Meridiano Zero – Notizie civetta

Esplodono, come bombe a orologeria, perfettamente coordinate alle ore di punta.

Ricordano i prodotti civetta, quelli messi nei supermercati nei punti strategici per attirare le persone: funziona che si posiziona un prodotto X, particolarmente appetibile dalla folla, in un’area di nostro interesse, dove vogliamo che il cliente faccia acquisti. Il prodotto X lo vendiamo a un prezzo ottimo, con un margine di guadagno minimo, se non addirittura a rimessa. Il cliente, attirato dal prezzo invitante, cadrà nella nostra trappola consumistica e il gioco è fatto, si ritroverà nel carrello della spesa prodotti che nella lista originale non c’erano.

Qui invece abbiamo le notizie civetta: l’ascoltatore, attratto dalla notizia civetta, si farà l’idea che vogliamo noi, nel momento in cui lo vogliamo noi, del personaggio X, travolto dallo scandalo mediatico scoppiato ad hoc sulle sue abitudini scoperecce/drogherecce. Fa un po’ impressione, sinceramente, pensare che teoricamente in un ipotetico giornale, magari scritto con la lettera maiuscola, esista uno schedario di riferimento nel quale sono accumulate tutta una serie di notizie su tutti i personaggi politici che ci possono interessare, notizie poi da utilizzare o riutilizzare a seconda delle necessità elettorali del momento, quando ci interessa. È proprio questo che mi spaventa, il “quando”. Il fatto di avere notizie a orologeria, che possano scoppiare quando ce n’è bisogno, in barba al primo dovere che si dovrebbe prefiggere un giornalista, quello di informare.

Esempio.

Nel momento in cui scrivo, dalle home di tre giornali differenti.

LaRepubblica.it: Obama: “via dall’Iraq ma non è una vittoria”. La seconda notizia riguarda il processo lungo, per allungare le cause del Premier e farle così cadere in prescrizione.

IlCorriere.it apre con Obama, passa la parola al Premier “adesso basta con attacchi a Fini” e poi si lancia nella fuffa dei gatti lanciati e delle gare di tango.

IlGiornale.it dedica la sua homepage a Obama, poco sotto fotone del Gauccione che dice “Basta bugie ora querelo Elisabetta” (Tullani) e poco a destra “La campagna: Raccolta firme per dire Via Fini” con tanto di modulo da scaricare.

Nessuno che parla di Dell’Utri contestato pesantemente a Como alla presentazione del suo nuovo libro, i ricatti politici di Gheddafi (5 miliardi per fermare l’immigrazione), il “comportamento grave e colposo” della giunta Moratti citando il Gip di Milano nell’archiviazione del processo per le consulenze d’oro.
E facendo mente locale, fa un po’ specie notare come la questione Montecarlo sia scoppiata in concomitanza con la rottura di Fini, martellando strenuamente sulla poca limpidezza del leader. Non mi interessa commentare la notizia, che onestamente mi sembra un pretesto per screditare il leader ex AN e per dare a Feltri qualcuno su cui smitragliare quotidianamente (dopo quelle a Di Pietro, che gli hanno fruttato ben 35 querele, a Boffo, a Gherardo Colombo).
A questo scenario, si ricollegano bene o male tutti i telegiornali di riferimento e i programmi di approfondimento. Il tg1 di Minzolini, che tra la lettera della Busi e prese in giro su internet ormai è diventato una macchietta; Studio Aperto, che lo è sempre stata una macchietta; Matrix che saluta Mentana in favore del telegenico Vinci e tappa la bocca a Gianna Nannini sulla questione L’Aquila; il tg5 e rai due che si mantengono in quel limbo più o meno neutrale di cronaca e cani abbandonati. Non mi sorprende quindi il 7,8 % di share (77% in più di telespettatori rispetto l’anno scorso) fatto da Mentana sul tg di La7, con un milione e seicentomila telespettatori strappati ai tg di riferimento di Rai e Mediaset. Che lo spettatore medio si sia stufato dei metodi per combattere il caldo? Dell’appartamento a Montecarlo di Fini? Dell’informazione dirottata o addormentata secondo le necessità politiche del caso? Aspettando la nuova stagione invernale con qualche speranza democratica in più, a voi studio.

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Non c'è P2 senza P3…

“Salta la legge Falcone che consentiva una corsia più rapida per le investigazioni sulle associazioni criminali – scrive Liana Milella su La Repubblica online del 23 luglio 2010. – Per un gruppo come quello sotto inchiesta in questi giorni i magistrati avranno bisogno di “gravi indizi” di reato per far scattare gli ascolti”. La “cricca” di cui si parla nell’articolo è, ovviamente la famigerata new entry del panorama politico italiano: la P3... Nel frattempo l’irrefrenabile entourage di Mr. Silvio si impegna scrupolosamente per complicare la vita dei pm e agevolarla ai loro compari. Altro che fratelli Cohen… Questo è un paese per vecchi, possibilmente affiliati ad associazioni a delinquere che si macchiano di reati come corruzione, concussione, peculato, truffa, bancarotta e usura. “Per mettere sotto controllo i telefoni degli adepti al gruppo non basteranno i “sufficienti indizi di reato” – prosegue l’articolo di La Repubblica – come per la mafia e il terrorismo, ma ci vorranno i “gravi indizi” e tutti i numerosi paletti imposti dalla riforma”, quella stessa che cancella l’articolo 13 della Legge Falcone del 1991.

Persino Napolitano è rimasto allarmato e indignato per “l’emergere dei fatti di corruzione e trame inquinanti da parte di squallide consorterie”…
Al centro della rete di complotti e relazioni troviamo, guarda caso, il povero bistrattato Marcello Dell’Utri, che continua a negare l’evidenza persino dopo una condanna a sette anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa… Ma anche l’ex sottosegretario all’economia Nicola Cosentino, che il 14 luglio è stato persino costretto a dimettersi, cosa che di questi tempi, in Italia, non è da considerarsi troppo scontata. Ciononostante la super votata maggioranza parlamentare non ha autorizzato l’arresto del loro caro amico, che infondo è solo accusato di complicità con la Camorra… Che sarà mai??

Nel frattempo il piccolo Cappellacci e la sua “cricca” sono riusciti a trascinare nella melma persino un investimento importante e intelligente come quello sull’energia eolica.
Gli imprenditori Flavio Carboni e Arcangelo Martino, l’ex dirigente democristiano Pasquale Lombardi e il coordinatore nazionale del PDL Denis Verdini. “Non c’era livello della magistratura a cui la “banda” non potesse arrivare – scrive Emilio Randacio su La Repubblica online del 23 luglio. – Promuovere magistrati, fermare processi, condizionare i giudici, tutto pur di raggiungere i propri scopi. E, quando Carboni e i suoi complici decidono di far salire Nicola Cosentino sullo scranno più alto della Regione Campania, gli appoggi vengono attivati”.

Sembra che assieme al tappo della BP nel Golfo del Messico sia partito pure quello che da tempo tratteneva, tra una perdita e l’altra, la fuoriuscita di questa oscura fiumana di scandali…
Nel frattempo l’uomo più perseguitato della storia continua a puntare il dito contro la magistratura rossa e l’opposizione comunista, affermando di voler “restare fuori dalle artificiose burrasche scatenate dalla vecchia politica politicante e da quanti, in maniera irresponsabile, giocano una partita personale a svantaggio dell’interesse di tutti. Il clima giacobino e giustizialista nel quale alcuni stanno cercando di far ripiombare il nostro paese non è certo d’aiuto”.

Da Milano1 a Milano2 e poi dalla P2 alla P3… Perché le uniche cose in cui l’Italia riesce ad andare avanti sembrano essere le cifre delle vergogne che continuano a coinvolgerla…

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La “presunzione” d’innocenza del Senatore Marcello Dell’Utri

[stextbox id=”custom” big=”true”] L’articolo di oggi è scritto da Richpoly, laureato in giurisprudenza in attesa di sostenere il concorso in magistratura. Lo spunto per questo articolo è nato da una precisa domanda: “Perchè il senatore Dell’Utri nonostante una condanna a sette anni non è attualmente in carcere ?” . Scopriamolo nel post di oggi.[/stextbox]

L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Questo è il così detto principio della “presunzione d’innocenza” sancito all’art. 27 della Costituzione Italiana.

Tale disposizione, oggi più attuale che mai alla luce delle diverse vicende che hanno visto il senatore Dell’Utri al centro di acceso dibattito dal profilo giuridico ed istituzionale, afferma che l’ imputato è innocente fino a prova contraria e va letta in combinato disposto con un altro principio alla base del nostro ordinamento, quello per cui l’imputato, per essere condannato, deve essere ritenuto colpevole “oltre ogni ragionevole dubbio”. L’onere della prova, cioè la dimostrazione della colpevolezza dell’imputato, spetta alla pubblica accusa, rappresentata nel processo penale dal pubblico ministero. Non è quindi l’imputato a dover dimostrare la sua innocenza ma, al contrario, è compito degli accusatori dimostrarne la colpa. L’inciso costituzionale spiega  che  l’imputato è innocente fino ad una sentenza di condanna che sia passata in giudicato. La sentenza passa in giudicato quando sono esperiti tutti e tre i gradi di giudizio: il primo dinanzi al Tribunale (nei casi di crimini più efferati la Corte d’Assise), il secondo dinanzi la Corte di Appello (Corte d’Assise d’Appello nei casi di competenza della Corte d’Assise), e l’ultimo in Cassazione.

Logica conseguenza della presunzione d’innocenza è l’affermazione per cui, prima della definizione del processo in sede di Cassazione, non è possibile sottoporre l’imputato alla pena detentiva della reclusione. Questo ci permette di capire il motivo per cui Dell’Utri, nonostante abbia ricevuto due condanne, in altrettanti gradi di giudizio (Tribunale e Corte di Appello), non stia scontando in carcere la pena inflittagli. D’altronde, sarebbe contraddittorio affermare come presunzione assoluta (juris et de jure) l’innocenza di un soggetto e, contemporaneamente, sottoporlo ad una pena detentiva che lo privi della libertà personale.

Questo è il motivo per cui una sentenza di condanna emessa in primo o secondo grado non è idonea a sottoporre il condannato alla pena in concreto stabilita dal giudice competente. Come detto, soltanto al momento della definitività della sentenza di condanna la pena verrà effettivamente scontata dal condannato.

Sarà, dunque, ben possibile, come accaduto nel caso del Senatore dell’Utri, che un giudice di primo grado condanni a 9 anni di reclusione, che, poi, il giudice di appello riduca (ed in determinati casi aumenti) a 7, e che alla fine la Cassazione modifichi ulteriormente la pena in concreto da irrogare all’imputato.

In particolare, la Corte di Appello di Palermo ha ritenuto colpevole per concorso esterno in associazione mafiosa, e cioè ha ritenuto provato che Dell’Utri intrattenne stretti rapporti con la vecchia mafia di Stefano Bontade e poi, dopo il 1980, con gli uomini di Totò Riina e Bernardo Provenzano, almeno fino alla stagione delle stragi di Falcone e Borsellino nel 1992. Il senatore di Forza Italia è stato anche condannato all’interdizione perpetua dai pubblici uffici.

I giudici sono rimasti in camera di consiglio per sei giorni. Il procuratore generale Nino Gatto aveva chiesto la condanna a 11 anni. La Corte ha invece assolto Dell’Utri limitatamente alle condotte contestate come commesse in epoca successiva al 1992 perché «il fatto non sussiste», riducendo così la pena da nove a sette anni di reclusione.

Il nome di Marcello Dell’Utri fu fatto per la prima volta nel 1994 dal pentito Salvatore Cancemi, il quale lo indicò come un vero e proprio anello di congiunzione tra il dorato mondo dell’alta finanza lombarda, e i più loschi ambienti malavitosi di Palermo, città in cui è nato l’11 settembre 1941. Secondo il pentito, seguito successivamente a ruota da altri collaboratori di giustizia, Marcello Dell’Utri sarebbe stato una longa manus di Cosa Nostra, interessata ad entrare nei grandi affari edilizi lombardi come la costruzione di Milano 2 e, successivamente, il tramite per consentire alla criminalità organizzata di dettare le linee di un progetto politico in embrione già dall’autunno del ’93: Forza Italia.

Il processo di primo grado, iniziato nel 1997, si concluse l’11 dicembre del 2004, dopo 257 udienze, e con una condanna a 9 anni di reclusione. In quella sentenza il senatore del Pdl veniva indicato come “cerniera fra potere mafioso, politico ed economico“: il punto di partenza, insomma, da cui è iniziato il processo d’appello cominciato quattro anni fa, e in cui la pubblica accusa ha chiesto una condanna ad 11 anni di reclusione. Un processo lungo quello a Dell’Utri, infatti, quando ormai il dibattimento era ad un passo, i giudici, presieduti da Claudio Dall’Acqua, hanno acconsentito all’audizione in aula del pentito Gaspare Spatuzza, tra i principali accusatori di Dell’Utri, e dei fratelli Graviano, ex capimafia di Brancaccio, che secondo l’accusa avrebbero avuto legami con il senatore.

Tornando al nostro ordinamento, questo può senza dubbio considerarsi attento alle vicissitudini di una società dalla moralità precaria, mutevole e violenta, pone a tale principio un’unica, ma rilevantissima, eccezione. E’ prevista, infatti, la possibilità di irrogare la misura cautelare della custodia cautelare in carcere, ovviamente qualora ricorrano determinati e rigorosi requisiti espressamente previsti dal codice penale. Tale misura cautelare può essere disposta ai danni dell’indagato (così è chiamato il soggetto nei confronti del quale sono svolte le indagini, soggetto che assume l’appellativo di “imputato” soltanto al momento in cui il pubblico ministero formula l’imputazione nei suoi confronti, al termine delle indagini) già durante la fase delle indagini preliminari, fase che costituisce il momento iniziale del procedimento penale, secondo soltanto alla notizia di reato che consiste nella acquisizione del fatto – reato da parte della polizia giudiziaria o dal pubblico ministero. La misura cautelare, quindi, può perdurare per tutta la durata del processo, purché non ne vengano travalicati i limiti temporali stabiliti espressamente dalle singole norme del codice penale, termini che, comunque e in nessun caso (neanche nei casi di crimini più crudeli) può superare i 6 anni.

Da ciò si evince come, in un sistema processuale come quello italiano in cui i processi durano in media più di 6 anni (per usare un eufemismo considerato il fatto che spesso superano ampiamente tale termine), sia praticamente impossibile immaginare che un soggetto possa subire la pena detentiva dall’inizio del processo sino alla sua definizione in sede di Cassazione.

Sostanziali sono le differenze tra la misura cautelare e la pena detentiva. Per citare la distinzione più evidente basta sottolineare come la misura cautelare viene applicata in una fase in cui non è stata aperta la fase istruttoria (quando cioè vengono introdotte le prove nel processo), al contrario della pena detentiva che viene inflitta proprio in seguito alla fase in questione. Essendo l’adempimento dell’attività probatoria non un onere dell’imputato bensì un suo diritto, non possono esser nei suoi confronti rivolti effetti eccessivamente afflittivi trovandoci in una fase antecedente a quella entro la quale dovrà essere dall’accusa dimostrata la sua penale responsabilità. La pena detentiva, al contrario, viene applicata ad un soggetto nei cui confronti è già stata accertata la responsabilità in ordine ai fatti contestatigli. Viene da sé, quindi, che un imputato, anche se in custodia cautelare, non può essere trattato alla stregua di un normale condannato e che i limiti temporali previsti per l’applicazione delle misure in questione sono ampiamente giustificati in un’ottica costituzionale e garantista.

Il lettore attento ora si chiederà perché il senatore Dell’Utri non abbia scontato o non stia scontando la misura cautelare della custodia in carcere. La risposta è più semplice del previsto. Infatti, ammesso e non concesso che il Pubblico Ministero abbia chiesto a suo tempo la custodia in carcere di Dell’Utri, i Giudici non hanno ritenuto che vi fosse la prova che lo stesso non potesse né fuggire né reiterare il reato (presupposti espressamente richiesti dalla legge per applicare la misura cautelare, oltre ai c.d. gravi indizi di colpevolezza). Si tenga anche presente che Dell’Utri è senatore dal 2001 e quindi per essere arrestato e sottoposto a misura cautelare, per qualsiasi motivo, ad esclusione di una sentenza di condanna definitiva, ci vorrebbe comunque l’autorizzazione del Senato ai sensi dell’art. 69 della Costituzione.

Se ci sarà la condanna anche in Cassazione, invece, Dell’Utri dovrà scontare in carcere la pena inflittagli. L’unica immaginabile alternativa è che la Cassazione annulli la condanna senza rinvio a nuovo Giudice, oppure che il Governo elimini il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, cosa piuttosto assurda, ma non del tutto inimmaginabile.

Concludo questi pochi cenni di un mondo, tanto interminabile quanto affascinante, quale è  l’ordinamento processuale penale con una riflessione politico sociale che prende spunto dalla necessità di ricordare come la Costituzione sia il fondamento della Repubblica. La commissione di reati da parte di uomini che ricoprono cariche rappresentative ed istituzionali è sintomatica dell’estraneità dello Stato rispetto al popolo, dell’esistenza di una classe barricata a difesa dei propri privilegi, dei propri statuti, del proliferare di corporazioni schiave della criminalità organizzata e governate da leggi proprie, sconosciute al “popolo sovrano”. Qualora la Carta Costituzionale cada dal cuore degli italiani o qualora non venga rispettata dalle più alte cariche politiche, allora verranno meno le fondamenta sulle quali sono ancorate le nostre libertà e costruiti i nostri sogni.

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Dell'Utri: "Faccio il senatore soltanto per difendermi"

Sono di domenica 18 aprile le dichiarazioni di Marcello Dell’Utri: “Faccio il senatore solo per difendermi”.
Quindi, fatemi capire: Dell’Utri percepisce 13.000 euro di stipendio dallo Stato solo per potersi difendere in tribunale dalle accuse per concorso esterno in associazione mafiosa?
Detta altrimenti: noi stiamo pagando uno stipendio che non percepisce un operaio in un anno per salvare la pelle al migliore amico del nostro Presidente del Consiglio?
È di qualche giorno fa la notizia di un operaio residente nel comune di Bologna che si è tolto la vita, dopo essersi visto togliere la cassa integrazione di 800 euro mensili.
Lui , come tanti altri che in questi mesi hanno scelto di farla finita piuttosto che subire l’umiliazione di non poter più provvedere alle proprie famiglie, ha pagato fino all’ultimo le tasse necessarie agli stipendi per personaggi come Dell’Utri.
In Italia le finanziarie tagliano soldi all’istruzione, alla sanità, alla cultura, alla ricerca, alle pensioni . I comuni non sanno come mandare avanti servizi basilari e dove trovare i fondi per il materiale didattico delle scuole.
Siamo uno dei pochi Paesi europei in cui i libri della scuola si pagano dal primo all’ultimo degli anni d’istruzione obbligatoria, mentre nei Paesi anglosassoni e scandinavi l’istruzione è totalmente gratuita e di livelli eccelsi. Da noi si giustifica la precarietà dell’istruzione pubblica con la mancanza di risorse.
Da noi, si lasciano senza pranzo i figli di famiglie disagiate… Nelle scuole pubbliche.
Da noi, gli altri genitori giustificano scelte come queste con frasi del tipo: “ Se non hanno i soldi per pagare la mensa, che li tengano a casa, i figli” (Ah, i valori cristiani della solidarietà…!).
Da noi, si accetta però che gli stipendi di parlamentari e senatori siano tra i più alti d’Europa, mentre gli stipendi della gente comune sono tra i più bassi.
Da noi si accetta che i propri soldi versati in tasse, che dovrebbero servire per i NOSTRI servizi, servano invece a permettere a persone come Dell’Utri di difendersi in tribunale.
Chi di voi potrebbe fare lo stesso senza essere amico del Presidente del Consiglio?
Ma soprattutto, perché ancora lo accettiamo?

L’articolo sul Riformista.