Essere donna nel mondo

Oggi è l’8 marzo. Del 2012.

In Afghanistan il 90% delle donne è analfabeta e viene quotidianamente privato dei più elementari diritti. Violenza domestica, abusi, rapimenti, matrimoni forzati, stupri ed esclusione dalla vita pubblica sono all’ordine del giorno. Una condizione che determina un’allarmante crescita dei suicidi fra le ragazze. (Fonte: www.rawa.org).

Un proverbio dell’Arabia Saudita recita “Una ragazza non possiede altro che il suo velo e la sua tomba”; in un territorio in cui le donne non possono andare in bicicletta nelle strade pubbliche né guidare un’automobile. In uno stato dove la “Commissione per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio” – ovvero la polizia religiosa che controlla il rispetto delle norme della Sharia – ha il diritto di decidere l’abbigliamento di una donna e persino di ordinarle di coprirsi gli occhi qualora risultassero troppo sensuali. (fonte).

In Brasile l’organizzazione CFEMEA denuncia che ogni 15 secondi una donna è vittima di un’aggressione, e in Nicaragua, tra il 1998 e il 2008, sono stati denunciati oltre 14.000 casi di violenza sessuale, due terzi dei quali ai danni di ragazze che avevano meno di 17 anni, dove i carnefici sono perlopiù familiari o conoscenti. (Fonte: www.amnesty.it). Nell’intera America Latina inoltre, circa 5 milioni di donne sono oggetto di tratta nei fiorenti mercati intra-regionali per il commercio di persone. (Fonte: www.deltanews.net).

In Senegal migliaia di donne subiscono la mutilazione genitale femminile; la mortalità materno-infantile è altissima e circa il 70% delle studentesse abbandonano la scuola a causa di maternità e matrimoni precoci (Fonte: http://www.cospe.org).

La tradizionale pratica della mutilazione genitale femminile viene infatti praticata in 28 paesi dell’Africa sub-sahariana, ledendo fortemente la salute psichica e fisica di coloro che la subiscono: circa 130 milioni di donne nel mondo, con 3 milioni di bambine a rischio ogni anno secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità. (Fonte: http://www.wikipedia.org).

Nel libro “Schiave”, di Anna Pozzi, viene poi denunciata la tratta di donne provenienti soprattutto dall’Africa sub-sahariana, destinate a incrementare un traffico di prostituzione che ogni anno, secondo le Nazioni Unite, frutta alle organizzazioni criminali circa 32 miliardi di dollari. Giovani strappate alle loro famiglie e costrette a prostituirsi dietro la minaccia di violenze fisiche e psicologiche.

In Europa una donna su quattro è vittima di violenze (fonte), mentre in Italia una recente sentenza ha riconosciuto delle attenuanti a un uomo che aveva stuprato una ragazza minacciandola con un’ascia, in quanto la vittima “sapeva che l’uomo aveva un debole per lei”. In un paese in cui sono stati accertati 651 femminicidi in cinque anni, dal 2007 al 2011, di cui novantadue nei primi nove mesi dello scorso anno. (fonte).

Violenze e soprusi a cui si aggiungono le discriminazioni in ambito sociale e lavorativo. Considerando l’attività complessiva svolta dalle donne, si calcola che in Africa, Asia e America latina esse lavorino in media il 30% più degli uomini, senza che il loro lavoro sia proporzionalmente remunerato né riconosciuto nel suo reale valore. 
E anche nell’Unione Europea si calcola che le donne guadagnino in media, a parità di lavoro, un quarto meno degli uomini: in Grecia, il salario femminile è in media il 68% di quello maschile; in Olanda e Portogallo rispettivamente il 70,6% e il 71,7%; in Belgio, l’83,2%; in Svezia, l’87%. (fonte).

E si potrebbe continuare coi tassi d’occupazione femminile, la rappresentanza politica nei parlamenti, o anche solo accendere la tv e sbirciare un cartellone pubblicitario per rendersi ancora più conto di quanto sia importante oggi celebrare le donne e ricordarsi di quanta strada ci sia ancora da fare…

Un maschilismo latente che domina anche le grandi religioni monoteiste che hanno plasmato le culture a loro immagine e somiglianza. Dove la Bibbia recita “Poi disse alla donna: moltiplicherò le doglie delle tue gravidanze; partorirai i figli nel dolore, tuttavia ti sentirai attratta con ardore verso tuo marito, ed egli dominerà su di te” (Libro della Genesi – Gen 3, 16), mentre nella Sura IV del Corano, il versetto 34 afferma: “Gli uomini sono preposti alle donne, a causa della preferenza che Allah concede agli uni rispetto alle altre e perché spendono [per esse] i loro beni. Le [donne] virtuose sono le devote, che proteggono nel segreto quello che Allah ha preservato. Ammonite quelle di cui temete l’insubordinazione, lasciatele sole nei loro letti, battetele. Se poi vi obbediscono, non fate più nulla contro di esse”.

Giusto per ribadire come cambino i continenti, cambino le religioni e cambiano i tempi, mentre la complessità dell’essere donna rimane una triste costante del genere umano.

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Lettera al femminile

Non sento di esagerare quando affermo che la condizione svantaggiata della donna è il dramma dei drammi, il più grande che esista da secoli.

Dalla notte dei tempi la donna si è dovuta adattare a una società di stampo patriarcale. Per secoli si è fatto in modo di arginare la presenza, su questo pianeta, di un essere straordinario come la donna. La si è imprigionata, ridotta al silenzio, bruciata, venduta. La si è addomesticata, demonizzata, si è finto di darle importanza, la si è ridicolizzata. La donna è stata definita inferiore così tante volte, nelle parole e nei fatti, che alla fine se n’è convinta. Impaurita e inconsapevole ha lasciato che il mondo fosse retto da una sola parte dell’umanità. Ogni campo dello scibile umano è occupato dagli uomini: l’economia, la politica, la scienza, la religione sono i primi esempi.

Essendo rimasti da soli, gli uomini hanno creato una società basata sul conflitto e sulla competizione. La terra ha cominciato a essere sfruttata, le guerre si sono susseguite. Di questo genere di economia vediamo ormai i risultati. La società però non può continuare a reggersi su un piede solo, e se osserviamo bene stiamo già notando i primi segni di cedimento di un siffatto sistema.

una donna soldato
velina in tv

La donna ha cercato di riconquistare lo spazio perduto, spesso tradendo sé stessa. È arrivata al punto di imbracciare un fucile o di dare il suo assenso a una guerra. “Se gli uomini rispettano solo gli uomini” era il suo pensiero “l’unico modo per smettere di essere invisibile è essere come un uomo!” Ma una donna non è un uomo. Non possiamo adattarci a essere quello che non siamo.

Forse allora siamo nate per essere semplicemente belle? Forse è la nostra avvenenza la vera chiave d’accesso a questo mondo? Dimentiche di noi stesse, in cerca di approvazione da parte di un mondo che non ci considera più di tanto, andiamo a sgambettare in tv o facciamo grandi scalate sociali sfruttando il nostro corpo. Ma alla fine ci coglie una profonda tristezza e un senso di vuoto. Sentendoci sfruttate, chiediamo all’uomo di cambiare, di risolvere la situazione, senza renderci conto che siamo noi che ci dobbiamo svegliare.

Sfruttando la nostra intelligenza, abbiamo tentato la via della vendetta. Abbiamo indossato dei tailleur e abbiamo cominciato a urlare ordini agli uomini, nostri sottoposti. “Assaggia, uomo odioso, il sapore della schiavitù!”, abbiamo pensato con soddisfazione.

Statuetta femminile risalente al neolitico

Ma io credo che alla donna non interessi davvero un potere di tipo dispotico. Niente paura, uomini, non credo che ci interessi davvero diventare le vostre tiranne. Una donna anziana un giorno mi disse: “in grembo portiamo sia maschi che femmine, come possiamo fare la differenza?”.

Non ci resta che tornare a noi stesse, a quello che siamo realmente. Ad esempio potremmo ascoltare con maggiore attenzione il nostro corpo, questa magnifica orchestra che ogni mese elimina il vecchio per salutare il nuovo, che cresce la vita, che produce nutrimento. Potremmo finalmente liberarci da questo odio millenario e dai nostri numerosi complessi. Capire che non siamo semplicemente “sentimentali”, bensì compassionevoli. Che non siamo “isteriche” ma piene di energie che chiedono di essere liberate. Riconquistiamo un nostro punto di vista. Come sarebbe l’economia per una donna? Quale tipo di saggezza potremmo produrre? Come sarebbe l’architettura femminile? E la politica femminile? E l’educazione femminile? E la medicina femminile?

Care donne, dovremmo davvero valorizzarci, riconquistare amor proprio e consapevolezza. Sarebbe bello che noi donne cominciassimo a imparare da altre donne, e che anche gli uomini possano imparare da noi, esprimendo così le loro capacità in modo nuovo e smettendo di odiare ciò che in loro ci somiglia.

Infine, di una cosa sono convinta: se questo mondo è davvero entrato in un processo di cambiamento, quest’ultimo non potrà che passare attraverso le donne. E sarebbe un cambiamento davvero profondo ed epocale, che nessuna rivoluzione sarebbe in grado di eguagliare.

Buon lavoro, donne.

 

Alcune letture:

“Le dee viventi”, di Marija Gimbutas, edizioni Medusa.

“La dea bianca”, di Robert Graves,  Adelphi.

“Le nebbie di Avalon” di Marion Zimmer Bradley, edizioni Nord.

Il surrealismo magico di Leonora e Remedios

"I cercatori", Leonora Carrington

Ritengo ingiusta la poca attenzione tributata fuori dal Messico a due pittrici come Remedios Varo e Leonora Carrington. Spagnola la prima, inglese la seconda, entrambe si sono ritrovate, a causa degli avvenimenti politici e culturali del tempo, a vivere in Messico, non senza aver prima conosciuto quella che allora veniva considerata la Mecca dell’arte, Parigi.

Parlare delle loro biografie sarebbe un dilungarsi, nonostante le loro vite siano state oltremodo ricche di avvenimenti. Ciò che mi preme di più è descriverne l’opera.

I quadri di Remedios Varo e Leonora Carrington non sono propriamente simili, ma non si può negare di vedere in loro un’aria comune. Erano amiche, dipingevano spesso assieme e, come è naturale, la loro pittura, più che da un’imitazione reciproca, nasceva da una naturale osmosi di sentimenti e lunghi dialoghi.

"La roulotte", Remedios Varo

Siamo in pieno surrealismo, ma un surrealismo particolare a mio avviso: non la pura dissonanza di oggetti incoerenti, il semplice automatismo, il riferimento alle teorie freudiane, i rimandi al sesso come forza propulsiva, temi allora molto cari. Vi è qui di più, o meglio, dell’altro. Soprattutto nella Carrington, notiamo un’immersione in qualcosa di ancor più vasto dell’individuo stesso, dei suoi sogni e delle sue immagini personali. Amante del foklore inglese e celtico, nei suoi quadri si svela un mondo onirico dove fluttuano esseri mitici come chimere e dei egizi, figure dei tarocchi, paesaggi lunari. In Remedios Varo c’è una maggiore attenzione all’autobiografia, ma anch’essa si inserisce in una mitologia personale abitata da figure diafane e antiche che si muovono su incantevoli mezzi di trasporto quali complesse biciclette o piccole barche capaci di contenere a malapena una persona. Ogni suo quadro rivela particolari sempre più minuti man mano che lo si osserva, come se si entrasse gradualmente nell’interiorità dell’artista.  Se nei quadri di Carrington c’è un maggior senso di collettività legato al folklore, in quelli di Varo si percepisce un senso di solitudine, spezzato ogni tanto da un tocco di ironia, come nell’opera “visita al chirurgo plastico”. Queste due donne paiono venire da un mondo dove maghi, esseri imperscrutabili e animali incantati sono lì per mostrarci, nei loro sguardi enigmatici, i misteri della vita. La tecnica è raffinata: si utilizzano pennelli piccoli e tratti regolari che portano l’immagine ad assomigliare, soprattutto in Varo, ad antiche tempere o a miniature. E il fatto di essere donne conta: nei loro quadri, soprattutto in quelli di Varo, fanno capolino lune, case, gomitoli, come se si sentisse il bisogno di lasciare un segno particolare in un mondo, quello dell’arte surrealista, ancora completamente colonizzato dall’uomo. Nel surrealismo, infatti, alla donna è affidato tutto sommato un ruolo infantile, o per lo più quello di musa (mai creatrice). Le due artiste deludono questo copione, muovendosi in silenzio ma con sicurezza nel mondo creativo, rifiutandosi di spiegare le immagini e lasciando che siano loro a parlare. Infine, nonostante le differenze, si percepisce la spinta spirituale di entrambe, che si traduce in un sincero sforzo di andare alla fonte (“Esplorazione della fonte dell’Orinoco” e “La chiamata” di Remedios Varo)  o di incamminarsi in un labirinto verso un ipotetico centro (“Labirinto”, Leonora Carrington), in una paziente alchimia, un continuo viaggio alla scoperta di paesaggi interiori.

Remedios Varo si spense ancora giovane nel 1963. Leonora Carrington ci ha lasciati quest’anno, all’età di 94 anni.

I quadri di queste due maestre dovrebbero comparire accanto a quelli Magritte, Dalì, Tanguy ed Ernst nelle monografie. Spetta a noi recuperare appieno le magiche visioni di queste due donne. Vogliamo cominciare noi, a partire da questo articolo, a dare loro il tributo che meritano?

"Viaggio alla fonte dell'Orinoco", Remedios Varo
"Il labirinto", Leonora Carrington.

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Bibliografia
“Remedios Varo, la magia dello sguardo”, Diego Sileo, Selene Edizioni.
“Il cornetto acustico” di Leonora Carrington, Adelphi.
“Remedios Varo, unexpected journey”, di J. A. Kaplan, Abbeville Press.
“Leonora Carrington, surrealism, alchemy, art”, di Susan Aberth, Lund Humphries Pub Ltd.
“Surreal friends” di S. M. Kusunoki, A. Rodriguez Rivera, S. Van Raay, J. Moorhead, Lund Humphries Pub Ltd.

Perché non dovremmo vietare il burqa

Martha Nussbaum

Mi è sempre piaciuta Martha Nussbaum. In foto sembra una bellissima signora perfettamente anglosassone, e la sua scrittura è sempre lucida e razionalmente spiazzante. D’altra parte è uno dei maggiori filosofi viventi e una pensatrice a cui non servono dotte elucubrazioni e pensose citazioni per trasmettere la profondità del proprio pensiero. Qualche giorno fa ho avuto la fortuna di leggere un suo intervento sul New York Times dal titolo “Minacce velate”, ripubblicato da Internazionale.

Con questo articolo intendo riproporvi il succo della sua riflessione perché fa pensare e, soprattutto su certi temi, pensare è necessario, prima di parlare o, peggio, di agire.

Il tema è quello della proibizione del burqa, oggetto di interventi legislativi in molti paesi occidentali. La questione ha a che fare con il tema della libertà nelle nostre società dove la legislazione, non ce lo scordiamo, è espressione del pensiero di una maggioranza ma dove la tutela dei pensieri e delle azioni minoritarie è la cartina tornasole della loro credibilità democratica.

Dice Nussbaum che i primi due argomenti usati dai proibizionisti sono: (1) “il volto deve essere lasciato scoperto per motivi di sicurezza“; (2) “la copertura del viso impedisce la reciprocità e la relazione“. Coerenza vorrebbe che tali affermazioni valessero anche per chi si copre per il freddo gelido dell’inverno o per chi deve coprirsi per motivi professionali. Logica vorrebbe che il divieto valesse sempre, e invece così non è, perché il problema non è il volto coperto ma il fatto che quel volto appartenga a persone musulmane. Una terza argomentazione porta a proprio sostegno il fatto che (3) “il burqa sarebbe un segno della dominazione maschile che concepisce la donna come oggetto“. Sempre coerenza vorrebbe che anche buona parte della pubblicità, la chirurgia estetica e i jeans attillati venissero banditi per legge, mentre sono ampiamente tollerati. Il problema del sessismo esiste e permea la nostra quotidianità, ma il burqa sembra non essere il primo dei problemi su questo versante. Vi è poi l’argomento della costrizione (4). Tale argomento però mal si presta a una generalizzazione, perché sarebbe necessario verificare caso per caso se questo corrisponda al vero e, soprattutto, perché la non costrizione presupporrebbe una reale possibilità di scelta e consapevolezza. Quest’ultima non spunterebbe magicamente da una legge che imponesse di non indossare il burqa, ma dallo sviluppo di istruzione e opportunità professionali e sociali e, quindi, da serie politiche utili non solo alle donne musulmane ma anche a tutte coloro che subiscono, ogni giorno, forme di coercizione e violenza nelle nostre famiglie “senza veli”. Infine, vi è l’argomento estetico (5): il burqa è scomodo, impedisce liberi movimenti. Beh, che dire dei tacchi a spillo?

Il nocciolo della riflessione di Nussbaum è che una società democratica e liberale dovrebbe affrontare il tema centrale della libertà di scelta e di coscienza partendo dalla rimozione degli ostacoli economici, culturali e sociali, che ne impediscono l’esercizio, e non dalla proibizione di forme espressive esteriori. In questo senso non è incoerente la sua giustificazione della proibizione del velo in Turchia. Lì la ragione che ha portato, tempo fa, a quella decisione era la difesa della minoranza di donne che non portandolo erano oggetto di violenza e discriminazione. Con quell’intervento legislativo si è protetta una minoranza nel nome di un interesse pubblico più ampio. Il problema non è il velo ma la possibilità di ognuno di cercare la propria strada verso la realizzazione personale: in democrazia lo si affronta con l’esempio e la persuasione, non con la restrizione degli spazi di libertà.

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alieNazione: la minchiocrazia.

15 dicembre 1992: tangentopoli investe ufficialmente Bettino Craxi, con il primo avviso di garanzia emesso dalla procura di Milano.

29 aprile 1993: Craxi si presenta alla Camera dei deputati dichiarandosi in sostanza né più né meno colpevole di tutti gli altri. Le tangenti erano le fondamenta dell’intero sistema partitico, necessarie per le loro attività. La Camera nega l’autorizzazione a procedere.

30 aprile 1993: si tengono diversi cortei in tutta Italia per manifestare il dissenso e la riprovazione per la decisione della Camera. Pds, Msi e Lega nord i partiti dietro le proteste.  In coincidenza della fine del comizio del Pds a piazza Navona, una folla cominciò a confluire verso l’Hotel Raphael, residenza romana di Craxi. Egli uscendo dall’albergo, fu colpito da un fitto lancio di oggetti e di monetine, bersagliato di insulti e canti di sberleffo. Fu costretto a una vera e propria fuga.

18 maggio 1994:  Craxi , non essendo più parlamentare ed esposto al rischio di essere arrestato, fugge in Tunisia, a Hammamet. Ivi morirà il 19 gennaio di sei anni dopo.

Da quell’anno Berlusconi sale al governo a più riprese fino a oggi.  Caso unico nelle democrazie occidentali, un imprenditore titolare di tv, case editrici, giornali, negozi ottiene numerosi successi politici. Alla base dei suoi trionfi è la trasformazione della nostra società,  una società di consumatori teledipendenti. L’Italia è alimentata da continue divisioni culturali e politiche, che è capace di mettere da parte “all’italiana”, ad esempio per le partite di calcio. Ma soprattutto è il conformismo al pensiero liberista il filo conduttore che va da Nord a Sud. La mercificazione, essenza intellettuale, pietrifica qualsiasi cosa in denaro: paradossalmente anche l’aria che respiriamo ha un peso specifico economico, quando andiamo a comprare un’auto o un frigorifero.

Non ci deve meravigliare che il nostro paese, paese della moda, segua a sua volta una moda del momento. Il berlusconismo è una moda di massa da tanti anni, un po’ in crisi adesso che  la pressione dell’onta mondiale è palpabile. L’anti-berlusconismo è l’anti-moda più in auge del momento: si può sostenere che il no-b-day abbia segnato la linea di partenza. E ancora gli scandali di Berlusconi (e quindi egli stesso) sono gl’input alla manifestazione delle donne di domenica scorsa. Perché è vero che improvvisamente le donne si sono risvegliate dal sonno di decenni di malcostume italiano. La mercificazione della donna – le attuali e inquietanti parole di Sara Tommasi “sono imprenditrice di me stessa” inducono a una seria presa di coscienza –  non la scopriamo ora con Berlusconi, care donne. Questa ipocrisia di fondo è intollerabile. Avete concesso per anni e anni  a donne di posare nude in calendari, per soldi. La carnalità ha prevalso sulla spiritualità: non c’è più il necessario equilibrio per una vita di convivenza civile. Non c’è più fantasia, né talento, né pudore: per entrare nel mondo dello spettacolo non avete gridato, ma molto spesso chinato la testa… La pratica se è diffusa lo è proprio per questo. Dallo spettacolo, ad altri lavori: non mi meraviglierei neppure per un posticino da precario. Perché avete lasciato che i vostri corpi si piegassero alle logiche dell’opportunismo? Perché il culo di Ruby è diventato un oggetto? I calendari, gli spot, le foto e il “sex for success”  non vi hanno mai indignato in questi lunghissimi anni di berlusconismo? Non bisogna cercare un capro espiatorio, poiché in tal modo i fatti passano in oblio e ciò che è riemerso a galla, viene sommerso nel silenzio. Dopo Craxi, il “martire” di tangentopoli, si è continuato a rubare, e anche di più.

Ciò che svilisce il tema delicato delle donne è l’assenza di un dibattito serio. Non si può affrontare a colpi di foto e slogan un argomento così importante:  il riferimento è esplicito alle “minkioiniziative“* di Repubblica. Basta una posa, possibilmente artistica in bianco e nero o seppia, con uno slogan ridicolo, e  la protesta è servita. È o non è un meschino oltraggio all’intelligenza di voi donne? Il successo della manifestazione si spiega in parte con questa moda delle foto: le gallery di protesta – ah ah! – sono numerose, e su Facebook, in quella bella giornata di domenica di sole non mancano foto delle manifestazioni di volti sorridenti, festanti e, ancora una volta, in bella posa. A chi fate paura con “People have the power”?

Temi altrettanto importanti come il precariato non fanno moda nei salotti chic della sinistra. Ecco, perché non si fanno manifestazioni in tal senso? Il povero precario è triste, non fa una moda di tendenza e fa comodo anche alla sinistra. La fenomenologia del popolo viola e della protesta delle donne sono quindi propri di un conformismo speculare al berlusconismo: ossia di idee vuote del populismo, privi di essenza sostanziale. Berlusconi chissà se cadrà, ma noi poveri italiani siamo sottoposti allo sberleffo di tutto il mondo. Indelebile. Ma le minkiate*, si sa, vanno di moda e fanno successo.

*minkiocrazia, minkioiniziative: la “k” è ormai un fattore estetico-ortografico ben conosciuto e, per quanto osceno e deprimente, rende bene l’idea di una cultura e di una generazione. Nel nostro utilizzo, lo intendiamo derivante dal neologismo “bimbominkia”.

Rileggendo Accabadora

[stextbox id=”custom” big=”true”]Una nuova autrice su Camminando Scalzi!

Vi presentiamo Silvana Cerruti. All’interno dello SPI CGIL si occupa del  coordinamento donne pensionate e di Laboratori sulla memoria per rendere fruibili i ricordi degli anziani alle nuove generazioni. Uno dei suoi progetti “Il Laboratori delle memorie al femminile” ha vinto il premio Generazioni indetto da Liberetà mensile dello SPI CGIL . Il libro che raccoglie le  memorie si intitola “La guerra all’improvviso”.

L’articolo che state per leggere è una riflessione sul libro Accabadora, scaturita da una rilettura fatta una domenica pomeriggio….[/stextbox]

Michela Murgia, autrice dello splendido romanzo d’esordio Accabadora (Einaudi) ha vinto il Premio Campiello 2010, con 119 voti su 300.

Accabadora. ‘Acabar’, in spagnolo, significa finire. E in sardo accabadora è colei che finisce. Maria, bambina, vive in casa dell’anziana sarta Tzia Bonaria Urrai e tutti sanno a Soreni che, pur non essendo parenti, la piccola è destinata diventare la sua erede. Maria è spaventata dalle uscite notturne della vecchia vestita di nero, ma capirà che la sua è una pazienza quasi millenaria delle cose della vita e della morte. Il suo compito è quello di entrare nelle case per portare una morte pietosa: il gesto finale e amorevole dell’accabadora, l’ultima madre.[1]

Rileggo Accabadora. Ne voglio discutere con un gruppo di pensionate al “Posto delle fragole” di Riccione, il luogo in cui si incontra il coordinamento donne dello SPI.

Eutanasia –  testamento biologico – Eluana… sono rimasta folgorata quando ho capito la missione  di  Tzia Bonaria. Per questo desidero condurre una discussione sull’argomento e su tutte le implicazioni morali, etiche e sociali  che lo caratterizzano, partendo proprio da questo libro e aiutata dalla scrittura asciutta e incisiva di una grande Michela Murgia.

Continuare a occuparci dei grandi temi che dividono la politica  è indispensabile, e soprattutto non si deve fare l’errore di accantonarli  per seguire lo sfarfallìo mediatico del momento.

Prendo appunti perché  una parte di me rilegge il libro e l’altra continua a essere impantanata nello schifo dell’attualità che mi assedia, ed ecco a pagina 11 i pensieri si confondo e si uniscono:

Maria, ragazzina osserva in silenzio Tzia Bonaria che ufficialmente sembra faccia la sarta. Sta prendendo le misure a un uomo considerato importante, che è giunto accompagnato da una ragazzina:

“Tzia Bonaria non si lasciò impressionare e misurò Boriccu Silai con la cura che usava sempre, osservandogli le forme sotto la cintura con l’occhio esperto di chi dal poco capisce tutto.

–          Da che parte lo portate? – chiese alla fine secondo l’usanza dei sarti minuziosi, guardandogli la patta. Lui si voltò verso la ragazzina appoggiata al muro facendo un cenno con la testa.

–          A sinistra, – rispose  per lui…”

In silenzio la donna si alza e con fermezza, adducendo troppo lavoro lo manda da un’altra sarta. E conclude:  “Che vadano in malora, un lavoro perso… Ma di certe cose la misura esatta è meglio non conoscerla, Maria. Hai capito?”

Integrità morale? Dignità? Rettitudine? Non so che termine usare per descrivere questo atteggiamento, sono termini in rottamazione, non si usano più, mi rimane “disgusto”. Il disgusto può aiutarci a prendere le distanze dal malcostume, a scatenare una sana indignazione nei confronti di persone o situazioni che sono assunte al ruolo di normalità.

Michela Murgia

E non penso solo ai fatti di questi giorni, alla pochezza di un uomo, alle donne politiche che si ostinano a difendere un vecchio patetico satrapo. Penso a quella che viene considerata normalità: ai programmi in cui nei flash dello zapping intravedo vecchie signore svestite di paillettes che sculettano per accalappiare altrettanto vecchi signori, ragazze che furiosamente cercano di attirare l’attenzione di qualche giovane seduto su un trono, giovani donne che vestite da un filo interdentale  aiutano aitanti presentatori, bambini allo sbaraglio trasformati in maschere di se stessi per imitare cantanti famosi.

Cosa è accaduto al nostro paese, a una parte del popolo italiano?

Ritorno alle parole di Michela Murgia a pagina 62, Nicola per farsi giustizia da solo nei confronti di un vicino di casa che gli ha spostato i confini, dà fuoco al raccolto, ma mentre scappa un colpo di fucile lo raggiunge.

Otto testimoni  confermano che si è trattato di un incidente di caccia, il maresciallo dei carabinieri non ci crede ma : “Ci sono posti dove la verità e il parere della maggioranza sono due concetti sovrapponibili, e in quella misteriosa geografia del consenso, Soreni era una piccola capitale morale. Il verbale fu scritto, firmato e archiviato…”

La verità e il parere della maggioranza sono due concetti sovrapponibili, appunto.

Questo è diventato un paese dove una buona parte delle persone non ha ascolto, non ha senso critico, non è obiettiva e  se la prende con il dito di chi  indica loro la palude di malcostume che sta avanzando lentamente ma inesorabilmente sospinta dalla quotidiana insinuazione di quali siano i nuovi valori: l’apparire, il lusso, la sfrontatezza, l’impudenza, la menzogna.

Per uscirne dobbiamo alzare lo sguardo al di là dei nostri  orizzonti limitati dalla pressione mediatica manipolata, riprenderci la nostra dignità, darle voce  e fare ascoltare il  dissenso per spronare quelli che si dicono “politici” a creare una vera alternativa concreta e costruttiva e  vincere il timore di farsi carico delle proprie responsabilità.


[1] Accabadora di Michela Murgiahttp://www.Il messaggero.it

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