stupido resta sempre uno stupido. Ma se tutto il mondo ne parla, rischia di diventare uno stupido che ha causato molti problemi.

Dimentichiamoci del reverendo Jones. Dimentichiamoci di questa storia. Per una volta, lasciatecelo dire, non ne vale manco la pena parlarne.

Caro armato ti scrivo…

Mentre sta per essere approvata la manovra correttiva da 24 miliardi proposta dal ministro Giulio Tremonti, Comuni e Regioni fanno i conti con la possibilità di un budget sempre più ridotto, con probabili tagli alla formazione professionale, ai trasporti pubblici e alle scuole.

Nel frattempo la puntata di Anno Zero del 3 giugno ha mostrato quanto poco inutili fossero gli enti che verranno soppressi a seguito di questa manovra, e qualcuno come Luigi Bonanate (Università di Torino) ha giustamente cominciato a domandarsi per quale motivo i ministri La Russa (Difesa) e Frattini (Affari Esteri) non abbiano dato un proprio contributo a questa generalizzata riduzione della spesa pubblica. “Nei sette anni dacché siamo in Afghanistan – scrive Bonanate su l’Unità del 3 giugno – abbiamo aumentato la spesa militare di 750 milioni l’anno, ovvero 5 miliardi di euro (senza contare le spese fisse)”.

Pare infatti che fra i tanti sacrifici richiesti da questo provvedimento economico, il bilancio del Ministero della Difesa si aggiri attorno al 2% del Pil, come afferma un articolo di Pietro Salvato pubblicato su giornalettismo.com. Rifacendosi a fonti autorevoli come il Sipri (Stockholm International Peace Research Institute) e la Nato, il giornalista fa infatti notare come la cifra assegnata alle forze armate italiane sia “di poco inferiore, sostanzialmente, a quanto il governo destina per gli investimenti in politiche sociali: circa il 2,7% del Pil”.

Se il ministro La Russa può ancora permettersi di andare in giro a raccontare la favola secondo cui le spese militari non supererebbero il punto e mezzo del nostro prodotto interno lordo, è solo perché il bilancio del Ministero della Difesa costituisce solo una buona approssimazione dei costi militari dello Stato italiano, non tenendo conto “della spesa delle cosiddette missioni di pace che invece vengono assegnate in capitolati di spesa extra-bilancio della Difesa. Poi ci sono delle spese per sviluppo di armamenti, riportati invece nel Bilancio del Ministero delle attività produttive. I finanziamenti diretti o indiretti dello Stato a favore dell’industria militare nazionale e per prodotti “dual use” ( doppio uso, militare e civile). Infine, la frazione di spesa che l’Arma dei Carabinieri, di fatto, destina a soli compiti militari”.

In base ai dati riportati dalla Sipri, le spese militari collocano l’Italia all’ottavo posto della graduatoria mondiale davanti a paesi come la Russia (19,4 miliardi), l’Arabia Saudita (19,3 miliardi), la Corea del Sud (15,5 miliardi) e l’India (15,1 miliardi). Dati che risultano ancor più interessanti quando si confrontano tali cifre con la percentuale di spesa assegnata allo stato sociale, dove mentre l’Italia sfiora il 2,7% del Pil, la Gran Bretagna destina il 6,8%, la Francia il 7,5% e la Germania l’8,3%.

Secondo quando riportano Massimo Paolicelli e Francesco Vignarca prosegue l’articolo di Pietro Salvato – nel loro libro “Il caro armato. Spese, affari e sprechi delle Forze Armate italiane” (Altreconomia edizioni), nel 2010 il nostro Paese ha previsto di spendere in spese militari qualcosa come 23 miliardi di euro. […] Il nostro Paese ha più di 30 missioni internazionali in corso e nei prossimi anni ha in programma di acquistare, per citare solo uno dei progetti sui cosiddetti “sistemi d’arma”, ben 131 caccia per un valore complessivo di circa 13 miliardi di euro”.

A ciò si aggiungono sprechi ed inefficienze, e il 18 maggio di quest’anno il ministro La Russa è intervenuto durante La telefonata di Canale 5 per annunciare un aumento di circa 1000 unità al già cospicuo numero di soldati presenti sul territorio, affermando che “entro fine anno avremo un contingente italiano di poco inferiore ai 4.000 uomini“.

Si potrebbe sommare a questo mero conteggio di denaro il fatto che questa “non-guerra” sembri apportare ben pochi benefici, sia agli afghani stremati dal permanente stato di belligeranza, sia allo svariato numero di soldati italiani che hanno perso la vita per “servire” questa nostra meravigliosa patria…

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Quando le vittime sono le donne

La scorsa settimana si è verificato un drammatico incrocio di notizie aventi in comune le stesse vittime designate: le donne.

In provincia di Mantova, Omar Bianchera ha prima ucciso la sua ex moglie a colpi di pistola, poi ha concluso una sorta di percorso di vendetta eliminando una vicina di 71 anni e il figlio di un uomo con cui aveva dissapori a causa di affitti arretrati. Dopo aver seminato il panico con la sua fuga, è stato lo stesso uomo a chiamare le forze dell’ordine perché potesse costituirsi. La follia omicida è stata subito descritta come una tragedia annunciata. Pare che Bianchera fosse conosciuto per le sue escandescenze, e che molti in paese sapevano che possedesse un’arma. Facile dire “tutti sapevano e nessuna ha parlato”. Prima di tutto è più facile eccepire il comportamento di un estraneo che non di un conoscente; in quest’ultimo caso subentra spesso un sentimento di clemenza che spinge a chiudere gli occhi di fronte a comportamenti se non pericolosi, poco ortodossi. Ma guardiamo la realtà: che strumenti hanno i cittadini per segnalare un comportamento sospetto da parte di un’altra persona? Quali garanzie di protezione vengono effettivamente offerte? Riprendere una persona – fosse anche perché ha buttato una carta per terra- significa diventare un fastidioso intruso da coprire di insulti. Figuriamoci se qualcuno avesse mai pensato di rimproverare qualcosa a un uomo violento. E poi come? Qui entrano in ballo altri aspetti di questa vicenda che ancor più suonano come un copione ripetuto altre migliaia di volte, purtroppo. La ex moglie di Bianchera, avendo concrete ragioni per sentirsi vulnerabile,  aveva denunciato l’uomo perché dopo il divorzio la perseguitava, la seguiva, si nascondeva nell’oscurità per irrompere all’improvviso in offese. Per come stanno le cose, una denuncia non è una tutela sicura come purtroppo spesso siamo costretti a constatare. È chiaro quindi che le persone che sporgono denuncia andrebbero protette in maniera più efficace perché i costi umani, specie al femminile, sono davvero troppo alti. Quindi è inutile gridare ogni volta alla tragedia annunciata, bisognerebbe escogitare delle misure adeguate per proteggere le persone minacciate, una volta che le minacce si rivelino fondate. Bisogna evidenziare che le più esposte siano proprio le donne: le motivazioni che stanno alla base di questa crudele dinamica sono complesse. Nella gran parte degli omicidi che vedono soccombere le donne, credo si possa avanzare l’ipotesi che queste in qualche modo abbiano evaso il ruolo che l’uomo aveva assegnato loro e che nell’ottica dell’uomo che si sente offeso vadano punite. Nel caso di una ex moglie che cerca di rifarsi una vita, o di una brava donna che cerca di realizzarsi e guadagna più del marito (come Barbara Cicioni, uccisa all’ottavo mese di gravidanza dal marito geloso del successo della lavanderia che lei aveva messo su con le sue forze)  deve scattare nella mente omicida un impeto di rivalsa. Indubbiamente questi avvenimenti drammatici sono il culmine di una dinamica relazionale insana, di cui le avvisaglie si manifestano in precedenza; tuttavia la società e le stesse famiglie spesso non vedono, non decodificano, e lasciano soli, spesso non si hanno gli strumenti per intervenire.

In Afghanistan, in questi stessi giorni, alcune studentesse sono state intossicate da un misterioso gas mentre erano a scuola. Non è la prima volta che si verifica un’azione del genere, in passato, infatti, si è arrivati a lanciare dell’acido su alcune ragazze in cammino verso scuola. I fondamentalisti sono stati indicati come i fautori dell’attacco, tuttavia non hanno rivendicato l’azione. Chiunque sia stato, questo atto ingiustificabile è un rigurgito ideologico di un passato non tanto lontano che fino a 10 anni fa, in Afghanistan, proibiva alle donne di andare a scuola.
Questa è stata una forma collaterale e più sofisticata di violenza contro le donne, che nel caso specifico sono poco più che bambine. È fin troppo banale evidenziare come sia ingiusto e crudele voler relegare le donne a un ruolo subalterno di ignoranza. Impedire alle donne di camminare sul percorso del progresso è una forma di violenza come tutte le altre, aggravata dalla vigliaccheria per aver colpito – di nascosto individui che non avevano protezione alcuna.

Voler impedire alle donne di godere degli enormi benefici della cultura è deturpante per un popolo quanto l’acido sul viso di una donna.

Nessuno tocchi Emergency

[stextbox id=”custom” big=”true”] Una nuova collaboratrice su Camminando Scalzi
Camminando Scalzi è orgogliosa di presentarvi una nuova collaboratrice: Fabiana Mordenti di  Forlì. Laureanda in storia dell’arte contemporanea a Bologna, ha 27 anni, studentessa-lavoratrice, amante dell’arte, della Spagna, della gente schietta e sorridente. Di lei ci dice: “Non mi piacciono gli ipocriti, i musoni, le teste rasate e gli infiocchettati pieni di preconcetti e luoghi comuni. Non mi pacciono gli inconsapevoli, chi non si è ancora reso conto di stare al mondo, e che quindi di questo mondo un minimo dovrebbe preoccuparsene… in pratica non mi pacciono gli ignavi! 🙂 ” Benvenuta!

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Gino Strada

Comunicato Stampa da Emergency.it: “Sono arrivati a Kabul i 6 cooperanti di Emergency che erano rimasti a Lashkar-gah dopo l’irruzione della polizia, dei servizi segreti afgani e dei militari delle forze Isaf-Nato nell’ospedale di Emergency.

Tra i sei, il logista dell’ospedale di Kabul che era andato a Lashkar-gah subito dopo l’irruzione, una anestesista e tre infermiere italiane e un fisioterapista indiano che lavoravano nella struttura. In seguito alle operazioni che hanno portato al prelevamento di Marco Garatti, Matteo Dell’Aira e Matteo Pagani, lo staff era rimasto nell’abitazione degli internazionali in città.

Lo staff di Emergency non era più entrato in ospedale dal momento dell’irruzione e da allora Emergency non ha più la responsabilità delle attività dell’ospedale.

Scaduti i termini di 72 ore per il fermo, ancora non si hanno notizie sulla posizione giuridica dei fermati, tra cui Marco Garatti, Matteo Dell’Aira e Matteo Pagani. A Emergency al momento non risulta che sia stata ancora formulata alcuna accusa a loro carico né che siano stati indicati i diritti a loro tutela, compresa la possibilità di nominare un avvocato difensore.

Emergency è in attesa di ricevere ulteriori informazioni sulla condizione dei fermati da parte della rappresentanza diplomatica italiana a Kabul che sta seguendo l’evolversi della situazione.”

Lo sapevo. Aspettavo questo momento con terrore. Non c’è da stupirsi, chissà da quanto la stavano architettando…
Emergency lavora da oltre 10 anni nei territori di guerra più disparati e pericolosi, salvando e ricucendo vite spezzate più delle ossa dal terrore e dalla cattiveria umana, grazie a medici e a operatori incuranti dei rischi a cui sottopongono la propria, di vita.
Emergency non ha mai nascosto la propria opinione riguardo alle cosiddette “missioni di pace” che, negli anni, i governi occidentali (di ogni colore) hanno avviato nelle varie parti del mondo: ci si è opposta. Ha criticato aspramente quelle che loro chiamavano bombe intelligenti, operazioni mirate, attacchi selettivi, ecc. ecc., bla bla bla…
I medici e i paramedici di Emergency sono persone che se ne fregano di fare i miliardi come primari in qualche clinica privata occidentale, sono persone che seguono quella che dovrebbe essere la missione principale di ogni medico: salvare vite, indipendentemente dal fatto che queste possano permettersi le cure di cui hanno bisogno.

Gino Strada in primis non ha mai fatto mistero delle sue opinioni politiche. Non si è mai accostato a un colore o a uno schieramento, piuttosto ha preso sempre attentamente le distanze da ognuno di essi.Ha  detto sempre “NO”. Ha urlato forte la parola “Criminale” quando ha ritenuto che l’uccisione “collaterale” di centinaia di civili fosse un’operazione che meritasse di essere denominata tale…
S’è creato antipatie da parte di coloro che non ingoiano facilmente le critiche e che hanno costruito il loro potere tramite le bugie, gli inganni, le collusioni e le strette di mano sporche: e ora? Volete farci credere che quelle armi in quei depositi, in mezzo ai medicinali per persone distrutte, le abbiano messe loro?
Pensate DAVVERO che noi possiamo credere che tre operatori abituati a vedere l’orrore negli occhi della gente siano disposti a vendersi per soldi sporchi di sangue filoamericano? Davvero credete che non riusciamo a vedere le tonnellate di fango con le quali state cercando di sotterrare e insudiciare un’organizzazione che vi è sempre stata così poco amica e subalterna?

Sul sito del PdL ecco le dichiarazioni di Gasparri: “Sul caso Emergency-Afghanistan il governo italiano deve intervenire, ma per le ragioni opposte a quelle citate da certi personaggi. Già in occasione di altre vicende emersero opinabili posizioni e contatti di questa organizzazione. Ora che ci fossero armi in luoghi gestiti da questa gente si è visto chiaramente su tutte le televisioni. Il nostro governo deve tutelare la reputazione dell’Italia che impegna le proprie Forze armate in Afghanistan e in altre parti del mondo a tutela della pace e della libertà minacciate dal terrorismo. Chi dovesse vigilare poco, e siamo generosi a limitarci a questo, crea un gravissimo danno. Ci riferiamo ad Emergency. L’Italia non può essere danneggiata da queste situazioni. La nostra linea è chiara. Quella di altri no“.

Gasparri, il “danno per l’Italia” siete TU e il tuo Governo di bugiardi. Gasparri, e chi come lui, dovrebbero sciacquarsi la bocca prima di pronunciare il nome di Emergency.

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Ecco alcuni link utili:
1) http://www.emergency.it/ – Il Sito ufficiale di Emergency
2) Aggiornamenti sulla vicenda – qui e
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Il pugno nell'occhio 1 – Caduti in Afghanistan

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Un nuovo autore su Camminando Scalzi.it

Presentiamo un nuovo collaboratore di Camminando Scalzi.it. Krop, al secolo Iacopo Iorio, sarà il nostro occhio un po’ “pulp”, un po’ trasversale con le sue opinioni appassionate e rabbiose sugli argomenti più interessanti dell’attualità. Il suo stile è come un pugno in un occhio, è una nauseabonda visione di questa realtà ammuffita che ci circonda. Non lasciatevi intimidire, e concentratevi su quello che dice. Certe volte delle cose vanno dette in un certo modo. Sono sicuro che lo apprezzerete. In bocca al lupo a lui, e benvenuto nella nostra redazione.

La Redazione di Camminando Scalzi.it[/stextbox]

Quasi doveroso spendere due parole a riguardo degli “eroi” caduti in Afghanistan partendo dal presupposto banale ma veritiero che nessuno obbliga questi signori ad imbracciare il fucile per andare a servire lo Stato che a sua volta difende gli interessi egemoni e conquistatori del potere Statunitense.
I nostri governanti predicano che i nostri soldati sono in missione di pace, ma sappiamo che non è assolutamente cosi. Le nostre forze militari vantano numerosi scontri a fuoco in vari punti del territorio con tanto di nemici uccisi (ovviamente vengono emessi soltanto i caduti militari, e passano sempre più in secondo piano quelle civili).
Quindi, pochi discorsi! Nessuno vestito in mimetica viene mandato laggiù per portare pane e viveri agli affamati o fare il bagnetto ai bambini.
Personalmente non ritengo giusto dover andare alla conquista armata dei popoli del mondo ma credo in una conquista del loro rispetto, fatta di interscambio culturale e confronto diretto.

Credo nel viaggio e non nella guerra.

Lavoro in un buco di merda per quattro spiccioli di merda rischiando la vita -non quanto loro, s’intende- quotidianamente e quando capita cerco di andare a conquistare un po di conoscenza degli angoli del mondo e scoprirne i lati più nascosti.
Il risultato è che non ho un cazzo ma sono qui a scriverlo! Il rispetto degli altri mi da la vita …di merda , ma pur sempre vita. Quel luogo del mondo non voleva certo conoscere la morte, quella morte. Cosa cercavamo? Volevamo sottomettere, conquistare, credere, ubbidire e combattere. Tutto questo, generalmente, allontana dalla vita.
E, permettetemi, tra noi viaggiatori, alla scoperta del mondo e loro, irrispettosi e violenti conquistatori di terre , io preferisco senz’altro Noi.
Dispiace per le vite umane spezzate, vittime del lavaggio del cervello subito non si sa da chi, che li ha indotti a servire il potere fino a gettare le proprie vite in una nube di fumo che liberava i loro brandelli.

Questo è stato per loro servire la Patria. La cosa triste è che non c è nessun onore in tutto questo MA SOLTANTO una tragica conseguenza della guerra, una guerra che nessuno di noi ha voluto.
Ora i nostri Governanti possono iniziare la loro serie di scene patetiche parlando di onore e gloria con le lacrime agli occhi su tutti le reti televisive, parlando di quanto onore ci sia nella perdita di queste vite umane e bla bla bla bla….
Domani saranno già nel dimenticatoio.

Deponete le armi al piu presto possibile, imbracciate gli zaini e volate lontano a scoprire com’è bello il mondo. Non perdete tempo a servire gli introiti del potere che vi restituirà un pugno di mosche, se resterete vivi. Rispettate i territori altrui, entratene a far parte ma non pretendete di conquistarli. E se guerra dev’essere, che sia guerra al potere che distrugge o fa suo tutto quello che dobbiamo ancora scoprire!
Non servite la patria ma servite l’uomo, il vostro simile di qualunque paese e qualsiasi lingua parli. Sostenete il genere umano e lo spirito dell’uomo contro la ferocia violentatrice ed assassina dei cannoni degli interessi dei governi.

Per i nostri soldati caduti in Afghanstan provo soltanto grande rammarico

A margine, sarebbe possibile, tra le altre cose, istituire i funerali di stato per le morti sul lavoro? Domanda…