[stextbox id=”custom” big=”true”]Un nuovo autore su Camminando Scalzi.
L’articolo di oggi è scritto da Fausto De Gregorio, informatico, giornalista freelance e studioso dei nuovi linguaggi open source e di webmarketing. Fabio è alla sua prima collaborazione con Camminando Scalzi. Buona lettura![/stextbox]
Oggi stiamo vivendo una drammatica sfida su quattro fronti: la crisi finanziaria e quella dell’economia reale si innestano in una crisi strutturale più ampia che riguarda la sostenibilità ambientale. Su un piano ancora più profondo, stiamo vivendo una crisi di speranza nel futuro. In poche parole, si tratta di quella mancanza di fiducia tipica di una società che invecchia e nella quale i giovani non trovano ruoli e prospettive.

L’impressione è che la vita di noi tutti stia cambiando, e non in meglio. Il sociologo Marco Revelli scrive – nel saggio Poveri, noi – che negli ultimi anni, in Italia, “siamo declinati credendo di crescere. Siamo discesi illudendoci di salire. Viviamo con la testa nel mondo fantasmagorico del consumo opulento; abbiamo aspettative da consumatori ricchi ma poggiamo i piedi, e tutto il corpo, sulla linea di galleggiamento. Abbiamo toccato per pochi, fuggevoli anni, o lustri, un benessere veloce, da “centro commerciale”, ma sappiamo che basta un nulla per riportarci sotto”. È un realismo che inquieta e fa paura, ma la stessa considerazione è stata fatta, a livello internazionale, da uno studioso dei fenomeni sociali come Zygmunt Bauman nel suo recente libro-intervista Vite che non possiamo permetterci, un titolo che dice tutto. In buona sostanza Bauman sostiene che l’epoca nella quale era possibile “godersela adesso e pagare dopo” è alle nostre spalle. Se il mondo industriale era prosperato sullo sfruttamento della manodopera, quello post-industriale, cioè il nostro, è prosperato sullo sfruttamento dei consumatori, opinione peraltro condivisa dall’economista Raj Patel ne I padroni del cibo. Per rispondere alle seduzioni del mercato, ma anche per far girare l’economia, un po’ tutti hanno avuto bisogno di farsi prestare denaro. Alla fine, però, il conto è stato salato.
È un conto salato i cui effetti avvertiamo ogni giorno di più nel nostro quotidiano. L’aggravarsi dell’attuale crisi finanziaria è senza dubbio il segnale di una crisi più profonda, che tocca ogni aspetto etico dell’uomo. In gioco c’è tutto un modo di intendere la vita e i suoi significati. E forse questa crisi rappresenta, come molti esperti ritengono, un avvertimento a cambiare direzione, a dare nuovi significati a ciò che facciamo e alle relazioni che stabiliamo.
C’è chi ritiene che ogni aspetto delle nostre vite non possa fare a meno del denaro e tutto ruoti attorno al profitto e a interessi di ordine commerciale, da cui è impossibile prescindere. Può piacere oppure no, ma – come fosse piovuto dal cielo – questo è il sistema di vita che abbiamo e così ce lo teniamo. Ma c’è anche chi, pur non sottovalutando l’influenza che il mercato sta avendo, pensa che la vita dell’uomo debba aprirsi a una prospettiva più ampia, che l’uomo stia vivendo al di sotto delle sue potenzialità proprio perché non riesce o evita di svincolare ogni suo pensiero e azione dai rigidi schemi di un sistema economico che ha impoverito la vita sotto tutti gli aspetti. Pensiamo solo per un momento al regresso che nell’arco di qualche decennio hanno avuto il mondo del lavoro, il sistema sanitario, quello dell’istruzione o quello pensionistico.
I sostenitori di questa seconda prospettiva credono che l’uomo, nonostante tutte le difficoltà che incontrerà, riuscirà a superare questa crisi se inizierà finalmente a guardare il mondo con occhi diversi, riconoscendo il potere della cooperazione, dell’unire le forze per il bene comune. Pensano che, oltre a parlare di soldi, si debba cominciare a parlare di stili di vita, non per sottrarre ma per aggiungere qualità e sostenibilità alla vita di tutti.
Vecchie strutture economiche, politiche e di pensiero stanno morendo per lasciare il posto a nuovi modelli di vita e di pensiero. Abbiamo a che fare con una problematica fase di transizione che rappresenta al tempo stesso una grande opportunità per ripensare e ricostruire l’intera società su basi più giuste, abbandonando la competizione in ogni settore delle attività umane e tutte quelle forme di separatismo che avvelenano il cuore.
Perché accettare un sistema in cui si compete con il prossimo quando si può lavorare con lui e per lui, in un continuo scambio reciproco, per permettere a entrambi condizioni di vita più sicure e dignitose?
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