Questa non è una barzelletta

Non si sa se ridere o piangere. La candidatura di Silvio Berlusconi alle prossime elezioni politiche come leader del PdL è una notizia che non dovrebbe fare felici neppure i suoi più strenui sostenitori. Sia che lo si veda come un grande statista che come un cancro dell’Italia, la sua figura occupa la vita politica e sociale del paese da vent’anni. In qualunque democrazia che aspiri a definirsi degna di questo titolo, un tale prolungato predominio non è mai sintomo di buona salute. Non è “solo” il ricambio generazionale che manca, ma anche il naturale evolversi di idee e metodi. Il fossilizzarsi di una figura di potere per tanto tempo comporta un parallelo incancrenirsi del progresso di una nazione. Se poi la figura in questione, volendo essere clementi, non ha brillato per efficacia, lungimiranza e capacità politica se non quando occupato a risolvere questioni attinenti alla sua smisurata sfera di interessi privati (cioè la quasi totalità del tempo), la prospettiva di vedere prolungarsi la durata del suo governo assume i caratteri di un incubo.

Soffermandosi sulle dichiarazioni rilasciate a corollario dell’annuncio, per una volta non si può che essere d’accordo con Berlusconi. Il motivo ufficiale della decisione è “salvare il PdL”, che altrimenti “sprofonda”. Ora, se questa non è un ammissione di ciò che i suoi oppositori sostengono da tempo, poco ci manca. Semplicemente, il PdL non è un partito ma un insieme di gente a cui il leader è allo stesso tempo creditore e debitore. La successiva frase è un boomerang affilato: “Se alle prossime dovessimo scendere per assurdo all’8%, che senso avrebbero avuto diciotto anni di impegno politico?”. Già. Se l’assenza di Berlusconi comporta un tale sgretolamento del consenso, in cosa consiste quanto fatto dal 1994 a ieri se non, come detto, curare i propri interessi e la propria incolumità giudiziaria? Al contempo, queste poche parole costituiscono una pietra tombale sulla stessa dignità politica dei numerosi soggetti che come cortigiani hanno popolato la corte del sultano e, malauguratamente, anche le istituzioni, primo fra tutti il delfino Alfano, a dire il vero mai credibile (e creduto) nel ruolo. Infatti, uno dei paladini di Berlusconi anche in tempi recenti, Giorgio Stracquadanio ha annunciato il suo abbandono del PdL perché “il partito non esiste” e “Berlusconi è al tramonto”.

Un sondaggio Ipr per Repubblica.it ha mostrato come la candidatura di Berlusconi, a dire il vero, non offra vantaggi rispetto a quella, ormai decaduta, di Alfano. Che significa? Che anche gli stessi elettori ancora legati al centrodestra da lui “creato” non sono più sensibili come un tempo al fascino del loro idolo, a dire il vero profondamente minato dagli scandali sessuali e dalle oggettivamente terribili condizioni in cui i suoi numerosi mandati hanno lasciato l’Italia.

Soprassedendo alla mancanza di pudore (tradotto, con che faccia si candida?), possiamo permetterci altri anni di conflitto di interessi, barzellette, Tremonti, “sono stato frainteso”, legittimo impedimento, “rivoluzione liberale”, presidenti operai, olgettine, “un milione di posti di lavoro”, controllo dell’informazione, pericoli rossi, delegittimazione della magistratura, etc?

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Il panorama politico italiano: una cartolina poco allegra

La politica italiana sta vivendo un periodo inconsueto e parecchio intenso. Il governo Monti non sta semplicemente supplendo alla temporanea mancanza di un accordo di governo tra la forze politiche, ma dà l’impressione di colmare l’assenza di capacità rappresentativa e gestionale della sovranità popolare. In questo senso, Berlusconi assume il ruolo della chiave di volta che per quasi vent’anni ha sostenuto l’arco politico italiano. Caduta la sua ingombrante (e per molti imbarazzante) figura, sia l’ex maggioranza che l’ex opposizione sembrano aver smarrito i propri riferimenti. Se da un lato ciò è comprensibile per il PdL, non essendo altro che il luogo di aggregazione di un esercito di persone che a vario titolo hanno banchettato per anni con le briciole che cadevano dalla mensa del padrone, molto più enigmatica appare la posizione del PD. Quello che era nato come il futuro del centrosinistra italiano, sostenuto da un’importante bacino potenziale di elettori, è attraversato da pericolose frizioni fra le varie anime. Dispiace dover riconoscere la veridicità di affermazioni molte volte ripetute come un mantra da esponenti politici del calibro di Gasparri o La Russa, ma se le cose proseguiranno nella direzione attuale è indubbio che l’antiberlusconismo sia stato il principale, se non unico, collante di una corazzata al suo interno forse troppo eterogenea.

La seconda Repubblica è stata caratterizzata dal berlusconismo in tutte le sue forme, non ultima l’esasperata personalizzazione del confronto politico a scapito delle idee. Per anni si è prestata molta più attenzione alla scelta del leader che alla costruzione di un progetto politico. L’entrata in scena di Monti ha sparigliato il gioco. L’uomo forte è arrivato da fuori, oscurando i pretendenti al trono delle varie parti. Sia Alfano che Bersani faticano a imporre la propria figura sulla scena. Probabilmente ciò non fa altro che accelerare l’evoluzione della politica italiana verso un inevitabile, auspicabile futuro, in cui le idee e i programmi torneranno al centro del confronto. Ma la strada è ancora lunga, a giudicare dallo spettacolo offerto da coloro che tra un anno dovrebbero prendere le redini del paese.
Scorriamo la scena da un capo all’altro. Cominciamo dalla sinistra extraparlamentare. Sia i comunisti che SEL sono da qualche mese in quieta attesa. Dal punto di vista elettorale non è forse una scelta sbagliata. Visto l’esecrando caos che regna sul terreno di gioco, defilarsi momentaneamente rischia di bastare per impressionare positivamente nel confronto con gli avversari.
Il PD è in preda al terzo principio della dinamica: a ogni affermazione di un papavero del partito corrisponde una dichiarazione uguale e contraria da parte di un altro, tale che il messaggio politico trasmesso sia nullo. È la realizzazione perfetta della famosa massima “poche idee ma confuse”. Dilaniato dal prolungarsi del conflitto fra i sostenitori dell’alleanza con IdV e SEL e i sempiterni inciucioni che spingono verso il matrimonio con il Terzo Polo, il PD precipita nell’immobilismo. Per di più, il pur necessario sostegno incondizionato al governo Monti non è esattamente un ottimo spot elettorale (vedasi la sofferenza di essere “costretti” a votare sì alla riforma del lavoro pur volendo venire incontro alla CGIL). Le due anime del partito dovranno trovare una sintesi prima delle elezioni politiche, a meno di salutarsi definitivamente. Tuttavia, non si capisce l’appeal di un ipotetico partito di centrosinistra appiattito su posizioni centriste. Né si può continuare a definirsi progressisti senza esprimere una posizione coerente su temi cruciali quali la laicità dello Stato, le questioni etiche (prima fra tutte, quella delle coppie omosessuali) e il futuro dell’economia di mercato.

L’IdV non può nascondersi come fa SEL, sedendo in Parlamento, per cui non sostiene a prescindere il governo Monti ma non fa neanche un’opposizione a priori come la Lega. In realtà attende di conoscere le intenzioni del PD sulle alleanze prima di impostare la sua futura campagna elettorale. Il tempo, tuttavia, stringe.

Il Terzo Polo col governo Monti va a nozze. Talmente a nozze che gli interrogativi sulle prossime mosse della coalizione non sono tanto sui programmi quanto su come Fini, Casini e Rutelli gestiranno la facile transizione tra Monti e il loro candidato premier. È scontato che la loro campagna elettorale verterà sull’intenzione di sfruttare la scia del governo uscente. Indubbiamente, i centristi sono quelli che meno faticano a premere il tasto verde nelle votazioni.

Non è esattamente il caso del PdL. La situazione del pilastro centrale della vecchia maggioranza berlusconiana è speculare a quella del PD, con la differenza che qui la confusione è causata da un’assoluta mancanza di progettualità politica, eccezion fatta per li tentativo di mantenere le posizioni di comodo conquistate. Non è un caso se le uniche dichiarazioni di rilievo sono quelle di veto nei confronti del governo su materie come giustizia, RAI, etc… Per di più, Berlusconi risulta ancora una figura ingombrante nel partito, pur rimanendo in posizione defilata. La sua ombra lunga oscura in parte Alfano, che peraltro non riesce a scrollarsi di dosso l’etichetta di delfino designato dall’alto e a imporre la propria individualità. Come per il Partito Democratico, assumere una connotazione puramente centrista non avrebbe senso, ma affinché il PdL diventi una matura forza di centrodestra occorrerebbe rinnegare i punti chiave dell’operato del fondatore, a cominciare con la delegittimazione e la destrutturazione del sistema giudiziario. Una passo, questo, impossibile da compiere, per mancanza sia di volontà che di capacità, per la maggioranza del partito. Una così radicale svolta politica in tempi così ristretti determinerebbe la fine del PdL. La fortuna del partito degli ex (?) peones di Berlusconi risiede nella storica immaturità politica del suo elettorato, tuttavia l’onda di sfiducia popolare nella politica rischia di disaffezionare anche i più irriducibili paladini di Silvio, soprattutto se quest’ultimo, come sembra probabile e come si spera, resterà fuori dalla contesa.

Arriviamo alla Lega. Liberatasi dall’ormai soffocante alleanza con il PdL, la Lega è tornata a tempo pieno al ruolo di partito di opposizione senza quartiere. Tuttavia, Bossi sembra aver perso il suo ascendente sulla base e i suoi sproloqui, seppur con estremo ritardo, cominciano a stancare gli osservatori. Difficilmente la Lega cambierà registro rispetto alle abituali proposte indecenti e gli estremisti xenofobi, nella speranza, come al solito, di raccogliere consenso accarezzando gli istinti peggiori. Di certo il simulacro dell’onestà e della purezza, anche per chi ci credeva, sta per cadere definitivamente, travolto dagli scandali in Lombardia, il cuore pulsante della Lega.
Ufficialmente fuori dagli schemi, ma con tutte le intenzioni di entrarvi, il M5S di Grillo non attraversa il suo momento migliore. Anzi, le dimostrazioni di insofferenza di alcuni membri verso le linee guida decise dal suo fondatore mettono a nudo la sua principale debolezza, la poca libertà di autonomia da Grillo, il quale è, peraltro, l’unica figura attualmente in grado di garantire un minimo di visibilità al movimento. L’exploit alle ultime regionali, tuttavia, è ancora presente nella memoria di tutti e non è detto che i grillini non possano ripetersi, magari pescando nel mare di indecisi e/o schifati dalle forze politiche più convenzionali.
Eppure due fattori rischiano di incidere sul famigerato teatrino della politica più di qualunque intenzione di voto: la prossima tornata di elezioni amministrative e il malcontento nei confronti di una classe dirigente che per troppo tempo ha trascurato il bene del paese (quando non ha intenzionalmente giocato contro) e il suo proprio tornaconto, sopravvalutando la capacità di sopportazione della gente. I continui scandali che esplodono a cadenza quasi settimanale e che richiamano alla mente la triste epoca di Tangentopoli (sempre che non ci si trovi di fronte a qualcosa di peggiore) non aiutano, eufemisticamente, il riavvicinamento dell’opinione pubblica alla classe politica. Al momento è difficile prevedere quale sarà lo scenario da qui a un anno, specialmente se quei due fattori dovessero combinarsi, come appare assai probabile. Se, infatti, alle amministrative trionfasse il partito dell’astensione e gli altri dovessero accontentarsi di briciole distribuite in maniera diversa da quella a cui siamo abituati, la campagna elettorale per le politiche sarebbe inevitabilmente stravolta. A meno che quelli che si candidano a rappresentarci non abbiano optato per l’harakiri o, peggio, non si accorgano della slavina che potrebbe travolgere loro e l’intero paese e decidano di continuare nella direzione attuale.

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Il ragioniere

Secondo me, qualcuno, là fuori, non ha le idee chiare.

Quando ormai due mesi fa Berlusconi fu destituito dallo spread, orde di persone giù in piazza a festeggiare, bottiglie di spumante alla mano, la caduta del peggior premier italiano dal ’46 ad oggi; ciò che si festeggiava, in realtà, era sì la destituzione di un governo opinabile sotto molteplici aspetti economico-politici (suvvia, ce ne saranno stati di peggio) ma sopratutto la destituzione dalle nostre coscienze di un governo moralmente ed eticamente discutibile, dove le mazzette, i favori, le connivenze, erano pane quotidiano. Via. Sciò. Aria.
E così arrivano i colletti bianchi. Tutti belli a modo loro, con i completi scuri, i capelli raccolti, i tailleur al ginocchio. Basta veline, abbiamo bisogno di credibilità, di gente seria, vendibile. Tutti con 2 o 3 cognomi, mica una Carfagna qualsiasi.
E scatta qualcosa, nel subconscio di tanti, troppi: se Berlusconi e tutto il circo che si portava dietro è la destra, Monti e tutto il senato accademico che si porta dietro è la sinistra!
Primo errore!
E se Monti è la sinistra, farà cose di sinistra!
Secondo errore!
Monti è un ragioniere. Un ragioniere dal curriculum molto lungo, ma sempre ragioniere è; il ragioniere fa tornare i conti. Punto. Non fa cose di sinistra, perché non è un politico.
Prima di tutto perché anche lo fosse (un politico), probabilmente non sarebbe di sinistra (liberal-cattolico… al massimo Margherita, dai). Ma sopratutto perché a Monti gli mancano due cose, ovvero un mandato elettorale e di conseguenza un parlamento che gli dia retta. Monti invece si ritrova un parlamento in ebollizione, dove tutti si guardano in cagnesco e dove tutti guardano in cagnesco lui, pronti a sbranarlo alla prima parola fuori posto. Ed ecco le pagliacciate leghiste con tanto di cartelli in parlamento, le squallide ed assurde parole della Mussolini, Di Pietro che ormai mette la sfiducia pure alla moglie quando serve la cena, Bersani che dice “sono d’accordo, però” “condividiamo, però” “ascoltiamo con piacere, però” ecc.
No.
Monti fa il ragioniere. Quindi:
1) non può abbassare lo stipendio dei parlamentari. Come è stato chiarito nei giorni precedenti, la decisione spetta al Parlamento, non al Governo. E questo punto lo possiamo tranquillamente rimandare alle prossime elezioni.
2) Monti deve far tornare i conti. Prima cosa è pagare gli stipendi e le pensioni e con cosa si pagano? Con i soldi. E dove si trovano si soldi? Nelle tasche dei cittadini. E quindi più tasse, più accise, più pressione fiscale. Era lampante. La Lega fa un gioco mediatico al massacro urlando meno tasse, ma per me non c’era altro modo.
3) Ora, al di là del populismo nascosto dietro “facciamo pagare l’ICI alla chiesa”, e dico populismo perché non l’ha mai pagato, non è che se l’è inventato Monti o Berlusconi che la chiesa l’ICI non la paga, l’idea è da perseguire con tutte le forze. Ma…
4) Ma Monti non ha un parlamento che lo supporta a scatola chiusa, come ce l’ha normalmente chi vince delle elezioni politiche. Quindi deve riuscire a mediare e a trovare un accordo con quelle parti politiche cattoliche o filocattoliche che non saranno d’accordo.
In ultima istanza, solo due cose:
1) Che la sinistra, piuttosto che guardare a ciò che fanno gli altri, si chiarisca le idee su chi sarà il premier alle prossime elezioni. Che è vero che per adesso è Bersani, ma mi pare che dietro a lui ci siano quasi un centinaio di senatori o giovani rampanti pronti a fargli le scarpe e non credo sia una mossa vincente presentarsi con questa confusione alle elezioni.
2) Che ci si renda conto che se un Governo cade per colpa dell’economia, se si fanno riforme per colpa dell’economia, se si decidono gli assetti politici per colpa dell’economia, si è rotto qualcosa, perché pare evidente che qui, ora, adesso, la sovranità era del popolo e qualcuno ci ha speculato sopra.

Il silenzio dei conniventi e l’ambiguità del signor Bersani

C’è un piccolo feudo in Italia che nessun cittadino ha mai raggiunto, un regno lontano localizzato probabilmente nel Lazio ma che nessun abitante della penisola è ancora riuscito a vedere.  I cortigiani non amano essere disturbati mentre si concedono qualche pisolino oppure criticano i prezzi della mensa, troppo alti in questo periodo. Soprattutto non vogliono essere disturbati dal volgo villano, sempre ad avanzare pretese spudorate, come l’ici sui beni della chiesa, la vendita dei cacciabombardieri, una più elevata tassazione dei capitali scudati, la sovranità monetaria. Che follia, se si liberassero dei loro aerei e dei missili, come farebbero i cortigiani ad esportare la democrazia? Se tassassero la chiesa cosa accadrebbe al consenso? La lotta agli evasori, dite? Non scherzate, suvvia.

I signori della corte hanno imparato che per ammansire il popolo imbizzarrito è sufficiente osservare alcune semplici regole. Basta dividersi in squadre, convincere i cittadini che c’è un cortigiano di destra e uno di sinistra, uno egualitarista e l’altro liberale, stuzzicare il loro senso di appartenenza a un gruppo, il loro bisogno di protezione, associare all’immagine dello stato quella di un genitore benigno proteso alla cura dei propri figli, alimentare il loro patriottismo con una retorica sobria ricca di metafore inquietanti, catapultando i plebei da uno stato d’animo all’altro, rassicurandoli nel momento in cui sono convinti di essere prossimi alla catastrofe. A quel punto il popolo sarà ben fiero di credere che ci sono due schieramenti che si affannano per tutelarlo e sceglierà di pagare la crisi, lo considererà quasi un piccolo intervento a tutela dei bravi signori che gli garantiscono piccoli servizi come una sanità scadente, una giustizia scevra di mezzi  e un’istruzione pubblica mediocre, ottima, tra l’altro, per formare gli schiavi del domani.

I signori dispongono anche di vari ambasciatori, i quali offrono spesso al feudatario e ai suoi funzionari un’occasione per esporsi al pubblico. Ovviamente costoro non devono porre domande scomode ma risultare accomodanti, aiutando il signore della corte a promuovere la propria immagine presso i ceti bassi.

Avete capito di quale corte stiamo parlando?
La corte della politica, proprio così.

Un universo isolato, sempre precluso in qualche modo ai comuni cittadini, all’esterno del quale, tuttavia, trapelavano fino a pochi mesi fa alcune informazioni dovute a due fondamentali ragioni. L’intervento dei giornalisti e il presunto dissidio epocale tra destra e sinistra. Così, quando c’era da denunciare le intese fraudolente dei politici di sinistra intervenivano quelli di destra e viceversa. A volte si poteva addirittura leggere queste notizie sui giornali (ma non sempre, eh? Non dimentichiamo che secondo un rapporto della Freedom House del 2010 l’Italia rientra tra le nazioni “parzialmente” libere). Cos’è accaduto allora? Perché non dovremmo essere più sicuri della nostra “parziale” libertà? Semplice, la risposta è il governo Monti, il governo di larghe intese, di concordia nazionale, il governo riuscito nella titanica impresa di portare Bersani alla maggioranza.

Proprio pochi giorni fa è stata finalmente presentata la manovra che dovrebbe condurre l’Italia fuori dalla crisi (In realtà sappiamo benissimo che finché non torneremo sovrani della nostra moneta non faremo altro che indebitarci anno dopo anno fino all’implosione dell’euro). Una soluzione ritenuta talmente deludente che per alcuni politici tacere si è rivelato impossibile, soprattutto per non incorrere nella furia degli elettori. Si è infatti presentato subito un piccolo problema:  la manovra non convince, o meglio, convince solo istituti di credito e proprietari di yacht club. Al di là della totale assenza di quei provvedimenti chiesti a gran voce da quel ceto medio ormai ridotto all’osso, vanno infatti segnalate una ridicola tassazione dei capitali scudati dell’1,5% (la riscossione, tra l’altro, secondo il Servizio studi del dipartimento Bilancio alla camera, potrebbe non trovare applicazione qualora il patrimonio del contribuente scudato sia stato investito in altre attività [fonte]) e un provvedimento che riduce il limite per la tracciabilità dei pagamenti a 1000 euro, contrastando l’uso del contante. Un’analisi attenta della misura alimenta, tuttavia, non pochi dubbi, anche perché sembra che vada a nuocere più al dottore che non rilascia la fattura che alle grandi società per azioni con i conti alle Cayman. I maligni potrebbero pensare che la decisione rientri in un quadro generale di eliminazione del contante, atto sia a diffondere l’utilizzo della moneta elettronica (per consentire alle banche di risparmiare persino sulla stampa di quelle banconote), il cui valore intrinseco è pari a quello della carta igienica, ma che vengono addebitate allo stato al loro valore nominale, sia a semplificare un’operazione di commercializzazione di determinati prodotti in seguito a un’analisi delle operazioni di acquisto dei consumatori. Ogni operazione eseguita per via telematica infatti, può sempre essere memorizzata, salvata e utilizzata per formulare, ad esempio, statistiche su tendenze d’acquisto dei cittadini.

In ogni caso non è tanto la manovra che si intende criticare in questo articolo, quanto l’atteggiamento dei politici in merito alle profonde critiche di cui la stessa è stata oggetto. Ancora una volta le ex-opposizioni hanno manifestato un dissenso dai toni pacati, puramente fittizio. Se, infatti, i sindacati stanno già pianificando una risposta decisa a tutela dei pensionati e delle altre categorie sociali, non è ben chiaro il ruolo che intenda assumere il partito democratico, da sempre presentato come medicina al virus “Berlusconi” (come se non fosse solo un sintomo di ben altro problema), e dalla nomina del governo tecnico in evidente stato confusionale. Non si spiegherebbero in altri modi le controverse affermazioni degli ultimi giorni del segretario Pierluigi Bersani.

Ci riferiamo a quelle sul governo, come:
Non bisogna condizionare il governo sulla tutela dei poteri forti, andremo nei guai” (fonte) del 30 Novembre 2011.

E a quelle sulla manovra:

Potrete ben sapere che dal mio punto di vista si poteva fare qualcosina in piu, Però bisogna anche dire che qualche passo significativo si è fatto” (fonte)

“Condividiamo la filosofia della riforma del piano pensionistico. Però l’approccio a questa riforma deve essere meno duro” (fonte)

“Confermiamo che siamo pronti a prenderci le nostre responsabilità, ma abbiamo detto anche con nettezza che cosa faremmo noi e che cosa chiediamo che si faccia ancora” (fonte)

“Confermiamo! Però…”

“Condividiamo! Però…”

Insomma, al PD questa manovra non piace ma la voterà per senso di responsabilità.  E potremmo fermarci qui nonostante questa linea d’azione assuma le connotazioni di una lieve paraculata. Il problema è che qualcuno dei dubbi in merito all’argomento vuole sollevarli. Antonio Di Pietro, leader dell’Italia dei valori, ufficiosamente costretto a far parte di questo governo, ha infatti avanzato, come molti altri cittadini, delle proposte differenti, evidenziando il vuoto di equità rappresentato da questo ennesimo schiaffo agli italiani meno abbienti.

Non si capisce quindi come mai il segretario del PD, a sua volta titubante, abbia deciso di minacciare quello che ufficialmente è ancora un alleato, addirittura accusandolo di voler “vincere sulle macerie del paese”. Che Bersani stia pensando ad altro? Che questo governo-pasticcio abbia risvegliato antiche passioni PD-UDC?
Le statistiche darebbero vincente una coalizione PD-IDV-SEL ma davanti a un così palese tradimento come reagiranno gli elettori del PD? Dobbiamo prepararci al quinto governo Berlusconi? Al secondo governo Monti? Per ora sappiamo solo che l’Italia in questo esatto momento ha tre problemi:

1) la sovranità monetaria, ancora in mano alle banche;

2) una dipendenza dai mercati e dalle borse che dovrebbe ispirare qualche domanda seria sul concetto di democrazia nei paesi dell’Unione Europea;

3) la spaventosa promiscuità politica alla base di questa nuova tecnocrazia sobria, le cui “nuove” alleanze potrebbero costare ai cittadini l’approvazione di qualsiasi legge promossa come anti-crisi.

A costo di esser tacciati di qualunquismo, bisogna dire che mai come in questo periodo i nostri politici-cortigiani sono sembrati vassalli dei banchieri; soprattutto, mai Bersani è stato più “responsabile” di uno Scilipoti.

Mai più Silvio Berlusconi

Ieri era uno degli hashtag -in breve, le parole chiave degli argomenti “caldi” del momento- più seguiti su Twitter è stato #maipiù, insieme a tanti altri che hanno costellato tutta la lunga giornata di sabato. Dopo diciassette anni e spiccioli, Silvio Berlusconi si è dimesso.
Durante tutta l’infinita serata di ieri, in attesa della dichiarazione che ponesse fine a tutto, si sono susseguite manifestazioni di giubilo in tutte le piazze antistanti gli edifici della nostra Repubblica. Bottiglie di spumante, hallelujah, una generale aria di “liberazione”, un lungo sospiro di sollievo tirato dalle tantissime persone che dopo diciassette anni non ne potevano veramente più.

Non ci sono riuscite le opposizioni (che, a dire il vero, hanno spesso fatto i suoi comodi), non ci sono riuscite le megamanifestazioni popolari, non c’è riuscito Fini con la sua “scissione”, non c’è riuscita una maggioranza risicata salvata dal più squallido dei mercati del trasformismo politico. Sono servite il crollo dell’economia mondiale ed europea, la mancanza di fiducia del mondo della finanza nei confronti del nostro Paese, le “imposizioni” della Comunità Europea. E dopo l’ennesima settimana di stallo, Silvio ha finalmente (e giustamente) rassegnato queste benedette dimissioni.

Un’epoca della Repubblica italiana (una brutta epoca, permettetemi) si chiude così; dopo nipoti di Mubarak, bunga bunga, corna agli incontri istituzionali, “culone inchiavabili”, smentite e controsmentite, cacciate dei personaggi scomodi dalle TV nazionali, alla fine tutto questo teatrino si è infranto contro la macchina della crisi e del denaro. Ci rimane un Paese in enorme difficoltà, un cumulo di macerie su cui dover ricostruire il nostro futuro, la nostra reputazione, la nostra credibilità internazionale. Adesso toccherà al tecnico Mario Monti sistemare (o almeno provarci) la situazione, così è stato deciso dalle forze politiche. Un governo auspicabilmente “tecnico” che vada a mettere in atto le misure che possano tirarci fuori da questa situazione di enorme difficoltà. Osserveremo con attenzione il suo operato. Monti è un uomo delle banche, è un finanziere, e la paura che si sia finiti dalla padella alla brace è tanta. Certo, fare peggio di quanto s’è fatto finora è difficile, ma diciassette anni di Silvio Berlusconi ci hanno insegnato che al peggio, da noi, non c’è mai fine. Stiamo attenti!

L’opposizione reagisce gioiosa, Bersani arriva addirittura a dire che è merito suo e del PD se Berlusconi si è dimesso, continuando in quella strada “saltocarrista” intrapresa ai tempi del referendum e delle elezioni amministrative scorse. Qualcuno dovrebbe spiegargli che è anche grazie al centro-sinistra, a quella famosa legge sul conflitto di interessi (di cui nessuno parla più, lasciata a marcire in un passato lontano) che avrebbe potuto evitare tutto questo, se Silvio è rimasto al governo tanto a lungo. Stendiamo un velo pietoso.

Mi hanno colpito anche le reazioni degli irriducibili pessimisti di Sinistra, che non hanno perso tempo a urlare che ora sarà peggio di prima, che Monti è un guaio, che bisognava ricorrere alle elezioni subito (come dice anche la Lega); continuo a chiedermi quanto possano giovare, in un momento simile, due mesi di campagna elettorale con i nostri politici, con la nostra legge elettorale ecc ecc. Non abbiamo bisogno di altra immobilità. Per una volta, pessimisti di Sinistra, provate a rilassarvi e a gioire della fine di un’epoca buia, di un taglio con il passato.

L’altra categoria che in questi giorni invece sembra assolutamente scomparsa sono i militanti del PDL, i Berluscones. Ragazzi, parliamoci chiaro, il signor Silvio Berlusconi non è stato al governo per diciassette anni per magia, ma perché qualcuno (la maggioranza degli italiani) l’ha votato. Oggi i berlusconiani sembrano scomparsi, approfittano della caduta dell’Imperatore Maximo per rifarsi una reputazione, un “chi io? Mai votato Silvio”. Ad esempio mi ha fatto specie assistere a miei amici e amiche, un tempo berlusconiani convinti, festeggiare sui social network e nelle piazze la caduta di questo governo. Gente che sin dalla prima ora ha votato questo baraccone che si è trascinato (e ci ha trascinato nel baratro) in questi diciassette anni, oggi fa finta di niente, fischietta sul cadavere del suo stesso Imperatore. Questo mi spinge a riflettere molto sulla cultura dell’italiano medio (senza generalizzare troppo), ma forse sono stato sfortunato io ad avere tanti ex-berlusconiani convinti intorno. Chi lo sa. Fatto sta che io e tanti altri non vogliamo che si mischino a noi, oggi. Puntualizziamolo.

E adesso? Adesso si vedrà, abbiamo poco tempo come Paese per sistemare le cose, abbiamo poco tempo per rimboccarci le maniche e uscire da questa stramaledetta “crisi”, una parola che sentiamo ogni giorno, e che sinceramente non vorremmo ascoltare più.

Resta da dimenticare il più in fretta possibile (anche se le cicatrici le porteremo per sempre) quest’uomo che inseguendo i suoi interessi ha fatto così poco per l’Italia e così tanto per sé stesso. Mi auguro che riusciremo a parlarne sempre meno (o a non parlarne proprio) in futuro.

Mai più Silvio Berlusconi. In tutti i sensi.

Il centrosinistra e il gol a porta vuota

Una vignetta dell’Independent di qualche giorno fa ben descrive la situazione italiana in questo momento. Le redini del paese sono nelle mani di una persona che se ne disinteressa totalmente. L’ha sempre fatto, a dire il vero, ma in questo momento è palese che il suo unico cruccio è quello di divincolarsi dalla morsa in cui si è stretto da solo.  Ciò nonostante, il nostro Nerone gode ancora della fiducia di molti pretoriani incuranti di gettare al vento quei pochi scampoli di dignità che fossero loro eventualmente rimasti dopo le ignominie di cui si sono resi protagonisti pur di difendere il loro scranno nelle aule che contano. Magari sganasciandosi dalla risate al grido “Forza Gnocca”, in pieno spirito pre-adolescenziale, molto più che istituzionale. Considerata anche la situazione internazionale, l’aria che si respira porta con sé l’odore della pioggia imminente, che promette di rivelarsi un diluvio.

Per questa ragione, siamo costretti ad occuparci dell’opposizione. Infatti, la cosa di cui l’Italia avrebbe più bisogno è un’alternativa credibile e seria alla follia autodistruttiva, in grado di costringere politicamente il buffone al governo (definizione del Sunday Times) a farsi da parte insieme al resto del suo circo di animali, trasformisti e ballerine. È impietoso, oltre che inutile, sottolineare come di una tale entità si senta disperatamente la mancanza. Delle vicissitudini estive del Partito Democratico ci eravamo già occupati. Purtroppo dobbiamo tornarci. Lo strabiliante (oppure no) esito della raccolta firme per il referendum abrogativo del porcellum suona come una sorta di schiaffo nei confronti di un partito che pretende di incarnare l’alternativa a Berlusconi & Co. ma che balbetta quando c’è da sottoscrivere e appoggiare una causa sposata da 1.210.466 cittadini, senza contare tutti i potenziali SÌ che il quesito potrebbe ricevere alle urne. Potrebbe, non potrà, poiché l’ombra della forzatura antidemocratica si staglia sulla prospettiva del voto referendario. C’è da augurarsi che nessuno dei luminari politici del PD proponga un negoziato con la maggioranza in materia di legge elettorale, mettendosi (nuovamente) di traverso sulla strada del referendum e aprendo la via a una seconda degenerazione democratica a pochi mesi dalle elezioni, degna erede della legge Calderoli. In questo senso, Enrico Letta non ha mancato di sparare un colpo, auspicando una modifica della legge elettorale in Parlamento. L’intellighenzia del PD, evidentemente, non ha compreso a fondo il modus operandi dell’attuale maggioranza, nonostante le numerose dimostrazioni offerte. Inutile sottolineare come i dissidi interni, questa volta dovuti alla faccenda referendaria, siano sfociati nell’ennesima richiesta di dimissioni del segretario.

Al di là delle continue diatribe intestine, che pure contribuiscono al mantenimento del caos, è l’inerzia politica il principale ostacolo del partito. Molti osservatori hanno sottolineato l’analogia dell’attuale fase storico-politica con l’epoca di Tangentopoli. Allora la “gioiosa macchina da guerra” del centrosinistra si preparava a far man bassa di voti alle elezioni, salvo subire una bruciante sconfitta ad opera dell'”uomo nuovo” di Arcore. Per quanto oggi la situazione sia diversa, il centrosinistra si trova nuovamente con la palla al piede di fronte a una porta sguarnita. I sondaggi mostrano un discreto vantaggio nei confronti del centrodestra, con il Terzo Polo che, al momento, non sembra in grado di spostare in modo decisivo gli equilibri. Il 45% di indecisi dovrebbe far riflettere, a questo proposito. C’è un enorme bacino di elettori disgustati dalla politica allo stesso tempo nulla e imbarazzante della compagine governativa, ma che non subiscono il fascino di un’alternativa indecisa che stenta a proporre un programma di governo. In fondo, le intenzioni di voto per il PD e il PdL non differiscono drammaticamente. Evidentemente gli elettori di Silvio Berlusconi sono restii ad abbandonare il loro punto di riferimento, incuranti dello scempio perpetrato dal gran visir. D’altra parte, il PD non appare in grado di strappare consensi approfittando del naufragio del transatlantico del centrodestra.

Eppure i numerosi segnali che la parte civile della nazione invia alla politica da un anno a questa parte sono eloquenti. Il modello sperimentale del centrosinistra che ha trionfato alle elezioni amministrative di primavera è stato frettolosamente accantonato per far posto alle innumerevoli e confuse proposte di grande ammucchiata con i centristi, vicari della Chiesa in Parlamento, che peraltro nicchiano. Anche volendo, pericolosamente, dare per scontata una vittoria alle prossime elezioni politiche, gli errori di un passato non troppo lontano, con coalizioni troppo eterogenee, dovrebbero servire da monito. Senza una decisa svolta di metodo e, inevitabilmente, di persone, cosa succederebbe di fronte a temi come i diritti civili o la laicità dello stato? Come si può chiedere ai cittadini la fiducia per governare un paese stanco di Berlusconi accanto a figure che a Berlusconi offrono un appoggio per le sue porcherie, ultima fra tutte la legge bavaglio?

Nella tragicità della situazione italiana, la prospettiva di una maggioranza che non inneggi ai genitali femminili e non usi il dito medio per rilasciare dichiarazioni politiche rappresenterebbe già un significativo passo avanti. Tuttavia, accontentarsi di un panorama del genere significherebbe rassegnarsi a un’involuzione sociale e morale dell’intero paese, non senza conseguenze anche da un punto di vista economico per le tasche dei cittadini. La nostra storia recente determina l’urgenza di un cambiamento di paradigma politico, non solo di sigle al potere. Visto il grado crescente di partecipazione “dal basso” alla vita politica dell’Italia, l’attuale classe politica è tenuta a prendere atto del proprio fallimento e a lasciare spazio a nuovi volti e, soprattutto, nuovi metodi. Il centrosinistra, in particolare, non ha più scuse. Non può sbagliare un altro gol.

PD: Partito Democratico o Premiata Ditta?

La serietà della crisi economica e le sue ripercussioni sulla disastrata situazione italiana stanno ulteriormente aggravando la caduta di consensi per la maggioranza. Con un governo in debito d’ossigeno e aggrappato a equilibrismi politici estemporanei, un’opposizione normale di un qualsiasi paese democratico avrebbe buon gioco a incamerare i favori della popolazione, stanca e delusa dall’incapacità e dalla miopia della classe dirigente. Un’opposizione normale, appunto. Di una tale entità in Italia mancano le tracce. Tralasciando il ruolo dei due partiti-spalla, IdV e SEL, la principale forza politica del centro-sinistra, il Partito Democratico, appare preda di sé stessa e delle sue congenite tendenze masochistiche.
L’apertura di un’indagine a carico dell’ex-ministro Scajola (ci chiediamo se di questo, almeno, sia consapevole) è quasi oscurata dall’altrettanto incresciosa vicenda legata a colui che fino a pochi giorni fa era l’uomo forte del PD lombardo e il braccio destro del segretario del PD Bersani, Filippo Penati. I dettagli che stanno emergendo, e che minacciano di scatenare un precipitoso effetto domino all’interno del partito, disegnano un sistema di malaffare che sembra uscito dalle cronache giudiziarie dei primi anni novanta. Al livello politico, quello che lascia interdetti è l’assoluta mancanza di trasparenza e di chiarezza da parte dell’establishment del partito. Le stesse persone che, giustamente, mostravano indignazione e cavalcavano (non troppo, a dire il vero) le malefatte del premier, adesso balbettano frasi di circostanza di fronte ai microfoni. Una forza politica che intenda anche solo fingere di essere affidabile non può in alcun modo permettersi il lusso di far trascorrere dei giorni prima che il segretario prenda una posizione netta nei confronti del ricorso alla prescrizione da parte di un papavero del gruppo dirigente. Se è vero che la rinuncia alla prescrizione è una scelta personale, il pronunciamento di un partito nei riguardi di un principio alla base di una sana etica pubblica non è un optional. Tanto più in un paese come l’Italia, in cui, purtroppo, il rispetto della legge si configura ogni giorno di più come una virtù anziché come un requisito di base. Il susseguirsi di cinquant’anni di inciuci all’ombra della balena bianca e del ventennio berlusconiano, inframezzati dalla debitamente accantonata parentesi di Tangentopoli, pesano come un macigno sulla credibilità di chiunque si presenti sulla scena politica. Nell’attesa di nuovi sviluppi che illuminino più chiaramente la faccenda, le colpe di Penati non possono ricadere su tutto il partito, ma la responsabilità politica di chi lo ha spinto in alto nella gerarchia di potere interna non può essere accantonata. Anche quando Bersani non fosse a conoscenza di quanto succedeva, la folgorante carriera di questo dirigente evidenzia una totale mancanza di meccanismi che garantiscano la trasparenza e l’onestà di chi, in prospettiva, si candida ad occupare ruoli di potere nelle istituzioni. Con una sana dose di cinismo politico, il partito avrebbe comunque potuto, se non approfittare della situazione, quantomeno rigirare la frittata, mostrandosi compatto su posizioni di assoluto rigore. Prendiamo atto delle rapide dimissioni di Penati dai suoi incarichi istituzionali e della sua decisione di rinunciare alla prescrizione (almeno stando alle dichiarazioni), tardivamente auspicata dalla maggior parte dei pezzi grossi del PD. Tuttavia l’indecisione e il ritardo dimostrati nel rigettare qualunque sospetto di complicità non contribuiscono di certo a rafforzare la fiducia da parte dell’opinione pubblica.

Il caso Penati non è l’unica spina nel fianco. La cronica capacità del PD di non intercettare la volontà e gli umori della sua stessa base elettorale contribuisce ad aggravare lo stato confusionale, come dimostra un altro tema all’ordine del giorno, squisitamente politico: la raccolta firme per il referendum abrogativo del porcellum, la vergognosa legge elettorale in vigore, scritta da Calderoli e da lui stesso chiamata “porcata”. Tutto il centro-sinistra, PD compreso, esprime da tempo l’intenzione di abrogarla e procedere al varo di una nuova legge che garantisca almeno un minimo di democraticità alle prossime elezioni. Non appena, però, un’iniziativa di alcuni “prodiani”(con Arturo Parisi in testa) apre la prospettiva di promuovere un referendum per cancellare l’assurdo meccanismo di nomina dei parlamentari e tornare temporaneamente al mattarellum, nella speranza che il prossimo Parlamento partorisca un provvedimento migliore, ecco che ciò che era logico diventa tutt’altro che scontato. In assenza, come al solito, di una presa di posizione netta del partito (che non può che essere favorevole), vari nomi importanti dell’establishment del PD aggiungono il loro nome alla raccolta firme in maniera del tutto soggettiva, ma non per questo meno “pesante”, seguendo l’esempio del fondatore, Romano Prodi. Di fronte a un fatto compiuto, anziché ratificare, seppur tardivamente, la decisione apparentemente maggioritaria, il segretario sfodera un capolavoro politico racchiuso nella seguente dichiarazione: “Io non firmo. […] Appoggio l’iniziativa, ma non la sottoscrivo perché quella elettorale è una legge che deve passare dal Parlamento”. Dietro la scelta di Bersani non può non esserci una corrente del partito che evidentemente preferisce non sporcarsi le mani facendo opposizione sul campo, convinta di poter agire a livelli più “nobili”, e che considera più proficuo il corteggiamento verso altre forze politiche che la sintonia con il proprio elettorato. Inutile far notare, infatti, come questa decisione sia perfettamente il contrario di ciò che potrebbe avvicinare il PD all’enorme bacino potenziale di elettori che sarebbero pronti a concedere il proprio voto, ma che, al contrario dei dirigenti democratici, hanno le idee chiarissime.

 

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Quale alternativa?

L’impero di Berlusconi sta crollando sulle sue stesse deboli fondamenta fatte di escort e festini, bunga bunga e starlette che fanno politica, e ci si comincia lecitamente a chiedere cosa succederà dopo.

Una domanda che ci si pone spesso di questi tempi riguarda proprio la possibile alternativa a Berlusconi e al berlusconismo. L’Italia ha bisogno di un cambiamento radicale, storico, di una nuova era in cui la politica possa ritornare vicina al cittadino, vicina al popolo, che attualmente annaspa disorientato nella torbida realtà di un Governo che si preoccupa soprattutto di salvare il suo Premier, padre-padrone di un partito che propone e dice soltanto quello che vuole Lui.

Il problema della Sinistra è che non propone un’alternativa. È una frase populista quanto volete, ma è assolutamente identificativa dello status in cui versa l’Opposizione. Il votante di Sinistra si trova totalmente disorientato di fronte alla “debolezza” sulla carta del maggior partito di Opposizione, quel PD che ha come leader Bersani che tanto leader non sembra. E così nelle scorse settimane abbiamo assistito a paventate assurde alleanze pur di mandare via l’Imperatore Maximo, alle proposte di un’ampia coalizione per battere il Premier, fino allo sfogo d’orgoglio di Bersani in risposta alla lettera di Berlusconi sul Corriere. Insomma, un tira e molla infantile: prima si propongono folli alleanze persino con la Lega (e già qui…), poi si fa un passo indietro, poi si cerca il governo tecnico con Tremonti premier (e pure qui…), poi risalta fuori lo scandalo Bunga Bunga e si ricomincia la guerra. Infine il Partito dell’Amore decide di tendere la mano all’Opposizione, in un disperato tentativo di collaborazione, e Bersani in un moto d’orgoglio si rifiuta fermamente chiudendo l’affaire con un lapidario “troppo tardi”.

Troppo tardi? L’elettore di centro-Sinistra non può che trovarsi ulteriormente disorientato dalle parole del suo ipotetico leader. “Troppo tardi” significa che in un altro momento, in un tempo giusto, questa collaborazione si sarebbe potuta fare. Ma che diavolo di discorso di Opposizione è questo? Come è possibile che non si riesca a sentire una presa di posizione decisa? Ancora oggi siamo costretti a subire questa manfrina del tira e molla, con un PD che si crogiola nel suo essere Opposizione, quasi avesse paura di passare al Governo. Paura o convenienza. Perché il sospetto che neanche loro sappiano cosa fare comincia a insinuarsi concreto nelle menti dell’elettorato di centro-sinistra. Il che dimostra un’idea del Partito che rasenta la debolezza, che non dà forza al messaggio lanciato.

Si dice sempre che Berlusconi sia un grande comunicatore, che sappia come affascinare le masse di pecoroni senza opinione, che sappia come portarli dalla sua parte (ancora oggi si sente gente difendere a spada tratta TUTTO il suo operato). Il punto secondo me è un altro: non è che Berlusconi sia bravo a comunicare, è che dall’altro lato non c’è nessuno che lo sappia fare in maniera decente. Anzi, diciamola tutta, il più grosso difetto della Sinistra è proprio questo, arroccarsi su un idealismo antico, fatto di valori assolutamente condivisibili, ma che non tiene conto della situazione attuale dell’elettorato nel nostro Paese. Ciò che dovrebbe imparare l’Opposizione è che in una battaglia elettorale tutto conta per riuscire a racimolare i voti della gente. Bisogna saperla convincere, bisogna riuscire a entrare nella realtà di tutte le classi sociali, capirne i bisogni, presentare un prodotto (mi si perdoni il termine commerciale) invitante, fresco, che vada incontro alle esigenze della maggior parte delle persone, popolicchio compreso. Non funziona più la strategia di puntare soltanto sulla parte intellettuale e informata del Paese, c’è una subrealtà di gente a cui non frega un cavolo della Costituzione, delle inchieste, e di tutto il resto. Un popolicchio che vuole meno tasse, vuol spendere meno, vuole il lavoro, tutto qua. Non ha più senso, nel 2011, fare comizi come se fossimo negli anni ’70. Mi rendo conto che queste affermazioni possa risultare un po’ forti, ma bisogna stare al passo con i tempi, è ora di metterselo bene in testa.

Una giusta ricetta, un buon leader che rappresenti una novità, un programma che sia condivisibile da quante più persone possibili (qualcuno è riuscito a capire il programma del PD?), che vada dritto al punto, che non si arrocchi su posizioni sempre uguali “via Berlusconi, via Berlusconi, via  Berlusconi.”

È un momento storico triste questo, l’Italia sta vivendo ancora una crisi economica da cui si fa fatica a venire fuori, la gente è stanca di fare la fame e vedere che nel palazzo nulla cambia e sono tutti concentrati a parlare di Silvio e del suo Bunga-Bunga. Basta. Berlusconi cadrà, è soltanto una questione di tempo, e una Sinistra che vuole proporre un’alternativa deve cominciare sin da subito a preparare un programma, a proporre un’alternativa che parli di cose concrete, cose che interessano alla gente. Se vogliamo questo cambiamento, è il momento giusto per cominciare a prepararlo.

Non vogliamo più vedere questa mentalità sconfitta in partenza, con una sinistra divisa tra chi urla “via Berlusconi” (IdV ad esempio) e una che lo dice sotto voce (il PD, per l’appunto). Non se ne può più di sentire da D’Alema proposte di alleanza con il Terzo Polo pur di mandare via l’Imperatore Maximo. Non se ne può più.
Quello che mancano sono i valori, i principi, e dire “Uniamoci con chicchessia pur di far cadere Berlusconi”, per quanto intento nobile, non è un valore. Il segreto dei successi di partiti come IDV e Lega è proprio questo: sono in politica per attuare i loro valori, ovvero la legalità per l’Idv, il federalismo per la Lega. Per questo non si sottomettono a soprusi e ricatti da un lato, né a moine, accordi e compromessi dall’altro: perché sono altre le cose che li muovono. Con questo non si vuole dire che siano due partiti perfetti guidati da leader illuminati – lungi da noi -, si vuole solo spiegare il motivo del loro consenso popolare. È il motivo per cui la sinistra non riesce a instaurare un rapporto stabile con Di Pietro: perché non lo capisce.

La Sinistra si riprenda la sua identità, diventi moderna, si rinnovi e si presenti con un programma di alternativa decente, senza allusioni a folli alleanze che nulla portano.

E chissà, un giorno forse riusciranno a farsi perdonare la mancata legge sul conflitto di interessi, la più grossa puttanata fatta in Italia negli ultimi vent’anni.

Avremmo potuto evitare un’epoca oscura. Ora si impegnino a riaccendere la luce della speranza.

Meridiano Zero – La nave Italia affonda.

Ci si è completamente dimenticati del popolo. Noi stessi, cittadini con un’opinione, ormai nicchiamo, facciamo spallucce, perché “tanto è così”, perché il mondo gira in questo modo e che ci vuoi fare, perché loro sono i potenti e noi solo pecore e via così.

Il popolo è sovrano di questa nazione e pare che se ne siano dimenticati tutti, dai politici che non eleggiamo più direttamente (e così ecco le veline e le pompinare in parlamento) al popolo stesso che non rivendica ciò che è suo.

Un Governo, indipendentemente dallo schieramento di appartenenza, ha tutto il diritto di fare il suo lavoro e in linea generale non apprezzo i criticoni del primo giorno. Sono liberale in questo. Ma quando un Governo implode su sé stesso e inizia a perdere i pezzi, e a cedere, a dire “non è più sostenibile” è pure uno come Fini, è lampante che sia l’ora di schiacciare forte sul tasto reset e fare tabula rasa di quel che rimane; invece il Parlamento viene usato trasversalmente come il giardino di casa propria, da destra a sinistra: è assurdo che Napolitano (ex comunista e mai stato simpatizzante di Berlusconi) si appelli al dovere istituzionale del presidente della Camera (un mese fa) per far votare la sfiducia oggi, dando tutto il tempo a Berlusconi per fare i conti necessari a strappare un 314 a 311 con 2 astenuti; è diventata un’oligarchia che si rimbalza il joystick del paese, un po’ a me e un po’ a te e tutti contenti e i franchi tiratori (in questo caso con fucili caricati a salve) a pararsi il culo (http://www.domenicoscilipoti.it/ già online le motivazioni del voto di fiducia, non male per un sito normale) e a pienarsi le tasche a suon di consulenze da 100.000 euro.

E ora? Passerà Natale, ma il Governo non ha i numeri per governare seriamente e, esattamente come 16 anni, è tenuto per le palle da Bossi che avrà carta bianca prima di far staccare la spina al moribondo.

E’ una nave che sta affondando e io, onestamente, vorrei tanto scendere.

La politica è morta.

Tre voti. Tre voti che hanno ancora una volta confermato il signor B, il nostro Imperatore Maximo, a capo del nostro governo. Una maggioranza che stenta a resistere a questo voto di fiducia, ma ci riesce, seppur comprando voti qua e là da personaggi di dubbio spessore politico e umano, che da totali sconosciuti hanno guadagnato il loro quarto d’ora di popolarità (e probabilmente anche qualche altro tornaconto personale) e hanno consegnato ancora una volta il paese in mano ad un governo che finora si è dimostrato fallimentare sotto tantissimi punti di vista.

Un Paese ormai allo sbando, una popolazione che non ce la fa più, stretta nella morsa della crisi, della disoccupazione, del precariato, della riforma dell’Istruzione che distrugge il nostro futuro. I giovani picchiati a Roma dai poliziotti che non si rendono conto che la manifestazione di protesta è stata fatta anche per loro, che quei ragazzi sono i loro figli e figlie, i loro fratelli e sorelle; quegli stessi poliziotti che proprio qualche giorno fa manifestavano ad Arcore per i tagli che questo governicchio di nani e ballerine stipendiati ha perpetrato ai danni delle forze dell’ordine. E si assiste ai paradossi più assurdi: la politica rinchiusa nel palazzo d’ebano a votare per il futuro della gente comune, barricata, protetta, nascosta. Nel frattempo i ragazzi per strada e le forze dell’ordine dall’altra che si fronteggiano, fratelli coltelli. Senza parlare dei presunti infiltrati nelle fasce più estremiste e rissose dei manifestanti (che è bene ricordare essere composti per la stragrande maggioranza da semplicissimi studenti), come si evince da questo articolo del Post Viola, su cui ognuno può trarre le proprie conclusioni a riguardo. Insomma, un presunto infiltrato picchia (fa finta?) un finanziere, che viene salvato dall’ennesimo finanziere, e non si capisce più chi sta con chi, tra abiti civili, divise e infiltrati. E alla fine tornano tutti amici e non si capisce più dove sono i manifestanti… il festival del paradosso insomma (senza contare la simpaticissima pistola brandita che per fortuna non ha esploso nessun colpo). AGGIORNAMENTO 16/12/2010: Come riportato anche da ilfattoquotidiano.it in questo articolo, pare che “l’uomo con la pala” fosse in effetti un manifestante e non un infiltrato. Per completezza e correttezza lo segnaliamo anche noi. Era in effetti un violento che ha sottratto manganello e manette al finanziere pestato.

Scene di guerriglia urbana, una Roma distrutta, il dubbio imperante che tutto sia stato organizzato per far succedere gli scontri, la pazienza portata allo stremo. E la cosa più triste di tutte è che le due frange di questa inutile e maledetta guerriglia urbana dovrebbero stare dalla stessa parte, mentre il bel circo della politica se la gode nel palazzo, un palazzo che non ha più alcun valore per molti, dove il voto si compra con qualche favore o qualche spicciolo, dove la parola “dimissioni” è stata dimenticata nelle pieghe dello spazio-tempo, dove i politici rissosi urlano, litigano, si mostrano le dita medie a vicenda, gongolano per le loro vittorie da quattro soldi, e alla fine della fiera circense sono sempre tutti lì seduti, non cambia niente, non cambia mai niente.

È difficile fare un’analisi politica di questa situazione, è difficile perché ci troviamo di fronte all’ennesima delusione totale di chi dovrebbe governarci, di chi è quantomeno pagato per farlo, visto che di dignità umana è realmente troppo difficile parlare. Dal Pdl oggi si alzano grossi cori per le dimissioni del presidente Fini che -è bene dirlo- è stato sconfitto. Rimane realmente patetico ascoltare dichiarazioni come quella di Capezzone oggi, che riporto per spingere anche voi lettori ad una riflessione sul calibro di certi seguaci del nostro Imperatore Maximo: “Perfino la grande stampa che gli è stata amica, e che per mesi gli ha perdonato tutto, sollecita un suo passo indietro. Come fa Fini a non dimettersi, a questo punto? Come può fingere di non vedere quello che ormai è chiaro a tutti, e cioè la piena incompatibilità tra il ruolo super partes che si addice alla terza carica dello Stato e la scatenata campagna partigiana e faziosa (peraltro, perdente) che ha condotto anche avvalendosi del suo incarico? Siamo dinanzi a una ferita istituzionale profonda e sempre più grave”. (via | Repubblica.it)

Trovo veramente incredibile, surreale e assurdo leggere cose del genere, che vanno ben oltre “il bue che dice cornuto all’asino”. E’ una dichiarazione che si commenta praticamente da sola, e ci fa capire il vero valore politico e l’ideologia che c’è dietro i seguaci della maggioranza. L’Imperatore Maximo è uno e uno soltanto, non ci possono essere due imperatori. Quindi chi viene sconfitto deve sparire.

Ma è stata davvero una vittoria quella di ieri? La risposta è sotto gli occhi di tutti, tre voti in più non vogliono dire nulla, una maggioranza così risicata e ottenuta in questa maniera dal punto di vista politico è molto più vicina ad una sconfitta. Sebbene la campagna acquisti continui imperterrita, con i posti “promessi” da Berlusconi a chi si unirà alla squadra di governo, al momento attuale la situazione è molto chiara: un governo con una maggioranza così risicata difficilmente potrà governare in maniera tranquilla, dopo il palese passaggio di Fini all’opposizione. E possiamo scommettere che i provvedimenti dell’Imperatore e dei suoi accoliti non avranno vita facile alla Camera. Di conseguenza l’unica opzione che appare realmente praticabile è l’arrivo alle tanto vituperate (e non a torto) elezioni anticipate. La Lega non ha esitato a ripeterlo più e più volte nella giornata di ieri, il destino pare abbastanza scritto.

Le opposizioni si trovano in una situazione decisamente complessa al momento: bisognerà vedere cosa decideranno tatticamente di fare, se allargarsi al Centro prima che Berlusconi faccia i suoi acquisti elettorali, se scegliere un leader forte che li traghetti verso la prossima tornata elettorale o se continuare a fare le solite chiacchiere sulle solite inutili divisioni. Il governo ha perso, ma la Sinistra non ha vinto, questo è bene ricordarlo. Un piccolo appunto per IDV, che avrebbe dovuto fare molta più attenzione ai deputati da mandare alla Camera. Immagino la delusione di molti elettori che si sono visti un proprio rappresentante cambiare fronte in questa maniera così repentina e per giunta per salvare l’odiato nemico Signor B. Un errore in partenza, un errore che costerà caro dal punto di vista elettorale a Di Pietro e compagni a mio parere.

La situazione in Italia diventa sempre più difficile, la disoccupazione aumenta, l’Istruzione viene ogni giorno bistrattata da riformucole ammazzafuturo, la cultura è trattata come una cosa inutile (d’altro canto con la cultura non si mangia, si sa…), la gente che non arriva a fine mese aumenta sempre di più.

Tutto ciò che rimane certo, ancora una volta, è che nel palazzo d’ebano tutto rimane uguale. Anche se più che un palazzo che ci porta alla mente tempi nobili e aristocratici forse dovremmo parlare di un grosso circo, con le bestie più strane, i freak più inguardabili, le ballerine, i nani, tutti con il comune obbiettivo di non alzare mai il culo da quelle poltrone che noi paghiamo. E scusate la conclusione volgare.