Iniziavano gli anni ’70 e a casa mia si mangiava bene , pane, affetto ed educazione non mancavano mai. Le scarpe si riparavano , le giacche si rivoltavano e se c’era qualcosa in più si riusciva anche a pensare a chi aveva di meno.
Non c’era bisogno della raccolta differenziata per fare meno rifiuti, l’acqua del rubinetto di cucina era buona e fresca, con la bottiglia vuota si andava dal vinaio all’angolo della strada, per farsela riempire, per noi ragazzi se ne riempiva un’altra, con la spuma, ma solo la domenica! Il latte si versava dalle bottiglie sfaccettate con il tappo di alluminio, si portavano in latteria vuote e si ritiravano le piene.
Al mercato coperto si arrivava con la borsa della spesa e il carrello con le ruote, le buste di plastica non esistevano.
La carne si mangiava due volte alla settimana, pollo, spezzatino o fettine impanate, con gli avanzi si facevano polpette per il giorno dopo, però a tavola tutti i giorni veniva servito un sorriso per tutti, compresi gli ospiti, che non mancavano mai.
Bambini e ragazzi a letto dopo Carosello, a scuola bisognava essere lucidi, almeno otto ore di sonno.
I libri di scuola si foderavano per bene per non rovinarli, dovevano servire l’ anno dopo per i più piccoli , oppure si rivendevano.
Dei quaderni si usava anche l’ultimo foglio, la matita si temperava finchè si poteva tenere in mano.
La casa era antica, grande e bella, ma senza il riscaldamento, dopo un paio d’ore di studio fermi, si ghiacciavano il naso e i piedi.
I lunghi pomeriggi invernali si passavano in casa o in parrocchia dove si faceva anche molto sport gratuito.
Per noi bambine c’erano anche le suore francesi in fondo alla strada, che in cambio di una piccola offerta ci facevano scuola di francese.
Alla domenica con i boy scout, facevamo gite nei parchi.
Nelle tiepide domeniche autunnali si facevano le gite in campagna, con le borse per il pranzo al sacco e la palla per giocare sui prati, la nonna raccoglieva borse piene di cicoria ed altre erbe di prato, che si mangiavano poi per tutta la settimana.
Le domeniche d’estate si passavano al mare, si prendeva la cabina e si portava il contenitore con la pasta fredda, l’acqua di giugno era fredda e pulita e si diventava rossi come gamberi.
La strada era come un borgo, ci si conosceva tutti e i bambini venivano mandati da soli a comperare il pane, nella panetteria sotto il portone del palazzo, avevano la precedenza e venivano subito rimandati a casa.
Quando si usciva a passeggio ci si salutava e ci si riconosceva, la sarta del primo piano, l’ingegnere del terzo, l’infermiera del quarto, il dottore dell’attico. Noi ragazzi eravamo tutti amici e si giocava insieme nel cortile del palazzo.
Se qualcuno dei vicini stava male ci si organizzava per portare un po’ di conforto, la nonna preparava un brodo di pollo…
Qualcuno forse leggendo queste poche righe penserà che la vita nei paesi era bella; ma io non sto parlando di un paese ma di una bella strada nel centro di Roma in un quartiere storico ed elegante.
L’ amore, se esiste, non ha un indirizzo preciso, è un’energia che non può finire e può solo trasformarsi.
Sono passati 35 anni e questa bella città è diventata come tutte le città, luoghi tristi e caotici, enormi dormitori dove la gente non si conosce, vive per consumare e consuma per vivere: nasci-consuma-muori, l’individuo non esiste più .
Gli esseri umani sembrano ridotti a polli in batteria, spesso contenti di esserlo.
Mi uccide il torpore delle persone con cui hai condiviso tante cose, forse amore in senso lato, sostituito oggi da sola indifferenza, nessuna pietà.
L’umanità non vuole più godere, ciascuno si predispone in un modo o in un’altro al suicidio, permettendo così agli abortisti della vita di ucciderla, per non amare più, per non riconoscerci più.
Ogni persona sembra vivere chiusa in una bolla, tante bolle che camminano che si urtano ma non comunicano; ognuno parla all’ interno della sua bolla.
Al posto dei prati per fare gite, intorno alle città sono nati i mega centri commerciali, nuovi luoghi d’ appuntamento e di intrattenimento dove il piacere dell’aria e del sole è sostituito dal piacere di spendere e consumare.
Il cliente e il venditore: la vita è ridotta a questo, come se l’uno e l’altro non avessero gli stessi obiettivi da perseguire, la stessa battaglia ideale da combattere, gli stessi figli da crescere ed educare, le stesse emozioni da condividere.
Sto pensando tutto questo mentre guardo la distesa di acqua blu dalla feritoia di un capanno, il paesaggio è magnifico, la macchia tutta attorno, il luccichio delle piccole onde sotto i raggi del tiepido sole sembrano piccoli gioielli offerti ad una gazza ladra curiosa e impertinente, ed in mezzo un silenzio, talmente silenzioso da sembrare irreale. Immagino che forse il paradiso è questo, è un capanno di caccia dove incredibilmente si respira l’amore per la natura, per gli animali, per la terra che ci ospita.
E allora mi chiedo: da che cosa ricominciare a costruire una dimensione più umana per un’umanità in declino? Forse bisogna semplicemente ricominciare a vivere le emozioni che danno i nostri cinque sensi.
Veniamo al mondo nudi ma con il nostro patrimonio sensoriale.
Arriviamo in un mondo che si dovrebbe solo guardare, ascoltare, gustare, annusare; in una sola parola: rispettare. Le parole serviranno solo più tardi quando le impareremo e a quel punto serviranno per comunicare: sentimenti, emozioni, incanti , serviranno a trasformare in parole quello che altrimenti rimarrebbe chiuso in fondo al cuore.
La nostra vita è come un lampo nella notte, poco più di un secondo nell’ immenso orologio dell’ eternità.
Passiamo veloci, viaggiando da un punto ad un altro. E come accade di frequente durante un bel viaggio, spesso ci lasciamo distrarre da ciò che c’è nel raggio di un metro, dimenticando così di alzare gli occhi e guardare oltre il finestrino , verso una linea di orizzonte lontana, riuscendo a trarre così, semplicemente da uno sguardo, l’incanto e la sorpresa di un’emozione.
Tag: anni ’70
Camminando Scalzi cambia nome…
Dobbiamo purtroppo dare a tutti una brutta notizia. Per i motivi che ora andremo a spiegarvi, Camminando Scalzi è costretta a cambiare nome. Sebbene questo sia sempre stato il nostro tratto distintivo, e siamo veramente molto legati a queste due parole (qui i motivi della nostra scelta), siamo stati costretti da cause esterne a cambiare titolo del nostro sito.
Un blog di Hippies, gente rimasta con la testa negli anni ’60, ci ha purtroppo citato in giudizio per la scelta del nome della nostra web-zine. A quanto pare era registrato e utilizzato prima da loro. Noi purtroppo, come ben sapete, non abbiamo alle nostre spalle un editore o chissà quali fonti economiche, e quindi la nostra decisione è quella di acconsentire alla richiesta ricevuta tramite diffida, e cambiare il nostro nome.
Per questo vi chiediamo di aiutarci a scegliere il nostro nuovo nome. Come forma di protesta potrete notare sicuramente la nuova testata della pagina.
Unitevi alla nostra lotta! Protestiamo in blocco, magari non riusciremo a cambiare lo stato delle cose, ma sicuramente daremo un po’ di fastidio a questi capelloni che proprio non ne vogliono sapere di mollare.
Per il resto, vi inviamo al Blog degli Hippie in questione per fare le vostre rimostranze. Unitevi a noi.