Negli anni trenta esistevano i lager, i campi di concentramento tedeschi che tutti conosciamo e che una volta all’anno rammentiamo con tanta malinconia. La storia ci ha insegnato che è stato il volere abominevole e illogico del nazismo germanico a partorire l’idea di realizzare i campi di lavoro e sterminio. Spesso immaginiamo tale realtà come un’immagine annebbiata, remota, immergendoci nella convinzione che quegli avvenimenti inumani siano indiscutibilmente conclusi e irripetibili. Troppo spesso crediamo che soltanto un regime nazista potrebbe essere in grado di compiere azioni disumane come quelle attuate dai seguaci di Hitler durante la seconda guerra mondiale, perché siamo saldamente convinti e persuasi che gli altri regimi, più o meno democratici, non riuscirebbero nemmeno a pensare di realizzare orribili follie come i campi di concentramento. Non sto mettendo in discussione la validità di un regime democratico, bensì dubito di quanto siano veritiere le democrazie attuali. Ricordo nitidamente che un mio professore, durante una lezione, mi spiegò che il nazismo è una bestia e che non è sola, perché “nazismo e comunismo sono due facce della stessa medaglia”. Difatti, se ci spostiamo in oriente, più precisamente in Cina, possiamo renderci conto che ciò che un tempo si chiamava lager in Germania e gulag in Russia, oggi, in Cina, si chiama laogai.
I laogai vennero istituiti da Mao un anno dopo la rivoluzione comunista. Egli aveva seguito le impronte di Lenin che aveva aperto i gulag nel 1948 nell’URSS. I laogai, tuttora presenti, vengono spacciati come luoghi dove ci si riforma attraverso il lavoro, così dall’esterno tutto appare come soluzione giusta ed equa ai problemi sociali. Ma in realtà laogai ha tutt’altro significato: significa lavoro forzato; diciotto ore di lavoro al giorno e centoventisei a settimana; significa patire la fame, diventare scheletri viventi, abbandonare la propria famiglia e la vita normale; significa assentire al comunismo totalitario e dissentire alle esigenze democratiche. In parole povere, i laogai sono l’emblema di un paese socialmente arretrato, barbarico e schifosamente inumano. I campi di lavoro cinesi sono la condanna di chi ha osato alzarsi in piedi quando l’ordine impartito dalle autorità era quello di rimanere in ginocchio, di chi ha detto no quando tutti dicevano roboticamente sì, di chi si è opposto alla legge perché voleva tenere il secondo figlio, di chi è stanco e deluso dall’ingiusto regime comunista.
Il tuo portapenne, i tuoi vestiti, il tuo mouse, tutto ciò che ti circonda potrebbe provenire da un laogai poiché commerciare i prodotti fabbricati in questi campi di lavoro è legale. Numerose multinazionali cinesi trovano conveniente vendere le mercanzie dei laogai: dato che la manodopera è gratuita e i profitti sono alti, riescono eccellentemente a esportare tali prodotti nascondendo la reale provenienza – che sarebbe teoricamente illecita – usando il secondo nome del laogai, che è sempre quello di un’impresa commerciale.
I laogai esistono per intimidire e incutere terrore tra il popolo; le loro leggi sono austere e animalesche: fanno il lavaggio del cervello ai detenuti, li obbligano con la tortura e la violenta persuasione a chinare il capo al volere comunista; inoltre, il cibo è scarso e c’è chi mangia i topi trovati qua e là per calmare la fame. Nei laogai il sogno dei detenuti è scappare, ma la fame, le forze esaurite, i dolori che inibiscono i propri voleri lo rendono un’impossibilità. Pensate, l’economia cinese si trova tra queste disumanità! In Cina, quindi, essa non significa affari né commercializzazione, bensì tortura e fame. Ma la cosa più triste è che i prodotti cinesi, inclusi quelli fabbricati nei campi di lavoro, sono sempre più richiesti in tutto il mondo, perciò i laogai e i detenuti sono tristemente destinati ad aumentare, perché per le imprese cinesi il termine laogai significa profitto.
Purtroppo sono certa che non saremo noi a chiudere i battenti dei laogai e quindi dare la possibilità al popolo cinese di
esprimere la loro democratica esigenza di capovolgere il sistema. Ma mi è sufficiente pensare che oggi si parla di questa cruda realtà, quando ieri la disinformazione la celava. Il sogno di Harry Wu – che è stato prigioniero nei laogai per diciannove anni – è quello di riuscire a inserire il termine laogai nei dizionari di tutte le lingue. Io mi auguro, invece, che quel termine possa andare oltre ed entrare nella vita di ognuno di noi, di modo che il mondo smetta di parlare di baggianate e di tacere sulle cose importanti.
Liu Xiaobo, che ha ricevuto un premio Nobel per la pace, scrisse: “l’uomo ha l’intelletto, per questo si crede superiore agli animali e ritiene di poter dominare su tutte le cose del mondo. […] le infinite regole, leggi, norme, dogmi e teoremi stabilite dalla ragione costringono in maniera evidente l’esistenza a un appiattimento dottrinale, facendo sì che l’uomo sia così limitato dalle sue stesse creazioni da non riuscire nemmeno a muovere un passo”. Dopo anni di tortura e prigionia, Liu Xiaobo è ancora in uno dei tanti laogai in Cina.
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