In Inghilterra è un’icona da sempre, anche se otto anni fa è venuto a mancare. Qui da noi però è un personaggio troppo poco conosciuto ed è un sacrilegio per ogni amante del calcio, visti i suoi numeri e i suoi straordinari record. Parliamo di Brian Clough, centravanti e successivamente allenatore inglese, che ha realizzato cose attualmente difficili da eguagliare. Ma andiamo con ordine.Continua a leggere…
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Raul, il colchonero che ha fatto la storia dei nemici
A volte la storia gioca degli strani scherzi. A quanti genitori è capitato che i propri figli diventassero quello che non volevano? Senza addentrarci nel sociale ed attenendoci squisitamente all’ambito sportivo, ci riferiamo ad una “offesa” che a tanti papà capita di subire: il proprio figlio diventa tifoso della squadra sbagliata, magari i rivali di sempre. A qualcuno però va anche peggio. Il padre di Raul Gonzalez Blanco, calciatore che è riuscito ad ottenere numerosi riconoscimenti e a rendersi famoso col suo nome piuttosto che col cognome (meraviglia del balompié spagnolo), lo ha visto addirittura diventare la bandiera, il simbolo, il fulgido esempio della grandezza dei “nemici giurati”. Già, perchè tanto Raul quanto suo padre sono da sempre tifosissimi dei “colchoneros” (così chiamati da quando venne istituita la maglia biancorossa, perché divise del genere erano facilmente ricavabili dai fondi dei materassi, cosa questa che valse ai giocatori e ai tifosi della squadra il suddetto soprannome) e speravano di fare la storia del team della capitale. Raul infatti inizia la sua carriera ufficiale nelle giovanili dell’Atletico Madrid, firmando all’età di tredici anni per la squadra del cuore, dove da esterno di centrocampo segna 55 gol nella sua prima stagione e 65 nella seconda (di cui otto in una sola partita) vincendo sempre il campionato di categoria.Continua a leggere…
Alla ricerca del ranking perduto: le italiane a caccia del passaggio del turno
L’urna ha nuovamente parlato. Il sorteggio degli ottavi di Champions League ed i sedicesimi di Europa League ha stabilito chi saranno le avversarie delle italiane. Partiamo dalla competizione più importante. Tutto sommato è andata abbastanza bene. Gli spauracchi spagnoli, Barcellona e Real Madrid, sono stati evitati da Napoli e Milan, che voleranno a braccetto (anche se a distanza di una settimana) a Londra. Sicuramente poteva andare meglio, ma misteriosi presagi indicavano che l’Apoel Nicosia, squadra miracolata con un primo posto nel girone a dir poco clamoroso, sarebbe toccata ad una francese (infatti se la vedrà col Lione, dopo lo scandalo del sette a uno in trasferta a Zagabria con tanto di occhiolino truffaldino). Chelsea per la truppa di Mazzarri e Arsenal per quella di Allegri, con la speranza di estromettere già agli ottavi tutte le squadre inglesi dalla competizione. Si, difficile, ma non impossibile. Il Milan parte senza dubbio favorito, sia perchè la lezione col Tottenham (dove era fuori mezza squadra) è stata appresa e sia perchè i “gunners”…non sono più quelli di una volta. Il Napoli invece deve fare un’impresa, contro una squadra sicuramente più forte ma che perde pezzi causa litigi (Torres verrà ceduto, Drogba ed Anelka non vedono l’ora di cambiare aria causa dissapori con Villas Boas). Con le spagnole gli azzurri partivano battuti in partenza, con i “blues” invece le chance ci sono.
L’Inter paradossalmente ha pescato male. Da prima nel girone poteva avere un accoppiamento più facile mentre invece troverà il Marsiglia, squadra talentuosa che ha in attacco i figli di Abedì Pelè, in panchina una vecchia volpe come Didier Deschamps e soprattutto tanti santi in Paradiso a causa della provenienza. I nerazzurri però possono farcela quindi non è da folli sperare in un tre su tre. Il tutto anche per guadagnare punti nel maledetto Ranking Uefa che ci ha fatto perdere la quarta squadra in Champions per qualche anno. E le tedesche? Nostre principali avversarie? Il Bayer Leverkusen può solo mordersi le mani per aver gettato nel water il primo posto, trovandosi adesso…contro il Barcellona. Discorso opposto per il Bayern Monaco, che trova il sorprendente Basilea. Si, possiamo fare più punti di tedesche ed inglesi. Difficile fare meglio delle spagnole, visto che sono candidate alla vittoria finale, ma fortunatamente la figura di melma del Villarreal ed il flop del Valencia attutiscono la cosa.
Ma l’esame non sarebbe completo se non si contasse anche la competizione minore, quella dove da anni facciamo letteralmente schifo e che ha fatto precipitare il nostro ranking: l’Europa League. Tralasciando la Roma (stendiamo un velo pietoso) sono da applaudire le affermazioni di Udinese e Lazio, che approdano ai sedicesimi. Nell’urna avrebbero potuto trovare incredibilmente le due squadre di Manchester ma così non è stato. Anzi, proprio il City e lo United hanno avversari durissimi (rispettivamente Porto ed Ajax) e che in un certo senso ci aiuta. Già, perchè bisogna guardarsi anche dalle portoghesi, che l’anno scorso erano in tre su quattro in semifinale ed in futuro potrebbero darci noie. Quindi meglio “gufare” le tre lusitane rimaste (e si, anche il Benfica in Champions) e tifare per capitolini e friulani. Come hanno pescato? Benino. Il Paok Salonicco per Guidolin e l’Atletico Madrid (che era proprio nel girone dell’Udinese) per Reja. Bianconeri favoriti, biancocelesti perlomeno alla pari. Se affronteranno la competizione come hanno fatto finora ci sono ottime speranze. Sunto: le inglesi potrebbero arrivare in fondo, le francesi fortunatamente hanno già toppato alla grande, le spagnole…dipende molto dalla Lazio (appunto). C’è sempre un modo per rendere interessante qualsiasi sfida in campo europeo, basta ricordarsi che se arrivi quarto in campionato poi ti mangi le mani pensando a quando sfottevi gli amici tifosi di altre squadre eliminate nelle coppe.
Per me va bene, si può giocare la finale di Champions League all'Allianz Arena
Si è parlato tanto dell’Allianz Arena, lo stadio dove gioca il fortissimo Bayern Monaco. Personalmente ho avuto l’opportunità di conoscere l’impianto a trecentosessanta gradi, in quanto essendomi recato in Germania in qualità di giornalista per seguire il match fra i padroni di casa ed il Napoli (valido per il girone di Champions League) ho potuto testimoniare cosa sia l’organizzazione tedesca. Vi racconto com’è andata.
L’impianto lo avevo già visto il giorno prima arrivando dall’aeroporto, ma vederlo illuminato con colori così “caldi” (in questo caso il rosso del Bayern) è impressionante. Il mio autobus mi lascia fuori il settore ospiti, visto che viaggiavo con dei tifosi, quindi inizio ad incamminarmi chiedendo dove fosse la tribuna stampa. La polizia sembra non saperlo, finchè un agente non mi dice (in perfetto inglese) che si trova duecento metri più in là. Cammino assieme al cameraman ma in pratica ci ritroviamo nella zona parcheggi. Immensi, facilmente accessibili in quanto tutto attorno allo stadio non ci sono abitazioni ma tantissime rampe che conducono all’interno (in pratica sia per entrare che per uscire ci vogliono cinque minuti, anche se ci sono sessantamila spettatori). Ammiro la cosa, ma devo ancora risolvere il problema. All’ingresso dei parcheggi ci sono gli steward e ne noto una che entra di diritto nella top-five delle donne più belle che abbia mai visto. Vi tralascio i particolari, ma lei ci lascia passare e ci troviamo nelle rampe interne, che sono come uno di quei quadri dove non capisci se quelle scale sono in salita o in discesa. Ad un certo punto ci ritroviamo in alto e vediamo lo stadio… sotto di noi!
Scendiamo una rampa lunghissima ed arriviamo in un piazzale dove ci sono mille stand che vendono magliette, gadget, cibarie (ovviamente nessun abusivo). Il clima è disteso e festoso, quasi quasi mi fermerei a dare uno sguardo. Fuori ad un cancello trovo l’unico tedesco che non parla inglese, ma per fargli capire che siamo giornalisti comincio a nominare quotidiani tedeschi. Lui capisce e sempre in tedesco mi dice dove andare; io faccio lo stesso in italiano ma capisco dai gesti. Finalmente arriviamo all’entrata della tribuna stampa… e qui comincia la meraviglia. Dopo aver detto il cognome loro ti lasciano passare con una card attraverso dei tornelli stile metropolitana e ti consegnano un braccialetto. Mentre il mio cameraman lascia la telecamera agli incaricati (gentilissimi e celeri) in quanto non avendo i diritti possiamo trasmettere solo dopo il termine dell’incontro, io mi faccio dare i dati per il wi-fi (incredibilmente potente, anche nei bagni). Accediamo alla sala-buffet, ma sarebbe riduttivo chiamarla così. Una tavolata enorme piena di ogni tipo di cibo, bibite a volontà, tavolini e poltrone comodissime. Siamo tantissimi là dentro, ma anche se entrassero altre trecento persone ci sarebbe posto per tutti. Le hostess si avvicinano in continuazione chiedendo “italiano?”, e già questo basterebbe. Mi servo e mi accomodo accanto a Luca Marchegiani, che mi saluta come se sapesse chi sono.
Mentre mi guardo attorno e seguo le immagini sui maxischermi posti attorno alla sala, mi dimentico completamente della partita. Quando mi sveglio dall’incanto vado in tribuna stampa prendendo posto una fila avanti ai telecronisti. Scatenato come sempre Raffaele Auriemma, cronista del Napoli, ma forse lo è ancora di più il suo omologo tedesco. Arriva il foglio delle formazioni, mentre sui maxischermi partono le immagini di circostanza. Settore ospiti già pieno, stadio semivuoto. La vista del campo è eccellente, potrei colpire la gente in panchina lanciando il mio portatile. Una ragazza che vende ciambelle (quelle annodate, che sembrano giganteschi pretzel) mi spiega come funziona per comprare le bibite: in pratica ti danno una card ricaricabile con la quale fai gli acquisti, niente soldi in contanti. Naturalmente sono già pienissimo, dopo aver abusato del buffet, quindi non mi occorre niente.
C’è una umidità pazzesca, sembra di vedere una nuvola che ti viene addosso. Avete presente quei ristoranti che d’estate spruzzano quelle goccioline sui tavolini all’esterno per rinfrescare? Ecco, uguale. Si sta bene però, al coperto e con la tribuna riscaldata. Inizia la partita, sulla quale sorvolerò, ma la cornice è splendida. Calorosa e colorata la curva tedesca (stupenda la scenografia pre-gara), rovente come sempre il settore ospiti. Nell’intervallo penso che è così che si dovrebbe vedere una partita di calcio, ma quando partono le immagini dei gol da tutti gli altri campi me ne convinco ulteriormente. A fine partita riscendo nella mixed-zone per le interviste e mi accorgo che rispetto a quella alla quale sono abituato siamo anni luce avanti. C’è spazio per tutti ed intervistare i protagonisti è un gioco da ragazzi. Raccolgo i pareri di Rummenigge (in perfetto italiano, un vero signore) e Dzemaili. Dopo, finito il lavoro, mi accingo ad uscire, ma c’è tempo per un’altra sorpresa: mi lasciano un souvenir. C’è poco da dire, hanno avuto il mio consenso. La finale della Champions League 2011/2012 si può giocare all’Allianz Arena.
Chiudo con una top-five dei momenti più toccanti della trasferta.
1) Lo speaker tedesco che annuncia il gol. Dopo il consueto “Al minuto tot ha segnato…Marioooo..” ed il pubblico “Gomeeez!” (tre volte) c’è un qualcosa si particolare. Lo speaker dice “Scusate…mi potreste dire il punteggio? Bayern?”. Il pubblico “Unooo”. “Napoli?” “Zero”. “Grazie!”. “Prego!”. Discorso surreale.
2) L’organizzazione del negozio ufficiale. Preso d’assalto da una miriade di tifosi (in un negozio in Italia manco si sarebbe riusciti ad entrare) non perdono la calma ed in cinque minuti entri, compri ed esci tramite un sistema a catena di montaggio.
3) All’entrata dell’HB, la più famosa birreria del mondo, il mio cameraman mi chiede: “Ci saranno napoletani?”. Aprendo la porta veniamo accolti da un boato: “Juventino pezzo di…”. Si, decisamente c’erano.
4) Passa il pullman a prenderci in albergo per portarci in aeroporto dall’hotel: strada a senso unico, traffico bloccato per 6-7 minuti, una fila lunghissima di macchine si crea dietro di noi. Nemmeno un colpo di clacson.
5) Sull’autobus che ci porta dal gate all’aereo (questo a Napoli, prima della partenza) un tizio chiede ad un amico (e diceva sul serio, ve lo giuro) “Senti, ma sull’aereo se mi sento male posso aprire il finestrino?”.
Adesso parla il campo… ma parliamo anche noi
Abbiamo parlato dello sciopero dei calciatori, come era giusto fare. Adesso finalmente la parola è passata al campo, visto che si è giocato. Ci si può dunque sbizzarrire e discutere di calcio giocato, facendo anche una analisi a lungo termine. Innanzitutto è bene segnalare una cosa: il tanto bistrattato calcio italiano nella sua prima giornata (la seconda a dirla tutta, ma tant’è…) ha sfornato match molto molto godibili, a cominciare da Milan-Lazio, passando per Cesena-Napoli e Juventus-Parma, fino a Palermo-Inter. Trentacinque gol, non succedeva dal 1955 (anche se era un torneo a diciotto squadre), l’anno del boom delle crociere e di Elvis che stava per diventare “The King”. Qualche sorpresa, tante conferme che più che altro tramutano i sospetti in certezze. Cominciamo dalla prima fila. Milan e Napoli. I rossoneri si sono puntellati esattamente dove necessitavano, ovvero a centrocampo e soprattutto in difesa, dove mancava un centrale che sostituisse Thiago Silva e Nesta, che flirtano troppo con gli infortuni. Oltre a Mexes arriva anche un esterno sinistro interessante come Taiwo. Il team di Allegri rimane la squadra da battere, il match di apertura dimostra che la squadra c’è (l’anno scorso forse la partita l’avrebbe persa) perchè dopo uno sbandamento iniziale ha messo sotto una delle squadre che si è rinforzata di più. Il Napoli è cresciuto ancora dopo aver stupito tutti lo scorso anno: vero, avrà la Champions e non ci è abituato ma ha finalmente una panchina decente con una rosa più ampia. La vittoria in terra romagnola conferma che stiamo parlando di una squadra forte, che se avrà una difesa appena sufficiente potrà fare grandi cose.
Seconda fila per Juventus e Lazio. I bianconeri hanno investito tanto nel mercato, forse anche troppo e c’è abbondanza (quest’anno niente impegni europei). L’assenza dal calcio continentale potrebbe essere un vantaggio, ma molto dipenderà da Conte, che ha materiale umano interessantissimo, con un faro come Pirlo (tantissima voglia di dimostrare di essere ancora un campione), un bomber come Matri e tanti giocatori che possono essere importanti (Vucinic su tutti, senza dimenticare il sempreverde Del Piero). Non inganni la roboante vittoria con il Parma, ma c’è da dire che la squadra c’è. Per quanto riguarda i “Reja’s boys” è impressionante il cambio in attacco: Cissè e Klose sono sicuramente meglio di Floccari e Zarate (e se ne è accorto anche Nesta, non uno qualunque). La Lazio ha una squadra di tutto rispetto, che può davvero dire la sua, soprattutto se il tecnico riuscirà a mantenere il livello costante.
Può sembrare incredibile, ma al momento l’Inter è in terza fila. Sottolineamo, al momento. Perdere Eto’o è stato un colpo duro e sarà durissima per Forlan prenderne il posto. Milito sembra essere tornato ma in molti sono scettici e non comprendono l’attuale ruolo di “riserva di lusso” di Pazzini. Le idee di Gasperini sembrano inadatte ad una squadra del genere e forse l’ex-tecnico rossoblù è… troppo “buono” per allenare una squadra dove serve gente come Mourinho (e non Benitez, anche lui troppo docile). Zarate è oggetto misterioso, Sneijder fa l’adattato, la difesa a tre non ha convinto nessuno. I campioni ci sono e se c’è una squadra che può rimontare tante posizioni partendo così dietro questa è proprio l’Inter. Di fianco ai nerazzurri, ma con diversi secondi di distacco c’è l’Udinese. Senza Inler e Sanchez sarà durissima, il bel gioco c’è e l’assetto anche, ma a volte sono i calciatori a fare la differenza e senza “El niño maravilla” non è la stessa cosa. Incoraggiante però l’esordio ed anche l’aver fatto penare l’Arsenal ai preliminari di Champions (il sorteggio grida ancora vendetta).
Quarta fila per Roma e Palermo. Luis Enrique non ha ancora capito che purtroppo in Italia conta solo il risultato e tempo per gli esperimenti non ce n’è. I nuovi arrivati sembrano buoni, ma… c’è troppo nuovo, e non sempre il nuovo è meglio. Josè Angel può rimpiazzare Riise ma le altre facce nuove sono tutte scommesse ed alcune sono veri e proprio “coin flip” (per usare un termine del poker Texas Hold’em). Esordio senza punti ma c’è la possibilità di rifarsi, purchè…si faccia in fretta. I rosanero invece sognano dopo il botto con l’Inter che ha vendicato la finale di Coppa Italia di maggio: quattro gol con tutti e tre gli attaccanti a segno. Hernandez è ancora discontinuo ma ha talento, Miccoli oramai è una garanzia e Pinilla può fare davvero sfracelli se è in giornata. “Mangia ha ancora fame” era la battuta dopo l’esordio, se così fosse allora i tifosi possono sbizzarrirsi con la fantasia.
Ultimi qualificati alla terza sessione di prove sono Fiorentina e Genoa. I viola dovranno stringere i denti ma la rosa non è male e se Jovetic non si rompe possono fare una annata tranquillissima. La chiave sarà fare pace con gli scontenti tipo Montolivo e Gilardino, ma se il buongiorno si vede dal mattino i presupposti per fare una stagione decente ci sono. I liguri invece hanno tutto da dimostrare e Malesani è chiamato ad un vero e proprio salto di qualità rispetto alla passata stagione a Bologna.
Facendo un salto in coda c’è da dire che anche quest’anno sarà bagarre. Se ne chiama definitivamente fuori il Cesena che con l’arrivo di Mutu ed Eder ha un attacco agile e spettacolare, che come dimostra il match col Napoli può davvero fare benissimo. Nonostante la sconfitta i bianconeri hanno convinto e difficilmente non metteranno tre squadre alle loro spalle. Parma e Bologna non sono attrezzatissime ma sono comunque in grado di arrivare almeno alla seconda tornata di qualifiche evitando le ultime cinque piazze. L’Atalanta parte con un handicap pesante, dopo aver sostituito un motore per un guasto causato dal meccanico Doni, ma i cavalli di potenza li ha e potrebbe fare il miracolo. Troppo lenti in qualifica e probabilmente anche in gara appaiono Siena, Chievo, Novara e Lecce. Se i bergamaschi festeggeranno a maggio allora saranno tre di queste squadre a versare lacrime amare.
Calcio – Dalle stelle alle stalle: basta passare per gennaio.
Genova, 24 agosto 2010: la Sampdoria è ad un passo dal paradiso, un sogno chiamato Champions League. Si sta giocando la partita di ritorno del turno preliminare di Champions, con i blucerchiati che conducono 3-0 sul Werder Brema, dopo la sconfitta per 3-1 dell’andata. Sembra fatta ma proprio sul più bello una rete di Rosenberg manda tutti ai supplementari, dove Pizarro torna ad essere un buon giocatore e mette dentro il pallone che elimina la Samp.
Genova, 8 maggio 2011: la squadra è ad un passo dall’inferno. Un incubo chiamato Serie B. Si gioca il derby: al sesto minuto di recupero, dopo le reti di Floro Flores e Pozzi (ma con Eduardo che conferma che per il “Grifone” è meglio un citofono che un portiere) l’argentino Mauro Boselli, fino a quel punto oggetto anonimo del mercato rossoblu indovina una traiettoria beffarda che infila Da Costa e condanna alla sconfitta i doriani.
Cos’ è successo quest’ anno? Perché una squadra da Champions è diventata mediocre? Innanzitutto l’allenatore: da Gigi Delneri, capace di lottare con chiunque per un posto in Europa (c’è riuscito perfino col Chievo e il suo limite è esattamente quello), si passa a Mimmo Di Carlo, tecnico preparato ma assolutamente inadeguato. Il mercato estivo, inoltre, è stato molto deludente, senza alcun rinforzo. E dopo l’eliminazione dall’Europa e una prima metà di campionato tutto sommato decente, si sta per compiere il vero disastro.
Alla diciannovesima giornata la Sampdoria ha ventisei punti, uno in meno dell’Udinese, tre più del Genoa, sei in meno rispetto alla Roma che è quarta, ma qualcosa s’inceppa: Cassano litiga con Garrone, riempiendolo d’insulti, perché non vuole presenziare ad un evento promozionale. Il presidente scarica il suo campione, che decide di accasarsi al Milan: fuori uno. L’altro elemento della coppia d’oro, Pazzini, finisce all’Inter, che ripaga i doriani con il fumoso Biabiany. Nel mercato invernale arrivano Maccarone, scaricato dal Palermo, e Macheda, dal Manchester United, giovane di belle speranze che sembra incantare i fantallenatori.
Da qui la caduta libera: dieci punti in diciassette partite, solamente il Bari ha fatto peggio. Come se non bastasse, dalla padella alla brace, il tecnico non è più Di Carlo ma Cavasin. Infatti con lui in panchina: scontro diretto in casa col Cesena…sconfitta; scontro diretto in casa con il Lecce…sconfitta; scontro diretto in casa con il Parma…sconfitta; scontro diretto in casa con il Brescia…pareggio nel recupero. Le colpe ovviamente sono anche di Garrone, che forse vuole vendere la squadra: se così fosse è tremendamente vile da parte sua iniziare la stagione con Cassano e Pazzini (e la Champions) stampati sugli abbonamenti, che i tifosi sottoscrivono in massa, e finirla con Biabiany e Pozzi.
Il quarto posto, la finale di Coppa Italia di due anni fa…sembrano solo lontani ricordi. La realtà è scritta negli striscioni che i tifosi genoani sbattono in faccia ai “cugini” : “Tornerete in Serie B”, “Bye Bye”, “Garrone è un amico”; il più ironico recita: “Chissà com’è, il sabato alle quindici con lei”. Succede quando smantelli tutto a gennaio, con Inter e Milan che ringraziano. Chissà invece cosa sarebbe successo se Rosenberg non avesse segnato quel gol.
Gufata dopo gufata…il ranking è sceso: ecco perchè
Ed adesso c’è rimasta solamente l’Inter, che tra l’altro ha poche possibilità di passare il turno, nonostante sia superiore al Bayern Monaco. Quest’anno potremmo rimanere a bocca asciutta in Europa e non ne beneficia certo il nostro oramai famoso Ranking Uefa. Ma cos’è e come funziona questo ranking? Si tratta di un sistema per classificare squadre e nazionali a livello europeo e decidere quante e di quali paesi avranno l’accesso alle competizioni come Champions League ed Europa League. Il coefficiente UEFA per le squadre di club è determinato dai risultati ottenuti da ogni squadra nelle competizioni europee delle ultime cinque stagioni. Il punteggio totale si ottiene sommando ai punti conquistati da ogni squadra un coefficiente fisso, pari al 20% del coefficiente nazionale relativo alla stagione in corso. Per esempio, gli 11.375 punti del coefficiente dell’Italia, per la stagione 2008-09, hanno garantito 2.275 punti ad ogni formazione italiana, comprese quelle che non hanno preso parte alle competizioni europee in quella stagione.
I punti ottenuti da ogni squadra sono calcolati nella misura di 2 per ogni vittoria e 1 per ogni pareggio, cui vanno aggiunti i seguenti bonus: 4 punti (3 fino alla stagione 2008-09) per la qualificazione per la fase a gironi della Champions League,5 punti (1 fino alla stagione 2008-09) per il raggiungimento degli ottavi di finale della Champions League, 1 punto per il raggiungimento dei quarti di finale, delle semifinali e della finale di entrambe le competizioni continentali.
Perchè quindi abbiamo praticamente perso la quarta squadra in Champions? Semplice. Quest’anno l’annata meno recente che veniva presa in considerazione era quella del 2005/2006 (15357 punti per noi e 10437 per la Germania), ovvero quando il Milan arrivò in semifinale e Juventus ed Inter uscirono ai quarti, con le tedesche tutte fuori agli ottavi e nonostante la figuraccia in Europa League, col solo Livorno (!!) ai sedicesimi conservammo un bel vantaggio. Quel vantaggio che ci ha consentito di restare avanti quest’anno, ma il prossimo anno quell’annata non verrà più presa in considerazione. L’ultima sarà quella 2006/2007, che l’Italia ha comunque chiuso avanti grazie al Milan campione d’Europa (2-1 al Liverpool in finale) ma con un vantaggio più risicato, che non copre gli sfaceli delle ultime tre edizioni, dove la Germania è sempre andata meglio di noi. L’anno scorso i tedeschi hanno fatto un punteggio record, ovvero circa 18000, grazie ad una semifinalista in Europa League e una in finale di Champions League (che se il Bayern avesse vinto voleva dire già sorpasso).
Come sono le prospettive per il futuro? Pessime. Sia perchè quest’anno abbiamo fatto nuovamente schifo e sia perchè man mano che scorrono le stagioni il nostro distacco aumenta sempre più, mentre la Germania fra due anni non avrà superato solamente noi, ma anche la Spagna (a meno che Barcellona e Real non facciano qualcosa di eclatante quest’anno). Otto punti di coefficiente da rimontare per noi sono tanti, ci potrebbero volere anche cinque anni per colmarli. Magari la prossima volta gli italiani ci penseranno due volte prima di “gufare” le altre squadre italiane per le quali non si fa il tifo.
L'oro di Napoli è tornato
Se siete tifosi del Napoli ed avete meno di ventiquattro-venticinque anni allora questa è la miglior stagione di sempre della vostra squadra del cuore da quando la seguite. Già, perchè gli azzurri non adavano così bene in campionato dalla stagione del secondo scudetto, che risale al 1990. Scomodare Maradona e compagni è una cosa blasfema, ma proviamo a fare comunque un paragone. Il Napoli ha quaranta punti dopo ventuno partite attualmente: a quei tempi “El pibe de oro” e compagni col conteggio odierno ne avrebbero avuti quarantaquattro (quanti ne ha il Milan, attuale capolista della Serie A), contando anche due gare in più del girone di ritorno, visto che a quei tempi si giocavano andata e ritorno di diciassette giornate per trentaquattro complessive.
C’è però da sottolineare una cosa. Quel Napoli storico di successi in trasferta ne fece solamente due, non sei come la truppa di Mazzarri, con la principale differenza che fu l’assoluta superiorità schiacciante nelle partite casalinghe, quando al “San Paolo” anche il solo pareggiare per le squadre avversarie era una gioia immensa. Cosa hanno invece in comune? Vediamo i confronti diretti con le grandi. In quell’anno il risultato al “Meazza” contro l’Inter fu lo stesso, ovvero un tre a uno per i nerazzurri (al San Paolo però fu due a zero per il Napoli). Contro la Juventus successo per tre a uno Napoli (la tripletta di Cavani ha duque fatto anche meglio) ed un pari a Torino. Contro il Milan un successo per parte (e qui per eguagliare Lavezzi e compagni dovrebbero espugnare San Siro). Con i tre punti a vittoria il Napoli di Maradona avrebbe chiuso a settantadue punti, con una media di 2,11 punti per match. Per fare lo stesso l’attuale formazione partenopea dovrebbe chiudere ad ottanta punti, forse davvero troppi considerando che dovrebbe farne altri quaranta, ma quel che è certo è che un Napoli così bello non si vedeva da quei tempi. Il capocannoniere fu Maradona con sedici gol e Cavani è già a quattordici.
Visto che il Napoli è ancora in corsa su tre fronti (Villareal e soprattutto Inter permettendo) proviamo anche a fare un parallelisimo anche sulla Coppa Italia. Gli azzurri non la vincono dal 1987 (anno del primo scudetto) ma sono arrivati in finale nel 1989 (perdendo nel doppio confronto con la Sampdoria di Vialli, Mancini e Pagliuca) e nel 1997 (la dolorosa sconfitta col Vicenza, dove non bastò l’uno a zero dell’andata firmato da Fabio Pecchia, ribaltato dal tre a zero targato Maini-Rossi-Iannuzzi. Come andò invece nel 1989-90? Così così, perchè dopo i turni preliminari, che erano simili a quelli odierni, le cose promettevano bene ma finirono male. Al primo turno venne eliminato il Monza ai rigori dopo l’uno a uno del San Paolo, con errore decisivo del portiere lombardo Davide Pinato e rete di Giuliani, mentre al secondo venne spazzata via la Reggina per due a zero sul neutro di Avellino. Si giocò poi una fase a gironi, con le dodici squadre rimaste divise in quattro gruppi con la prima che si sarebbe qualificata per le semifinali ed il Napoli regolò Bologna e Fiorentia. La semifinale col Milan però fu amara: dopo lo zero a zero del “Meazza” arrivò un clamoroso 1-3 al “San Paolo ed addio Coppa.
Chiudiamo anche con una comparazione sui singoli. Questo Napoli segna molto di più rispetto a quello, ma subisce anche troppe reti, nonostante De Sanctis sia a mio parere nettamente meglio di Giuliani. Baroni e Corradini erano così superiori a Cannavaro e Campagnaro? Probabilmente, ma non si tratta di un distacco abissale. Centrocampo? Moduli diversi, ma comprimari identici. Gargano non è Alemao e Pazienza non è Crippa ok, ma è anche vero che un trittico d’attacco come Hamsik-Lavezzi-Cavani viene battuto solo perchè il Napoli del 1990 aveva il più grande giocatore della storia di questo sport. Abbiamo scherzato forse, ma nonostante una comparazione rimanga scomodissima alle pendici del Vesuvio è più che lecito sognare.
Mai come quest’anno.
Calcio. Dopo la sbornia i postumi
Dopo ogni domenica pallonara abbondano su Facebook i link dei tifosi delle varie squadre di calcio che esultano per le fortune della propria o prendono allegramente per i fondelli le altre. Personalmente non mi piacciono più di tanto ma ne sta girando uno che con un ironico doppio senso racchiude forse una grande verità. Questo link recita “Inter togli il Tampax: il ciclo è finito”. A parte la battuta, fa riflettere vedere i nerazzurri così giù in classifica da parecchio tempo. Dopo l’ubriacata esagerata della scorsa stagione con la conquista di scudetto, Champions League e Coppa Italia la squadra sembra incredibilmente svuotata. Le colpe non sono tutte di Rafa Benitez, sia chiaro, perchè prendere il posto di uno come Josè Mourinho sarebbe stato difficile per chiunque (perfino per Gigi Maifredi…ihih). I numerosissimi infortuni hanno sicuramente condizionato la squadra, priva per alcune settimane di gente come Cambiasso, Maicon e Julio Cesar ed ora priva definitivamente di Samuel, ma guardando le partite dell’Inter quest’anno si ha sempre una sensazione strana. Quella col Brescia ad esempio: l’anno scorso Mourinho avrebbe giocato con cinque punte ed in un modo o nell’altro la partita l’avrebbe vinta. Ricordate la partita col Siena dello scorso campionato? Fu un’Inter inguardabile per larghi tratti ma con due reti nel recupero portò a casa i tre punti. Forse è proprio questa la differenza: vincere anche quando si gioca male, e ciò è questione di organizzazione, di testa e di carisma. La testata di Eto’o a Cesar nel match contro il Chievo sembra essere il sintomo più evidente di un malessere che si è radicato nello spogliatoio. I nerazzurri non hanno più mordente ed è difficile da stabilire se sia dovuto ad una sorta di appagamento, ma quello che è certo è che le cose sono veramente cambiate. La partita in Champions League potrebbe davvero decidere la stagione, ma potrebbe farlo solamente in negativo. Già, perchè se l’Inter dovesse perdere sarebbe con un piede e mezzo fuori dalla competizione, ma se come probabilmente accadrà dovesse qualificarsi i problemi saranno soltanto rimandati. Forse chi pensava che anche quest’anno nonostante tutto lo scudetto avrebbe preso la via di Milano senza cambiare sponda ha fatto male i suoi calcoli.
Catenaccio vincente
Questo fine settimana sono successe tante cose, di spunti ce ne sono. La farsa di Lazio-Inter (ma meglio sorvolare), lo scudetto al Bayern (dei bavaresi ne parleremo più in là e potete facilmente immaginare quando), dei verdetti della serie A (a fine campionato lo faremo) e dei convocati per lo stage alla Borghesiana di Lippi (faremo anche questo, tranquilli). La notizia della settimana però è chiaramente l‘Inter di Josè Mourinho che approda in finale di Champions League dopo trentotto anni. Per la generazione odierna è un’esperienza nuova e meriterà una ampia pagina più in là. Ma oggi ci soffermiamo su come ci sono arrivati i nerazzurri superando lo scoglio Barcellona.
Gara d’andata al “Meazza” e vittoria per tre a uno, con rete in fuorigioco e rigore non dato ai catalani ma con i blaugrana inguardabili e l’Inter che merita, tutto sommato. Gara di ritorno preceduta da tensione, con magliette indossate dai giocatori dopo la vittoria con lo Xerez con su scritto “Venderemo cara la pelle” e dichiarazioni topo quella di Piquè che afferma “Faremo pentire per novanta minuti ai giocatori dell’Inter di fare questo mestiere”. Com’è andata? Il Barcellona vince uno a zero e l’Inter va in finale. Come? Col catenaccio, ovvio. L’espulsione di Thiago Motta (dopo sceneggiata di Busquets) del resto ha perfino dato un ottimo alibi a Mourinho, che schiera in pratica Eto’o terzino, con Victor Valdes che poteva essere sostituito da chiunque, ma proprio chiunque. Qual’è il succo della questione però? Semplice, che il Barcellona ha tirato si e no tre volte in porta, con una gran parata di Julio Cesar ed un gol. Per il resto uno stucchevole possesso di palla che portava regolarmente….a niente. Chi è il vincente? La difesa, perchè il calcio è questo. Conta vincere. Sfortunatamente il termine “catenaccio” ha assunto oramai connotati negativi, facendo dimenticare a tutti che ogni tattica merita rispetto, specie quando vincente, e vedremo perchè. Molti pensano che sia di invenzione italiana…invece no!
Ad inventarlo fu l’austriaco Karl Rappen che allenava il Servette in Svizzera. Rappen intuì che l’idea comune di giocare con tre difensori poteva essere modificata ed iniziò a spostare uno dei mediani in difesa arretrando il difensore centrare (si giocava con due terzini ed uno stopper) che in pratica diventò il libero. Nacquero però anche i ruoli del mediano di spinta e del terzino fluidificante. Ora…la tecnica si è evoluta. Si può giocare con una specie di “catenaccio” anche col modulo 4-3-3. Ma a farne un’arma quasi infallibile sono state le squadre italiane, è vero. Quante partite si sono vinte colpendo in contropiede facendo imbestialire gli avversari che si domandavano “Ma perchè se la palla l’abbiamo noi…poi segnano loro?”. Eh già. Ma vogliamo ricordare alcune squadre che utilizzavano apertamente il “catenaccio”? Cominciamo dalla Svizzera del 1938, il cui tecnico era il già citato Roppen. Quarti di finale dopo aver battuto la Germania, uscendo solo con i maestri dell’Ungheria (forse la più forte squadra di tutti i tempi). Il Milan degli anni sessanta poi, quello di Rocco, che mise in cassaforte qualcosina come due scudetti, due Coppe dei Campioni (la prima per una squadra italiana battendo il Benfica a Wembley), una Coppa Intercontinentale e una Coppa delle Coppe. Un’altra? L’Inter di Herrera. Toh, guarda caso l’ultima Inter grande a livello europeo! Tre tricolori, due coppe dalle grandi orecchie e due Intercontinentali. Eh bè…magari succedeva anni e anni fa. Portiamo qualche esempio più recente. Ricordate l’Europeo del 2004? Si si, quello del biscotto Danimarca-Svezia eccetera. Chi lo vinse? La Grecia. E come lo vinse? Eh, eliminando Francia, Repubblica Ceca e Portogallo. Eliminandoli come? Con tre vittorie per uno a zero! Facendo sembrare un campione Charisteas, finito poi nel dimenticatoio. C’è posto anche per una squadra che si è qualificata per gli ultimi mondiali. Non so come si dice “catenaccio” in coreano, ma a quelli della Corea del Nord dopo che hanno staccato l’incredibile biglietto per SudAfrica 2010 dubito che la parola faccia troppo schifo….